Compro con un click, e il libro è scaricato in cinque secondi sul mio reader. A 6.99 euro. Che per un ebook secondo me son tanti.
Ma il romanzo mi incuriosiva assai: Sotto la Pelle di Michel Faber, anno 2000, edito in Italia da Einaudi. Che un mio collega segnalò proprio qui sul blog, nel 2011. E che io ovviamente avevo rimosso dalla memoria.
Ma questa storia strana, cupa come il cielo britannico innevato, deforme come le strane creature che la popolano, torna alla mente grazie a Under the Skin, di Jonathan Glazer, protagonista Scarlett Johansson, da poco presentato (e fischiato) al recente Festival del Cinema di Venezia.
Essendo i contenuti, già dalle scarne (e tuttavia notevoli nella loro peculiarità) immagini, forieri di disturbante realismo, che trova nella malformazione e diversità la propria poesia unica, ho deciso di esaminare entrambe le versioni, per una volta.
Mi incuriosiscono i fischi ricevuti dalla platea.
E, dopo aver letto Sotto la Pelle…
…mi incuriosisce la scelta della protagonista, ricaduta su Scarlett.
Perché Isserley, la protagonista del libro, è un mostro. Una donna mostruosa, tarchiata, senza mento, con occhiali a fondo di bottiglia, ma con due tette enormi, che carica autostoppisti. Maschi. Le donne non le interessano.
E attenzione, mostro significa prodigio, qualcosa di insolito che, in un dato momento, ci si è affannati di mascherare, perché Isserley, a bordo della sua Corolla rossa, sulla A9, nel mezzo delle campagne scozzesi, ha una missione. E per portarla a compimento, deve nascondere la sua vera natura.
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E questo è, in teoria, ciò che posso raccontarvi senza rivelare la storia, a chi il libro non l’ha letto. Proseguire significa rinunciare alla sorpresa, così come l’ha concepita l’autore, lo svelarsi del meraviglioso che ribalta l’iniziale percezione legata al tema del romanzo, e ne rivela l’essenza.
Ragion per cui, se non l’avete letto, fermatevi qui.
Se invece sapete, andiamo avanti.
Più che l’intreccio, Faber costruisce un personaggio, la sua Isserley, che è specchio di molte paure. Non arrivo a dire che trattasi di paure personali. Sono senz’altro i valori fondanti la storia, l’insicurezza, l’incomprensibilità, lo scontro tra culture aliene (sì, è il caso di usare questa parola), il rigetto di deformità acquisite, la pietà verso gli animali e l’ipocrisia che circonda coloro che troppo amore attribuiscono loro.
Un personaggio sofferente, perché devastato dagli interventi chirurgici atti a negarne la natura, perché Isserley possa passare per un vodsel (un essere umano), attirare ignari autostoppisti, conoscerli quel tanto che basta per escludere legami pericolosi, tipo una famiglia, qualcuno che, venendo loro a mancare, possa allertare le autorità, e rapirli per cambiare la loro destinazione d’uso.
Da creature senzienti a oggetti.
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Seconda trasformazione, quindi, se seguiamo questa teoria: protagonista costretta a trasformarsi (tramite interventi chirurgici dolorosi: taglio della spina dorsale, asportazione delle mammelle in luogo di due grosse protesi, creazioni di un mento arificiale) che rapisce umani destinati a essere trasformati (taglio della lingua, castrazione, etc…).
Ma non siamo in presenza di una storia violenta, a dispetto dei dettagli truci, non siamo affidati alla mercè di una protagonista assassina seriale.
Faber ci presenta la razza umana dall’esterno, dipingendola con l’approssimazione tipica di uno sguardo altro, che si sofferma, per lo più, sui difetti caratteriali evidenti, e sulle doti fisiche. A Isserley occorrono, infatti, buoni esemplari maschili, in perfetta salute.
Un lavoro logorante, il suo, molto simile a quegli esseri umani che di mestiere lavorano in un mattatoio. Nessuna pietà per la merce. Solo lavoro e soldi, e segretezza assoluta.
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Abilissima la costruzione narrativa di Faber, vero e proprio cesello, in cui ogni singolo dettaglio anticipato trova esatta collocazione nel corso dello svolgimento.
Tralasciando qualunque osservazione sullo stile, interpretato dalla traduzione a cura di Luca Lamberti, a mio avviso, l’autore ha lavorato molto sul filtro del punto di vista, che è quasi sempre appannaggio di Isserley, eccetto quei brevi paragrafi in cui si concede una visione più familiare, umana quindi, dei vodsel autostoppisti appena caricati. Quello che intendo è che lo sguardo di Isserley è quello che ci comunica le cose: uno sguardo alieno, diverso, che quindi si sofferma su dettagli di poco conto, anomali, rispetto al nostro sistema di vedere le cose. Che addirittura, in determinati momenti, si concede inquadrature dall’alto, oggettivando se stesso.
Faber è molto efficace nel proporci, facendocelo subito familiare, un linguaggio semplice e spigoloso, infarcito di pensieri e ricordi e riflessioni, pur restando fisso nell’azione presente e risultando chiarissimo.
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Il dettaglio che più mi ha colpito, è che Isserley chiama vodsel gli umani, ma riferisce a se stessa come umana, pur coperta di pelo (che rasa regolarmente), di cicatrici per gli interventi subiti. Quasi come a sottintendere un’arroganza tipica di tutte le specie intelligenti, quella di pensare se stessi come gli unici latori di certe verità profonde, di certe emozioni e sentimenti, di certa sensibilità: di umanità.
E insieme a questo, la forza visionaria che vomita descrizioni di deformità atroci, pur serbando una forma estranea di pietà.
Da leggere.
E adesso aspettiamo il film, e vediamo cosa hanno potuto combinare.