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Smell-O-Vision

Partiamo da vicinissimo, Max e un suo commento al mio racconto.
Letto?
Bene.
Fatto di odori. E, dal momento che mi vanto di avere idea e coscienza di ciò che scrivo, devo dire che tengo molto all’olfatto, quando ipotizzo scenari. Non tutti lo fanno, ed ecco perché certi passi, ancorché mostrati, risuonano fittizi.
Non sono il primo a sostenere che gli odori svolgono una parte importante nella narrazione (intesa con accezione ampia, anche cinematografica). Per dirne una, sono capaci, più della vista, di andare a scomodare ricordi che credevamo perduti, lontani nel tempo. Che so, il profumo della focaccina che mangiavate da bambini, d’estate, al panificio di quel paesino in collina, accompagnati da vostra madre…
Ecco, l’idea degli odori al cinema e, perché no, visto che siamo nell’era della lettura digitale (il Grande Satana per i neo-luddisti seguaci di Gutemberg), gli odori nei libri.
È una sorta di leggenda, di tanto in tanto ritorna e se ne discute. Talvolta qualche imprenditore rampante con tanti soldi da buttare ci prova sul serio, investe, incarica ingegneri e tecnici di progettare e sfoderare prototipi. Pare che sia stato creato anche un apparecchio che arriva a contenere circa 120 cartucce di odori da emanare dieci secondi prima di determinate scene, in modo che l’essenza arrivi alle narici dello spettatore al momento giusto… disgustandolo o estasiandolo, a seconda che si inquadri un giardino o una fogna.
Unito al 3D, l’odore potrebbe essere il passo successivo. Ma la cosa, chissà perché, non attrae.

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Ma andiamo con ordine. Come per il 3D, scopriamo che i tentativi di portare l’odore al cinema sono molto più vecchi di quanto possiamo immaginare.
1906, prima ancora che nei film fosse introdotto il sonoro, imbevendo del cotone con essenza di rosa durante un newsreel.
Per un tentativo più sistematico, associato a tecnologia, ci tocca salire sulla Delorean e tornare al 1960, a un film intitolato Scent of Mystery, prodotto da Mike Todd Jr. e diretto da Jack Cardiff. Con esso, Hans Laube sperimentò la cosiddetta Smell-O-Vision.

The process injected 30 odors into a movie theater’s seats when triggered by the film’s soundtrack.

L’unico tentativo del periodo, a quanto pare, dal momento che il sistema di diffusione risultò rumoroso, distraendo così gli spettatori dal seguire il film, in ritardo rispetto alle scene da “annusare”, e dispersivo in alcuni punti della sala, quanto concentrato in altri, tanto da nauseare i malcapitati nelle zone dove risultò intenso (si trattava, per lo più, di odori nauseabondi, un po’ come le fialette puzzolenti).
Un sistema più soft, in omaggio alla Smell-O-Vision di Laub, venne sperimentato nel 1981, durante la proiezione del film Polyester di John Waters. Niente di ipertecnologico, non ancora. Agli spettatori vennero consegnate delle tessere sulle quali erano presenti sezioni numerate, odorose, da grattare in determinati momenti, di solito associati a un numero che compariva in sovrimpressione. Nessuna novità, sostanzialmente, se pensiamo che fin dagli anni ’50, coi primi tentativi di cinema tridimensionale, medesime scritte avvertivano gli spettatori di indossare gli occhialini in dotazione.

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La teoria degli odori non è sbagliata, gli effetti sulla memoria e sulle sensazioni esistono. E il cinema e lo spettacolo sono sempre più orientati verso l’idea di far “vivere” le situazioni come fossero reali. Nel futuro avremo la ReKall che agirà direttamente sul nostro cervello, impiantandovi ricordi fittizi di vacanze su Marte, ma fino a quel momento, ci dobbiamo arrangiare con quel poco che abbiamo.
Come per l’home-theatre esiste (anche se non ho idea se essa sia attualmente in fase di elaborazione o completamento, è un po’ una chimera) un sistema domestico di diffusione degli odori. Si chiama Smellit.

Casse simili a quelle stereofoniche o dolby che, tramite ricariche a cartucce, diffondono fragranze.
Discorso affascinante, senza dubbio. Resta da discutere, eventualmente, circa l’effettivo godimento della funzione odorosa, durante un film. Anche se non nego che per certi film, penso a Profumo e, chissà perché, a Angel Heart, la curiosità c’è.

Robert De Niro nei panni di Louis Cyphre in Angel Heart (1987) di Alan Parker

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È sufficiente rievocare alcune scene. Profumo si basa esclusivamente sull’olfatto. Il protagonista è dotato di olfatto prodigioso. La scena della nascita, al mercato del pesce, promette effluvi di ogni genere. Tali sequenze sono state rese in modo magistrale, solo tramite lo schifo evocato attraverso le immagini. Anche il libro rievoca fragranze solo attraverso le parole. Siamo sicuri che respirare pesce rancido aggiungerebbe passione e immedesimazione allo spettacolo?
Ottima domanda. Unita poi alla successiva, la diffusione di questa tecnologia, che si suppone debba essere popolare alla stregua di una qualsiasi impianto home-video e i costi di mantenimento, se si continua con l’idea delle cartucce, simili a quelle di una qualsiasi stampante.
Facile ipotizzare che, allo stato attuale, non attecchirà. Non attecchisce già da un secolo, in fondo…
Però, il fascino di una tecnologia immesiva, ecco… quello esiste. Immaginate i vicoli di New Orleans in Angel Heart, i riti voodoo, il caldo-umido che già di per sé accentua le sensazioni, o Robert De Niro che mangia l’uovo. In realtà, voi non stareste annusando un uovo sodo con un po’ di sale, ma il profumo dell’anima.
E Scent of a Woman? Che sia con Gassman o Pacino. Quel tango, di cosa profuma?
Mmmhh… mito e tecnologia, per una cosa forse impossibile.

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