E così, l’ho visto anch’io.
Lo so che avreste voluto iniziare la settimana con qualcosa di meglio. Ma questo avevo tra le mani stanotte, e questo vi tocca.
Nonostante tutto, non sono riuscito ad addormentarmi, e dio solo sa quanto fossi stanco. Un punto a favore, quindi.
Punti contrari sono la CGI, le scopiazzature, i falsi complessi psicanalitici, l’Arpia Silen e qualche altro demone e, last but not least, la supremazia di Ridge Forrester/Adrien Brody, quale capo assoluto del branco. Perché Sarah Polley ci prova a fare Brooke Logan, ma alla fin fine il rapporto lo subisce, mentre tutto il mondo sa che, all’ora di pranzo, la mantide è lei, Brooke, e lei soltanto. Da sempre.
Vincenzo Natali è l’uomo del Cubo.
Anche questo lo sanno tutti. O almeno credo. Cube (1997) è un film gradevole. L’ho visto un mucchio di volte e non sono tra quelli che lo considerano un gioiellino. Progetto interessante, a tratti inquietante. Vero. Il problema sono gli esseri umani che ci giocano dentro.
Di questi in Splice è sopravvissuto non già Kazan, bensì David Hewlett, ovvero Worth che, invecchiato e imbolsito, fa il ricco che mette su il progetto N.E.R.D., acronimo di Nucleic Exchange Research & Development, sapete come sono ironici e ricchi d’inventiva questi cervelloni, il laboratorio dove si gioca a fare Dio, o l’allegro chirurgo.
Coppia di scienziati, marito e moglie, Adrien Brody (Clive) e Sarah Polley (Elsa), che, nel corso degli anni, hanno dato vita a una creaturina ameboide, dalle cellule della quale, si pensa, si potrà estrarre una proteina adatta alla cura di qualche decina di patologie di natura genetica nell’uomo.
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Crisalide
[da qui in poi ci sono spoiler a manetta]
Lungi da me fare il moralista. Non c’è studio che ritenga più utile di quello indirizzato a migliorare la nostra salute e, di conseguenza, la nostra esistenza. Il vero punto sul quale, credo, si debba discutere, sono i metodi impiegati.
Ma non è questo l’obiettivo del film, che sulla deontologia professionale ci passa sopra come un caterpillar. Sì, c’è un vago accenno che è più una scusa per dare l’impulso ai due protagonisti di violare ogni convenzione. Il fine giustifica i mezzi: solita vecchia storia. A volte è vero, a volte no.
Insomma, proprio nessuna sorpresa che la creatura venuta al mondo, in modo inatteso, perché deve sfuggire ai canoni e all’ordine, giusto per rafforzare l’idea che sia una cosa speciale quanto pleonastica, sia potenzialmente letale.
All’inizio sembra un incrocio tra un grosso coniglio e un tacchino, poi, tra un tacchino e una bambina, poi una donna e poi, come ne Il Silenzio degli Innocenti, la crisalide sboccia e si trasforma…
Una trama sotto controllo almeno dal XIX secolo. Ma è sempre la storia del golem. Sempre quella.
Insomma, è così che deve andare.
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Sangue & N.E.R.D.
Poi si affida il tutto ad Adrien Brody. E non si capisce proprio il perché. Ma neppure la sua partner, Sarah Polley, brilla. Due complici, consapevoli di stare facendo un’enorme cazzata, che la fanno ugualmente. Ditemi come si fa a provare pietà per loro.
Il nome Dren è N.E.R.D. pronunciato al contrario. Il mostro-bambina cresce, in segreto, con la complicità del fratello di Clive (Brody), scienziato pure lui, che se ne sta zitto. Se tutto dovesse andare bene, c’è in arrivo una pioggia di miliardi di dollari.
Nel frattempo, le creaturine ameboidi, maschio e femmina, nucleo originale da cui ha avuto origine il progetto DREN, alla presentazione ufficiale, danno vita a uno spettacolo grandguignolesco che, per qualche istante, risolleva le sorti del film. Messe nella stessa gabbia, cominciano a trafiggersi ripetutamente, con abbondantissimi schizzi di sangue, ammazzandosi a vicenda e addirittura capovolgendo il contenitore in modo da investire tutta la prima fila in platea con sangue e materia organica.
Di solito non apprezzo questo tipo di esibizioni splatter, ma questa è fatta davvero bene, soprattutto per ciò che concerne l’ironia intrinseca, spero voluta.
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The Bold and the Beautiful
Per oltre un’ora e mezza, avendo già seminato il presagio del disastro che verrà, la mutazione, ci si culla nella bambagia, osservando la famigliola felice del terzo millennio, lui, lei, professionisti in carriera, e la figlia, in provetta. Alla base della scelta di Elsa (Polley) di non farlo al naturale, ci sono maltrattamenti subiti dalla propria madre durante l’infanzia che vengono riassunti in: una cameretta disadorna.
Tutto qua.
Una madre violenta con la propria bambina è una cameretta disadorna.
Questa è la maniera con la quale vengono affrontate le questioni in Splice, con la cesoia, o col bisturi.
Lo stesso che Sarah userà su Dren, quando il pungiglione di lei diventerà pericoloso.
C’è un problema? ZAC, e non se ne parli più.
Ridicolo.
Dren cresce e nell’ultima parte si viene catapultati nella soap opera: Beautiful.
Clive/Ridge ha le fregole per Dren. Così, all’improvviso. Probabilmente perché le sono spuntati i capezzoli e lui è un maschione.
E altrettanto all’improvviso, la corteggia, ci balla ascoltando musica jazz e, il giorno dopo, se la scopa.
Dren ci sta perché, da creatura diventata adulta, il cui ciclo vitale è accellerato, deve assecondare l’istinto. Oppure perché, come in Beautiful, non è proprio la figlia di Ridge, naturale insomma. Sì, l’ha allevata lui, le ha dato il biberon, ma che volete che sia? Su, dài…
Il complesso di Edipo o Elettra o tutti gli altri che sono stati tirati in ballo sono una scusa intellettualoide. La verità è Beautiful. Solo quello.
Clive ci fa la figura del porco che non riesce a tenere su i pantaloni. Elsa della moglie cornificata da marito e aliena (adottiva), che non è manco una donna. E Dren della ninfetta tentatrice dalle zampe di pollo, non potendo indossare giarrettiere e tacchi a spillo.
Insomma, il classico dramma borghese dello scandalo. Per di più, il tutto viene consumato in una stalla, set dei film hard per antonomasia.
Natali, era meglio se giravi un porno. Così, a naso.
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Silen
Dren diviene di lì a poco l’Arpia Silen.
A questo punto, perché non fare direttamente un film su Devilman? Mah…
Piccola nota: l’attrice che la interpreta, Delphine Chanéac, è bella di suo, e ha un volto alieno. Ed è stata costretta a raparsi a zero. Non è un effetto speciale. Forzata, invece, la simmetria del viso. Orribile, come tutte le simmetrie.
Ma non è tutto. Al di là dei falsi complessi, il ruolo principe in questa pièce teatrale, degna del miglior teatro dell’assurdo, spetta a Elsa, la quale, da figlia maltrattata si trasforma in una pessima madre che maltratta Dren, ma… non è ancora tutto. Dato che Dren è parte di lei, perché creata con il suo stesso dna e che quest’ultima, dopo il cambiamento di sesso, se la scopa, la scena da lei interpretata è la masturbazione radicalizzata più elaborata che sia mai stata concepita al cinema. Ambizione e visionarietà allo stato puro.
Non fosse che è di una noia mortale.
Tutto il resto è anonimato.
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