Cinema

Snitch – L’infiltrato (2013) [Recensione]

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La smentita, che non ti aspetti, da Dwayne “The Rock” Johnson. Cose che fanno bene al cinema.
Un ruolo normale, a dispetto dell’imponenza del fisico e dei ruoli che gli sono stati imposti per tutti questi anni. Non che fossero un male, quegli action caciaroni, tutti esplosioni e mazzate, lo sapete che mi piacciono, ma con questo Snitch sono rimasto sorpreso.
Ecco perché sto qui a parlarne in breve.
Snitch, di Ric Roman Waugh, è etichettato come thriller/drammatico.
Sulla locandina c’è scritto a lettere cubitali “ispirato a una storia vera”.

[segue qualche piccolo spoiler]

Ebbene, non non se sia vero, o semplicemente una scritta messa lì di proposito. Vuole denunciare la legge USA sulle condanne minime per i reati legati al narcootraffico, chiama Susan Sarandon nelle vesti di procuratore e un figlio di papà (di The Rock), scemotto, che si fa incastrare da un amico a ritirare un pacco pieno di pasticche. Scatta la carcerazione e il papà si offre di fare l’infiltrato per diminuire, a seconda di quanti spacciatori riesce a incastrare e consegnare al procuratore, la condanna del figlio, che ha dieci anni di carcere sul groppone.
The Rock, che fa l’imprenditore permettendo agli ex-detenuti di lavorare nella sua fabbrica, riesce, tramite uno di questi, il buon vecchio Sceim di The Walking Dead (Jon Bernthal), a entrare in contatto con un paio di narcotrafficanti, di cui uno messicano, e tramite il supporto della polizia, a incastrare entrambi.

Sceim, ci manchi.
Sceim, ci manchi.

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Ok, ci sarebbe tanto da discutere sulle implicazioni sociali di questo film, non tanto sulle leggi anti-droga, visto che, essendo la situazione una guerra, sono aspre tanto quanto le battaglie che si combattono sulle strade. Al massimo si potebbe argomentare sulla tutela degli innocenti, o dei bambocci figli di papà come il figlio del protagonista.
Ma si finirebbe coi soliti discorsi che non portano a niente.
Più che denuncia sociale, quindi, l’impianto “giuridico” serve al film da strumento, mi sa di accessorio a una trama tipica dello spionaggio, dato che la parte legale del thriller si riduce a farsi i conti in tasca, per una giustizia fatta col pallottoliere: tu mi dai uno spacciatore + i soldi + i chili di eroina e io ti faccio un mega-sconto pena per tuo figlio.
Insomma, gira e rigira il discorso è questo, nonostante abbiano chiamato persino la Sarandon. Il personaggio del procuratore è poco sviluppato, al posto della Sarandon ci sarebbe potuto essere Pipino e nessuno avrebbe sentito la differenza. Magari sarebbe stato anche meglio.

Berthal+Johnson_snitch

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Ciò che invece piace molto è la versione inedita di The Rock. Che per una volta, a dispetto dei muscoli che in verità lo fanno sembrare un po’ fuori posto, fa il padre di famiglia, imprenditore di una ditta di trasporti, che non ha un passato da ex-militare, o un ruolo da ex-poliziotto, ex-servizi segreti, ex-tispaccoilculobrucelee. È una persona comune, che abbassa lo sguardo alla vista di un’arma puntatagli contro.
Che prende un sacco di botte senza reagire (perché non sa combattere) da un paio di spacciatori di strada, che si fa maltrattare dal suo socio (Jon Bernthal) quando questi ha dei sospetti sul fatto che The Rock stia facendo il doppio-gioco.
Che fa la grande cazzata di mettere in pericolo, per l’amore verso un figlio, la sua nuova famiglia, presa di mira dagli spacciatori. Nulla che un professionista del combattimento avrebbe mai fatto.
Insomma, un The Rock timoroso, che abbassa la testa quando i trafficanti e i loro nemici si sparano addosso in una zona industriale abbandonata, che si porta i segni dei pugni in faccia e che, in definitiva, recita anche bene.
Sorprendente.

SNITCH

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Eppure, sempre di The Rock si tratta, quindi l’ultimo quarto d’ora è azione pura, con un inseguimento spettacolare lungo l’autostrada tra le auto dei narcos e un TIR guidato dal nostro Dwayne. Su questo non vi anticipo nulla, se non che vale la pena guardarlo anche solo per questi ultimi minuti.
Ulteriore sorpresa, e non poteva essere altrimenti date le pretese di serietà dell’intero impianto narrativo, le scene action sono all’insegna del realismo.
Non ci sono super-badass che compiono azioni sovrumane, ovvero non c’è il The Rock che conosciamo: c’è solo un tizio normale che guida un camion, che viene ferito e che usa un fucile a pompa per rispondere al fuoco.
E, al di là del finale consolatorio, che ha il sapore del jackpot, la sapete una cosa? Funziona.
Funziona anche così.

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