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Black Mirror: non una critica sociale, ma, semplicemente, il futuro

Di Black Mirror sto scrivendo dal 2012.
Non sprecherò parole nel definirla: è la più bella serie di sempre.
Perché sfugge alle regole delle serie televisive, per cominciare.
E poi perché, al contrario di ogni prodotto televisivo, diversamente prono alla tecnologia e al vivere sociale, Black Mirror anticipa tendenze, frustrazioni, immagina un futuro.

Futuro che non è più, semplicemente, nero.
Black Mirror nasce come specchio oscuro, cercando la cui definizione, in rete, vi potrete imbattere in un paio di spiegazioni.
– Lo specchio oscuro è lo schermo del vostro device (telefono, tablet, TV) spento. E, in quanto tale, esso riflette la vostra immagine privandola, quasi, dei colori.
Sembra quasi la Zona d’Ombra declamata da Shelley:

ERE BABYLON WAS DUST, / THE MAGUS ZOROASTER, MY DEAD CHILD, / MET HIS OWN IMAGE WALKING IN THE GARDEN. / THAT APPARITION, SOLE OF MEN, HE SAW. / FOR KNOW THERE ARE TWO WORLDS OF LIFE AND DEATH: / ONE THAT WHICH THOU BEHOLDEST; BUT THE OTHER / IS UNDERNEATH THE GRAVE, WHERE DO INHABIT / THE SHADOWS OF ALL FORMS THAT THINK AND LIVE / TILL DEATH UNITE THEM AND THEY PART NO MORE…

Al di sotto del sudario, là dove esistono le ombre di tutto ciò che pensa e vive…

E insomma, così le descriveva Shelley che, come sappiamo, dichiarava di aver incontrato il suo Doppio, proprio qui in Italia…

Tornando a Black Mirror, il riflesso di ciò che vive, trasmesso dallo specchio nero, deve necessariamente comunicare qualcosa di insano, maligno.

nosedive2E, in effetti, la seconda spiegazione al titolo della serie è:
– ‘black mirror’, ovvero la zona dei ‘side effects’, quei temibili effetti collaterali elencati con dovizia di particolari atroci e incomprensibili ai più sui foglietti illustrativi.

In sostanza, almeno all’inizio, Charlie Brooker aveva in mente di mostrare gli effetti collaterali della tecnologia.
Perché la nostra è l’Era della Tecnologia, dell’interconnessione, degli apparecchi digitali e via dicendo…
Una critica sociale.
Siamo tutti schiavi della tecnologia?

Forse.
Anzi, no.

Per quanto mi riguarda, più a lungo ammiro il lavoro di scrittura di Brooker, e più mi accorgo che Black Mirror non è una distopia.
Non è un monito contro l’uso eccessivo di farmaci tecnologici, panacee per il nostro disagiato e disastrato vivere sociale.

Black Mirror è una visione su un probabile futuro. Che è tanto più realistico di quanto ci piaccia immaginare.
Ogni tema trattato – dalla duplicazione dell’anima di un uomo morto tramite un programma che recupera ogni traccia di lui lasciata sui social network e ne ricrea la personalità (Be right back), all’attribuzione, a ciascuno di noi, di un voto da 1 a 5 stellette (Nosedive) – riecheggia il futuro prossimo.

Non è una critica sociale, Black Mirror.
È una finestra.
Non si fa in tempo a guardare cosa c’è dall’altra parte, che subito la realtà si adegua, proponendo sistemi di valutazione, sulla base delle cinque stelle, a qualunque cosa.
Valutare l’essere umano in quanto tale? E perché no? Manca poco, in fondo.
E la cosa assume valore vincolante quanto più noi attribuiamo peso a quello stesso sistema.

Siamo noi a creare la realtà in cui viviamo. In cui vivremo. Da sempre.

Una realtà in cui, in un mondo sempre più fisicamente ed economicamente limitato, si preferirà fare ampio uso di realtà virtuale, per avere sempre a disposizione una realtà altra, quasi perfetta per le nostre esigenze, sapientemente programmata, che non contenga sorprese eccetto quelle previste dal programma (Playtest).
Sorprese per le quali, in ogni caso, abbiamo dato l’approvazione tramite un segno di spunta su una piccolissima casella. Segno di spunta che avremo, in ogni caso, cliccato con estrema leggerezza.
Proprio come facciamo tutti i giorni, coi nostri smartphone e le applicazioni.

La tecnologia è terribile, consente ai malvagi di entrare nella nostra casa, carpire la nostra intimità, rubare i nostri segreti e ricattarci, spingendoci a azioni impensabili (Shut up and dance).
Sì, accade anche oggi.
E, nel caso in cui i ricattati siano dei poco di buono, dei bastardi, i giustizieri, comunque, non ne escono da eroi.

La tecnologia, il futuro, quindi, sono neri?
Non necessariamente.
Nell’episodio capolavoro, San Junipero, la tecnologia assume su di sé il peso della nostra stessa esistenza.

(segue qualche spoiler)

ext-tuckers-80s-2Scritto da Charlie Brooker, San Junipero è l’ode al progresso.
È la volontà di potenza di Nietzsche.
Narra di ciò che, finalmente, ci ha reso degni, sempre secondo il filosofo tedesco, di aver ucciso dio.
La tecnologia, in San Junipero, ha avuto il merito di creare il nostro Aldilà. Il nostro paradiso.
È una simulazione ultraterrena, rigorosamente visitabile quando si è ancora in vita.
È un sistema che scarica la nostra coscienza, la nostra anima, su un supporto solido, che poi viene inserito in una macchina e entra a far parte di un programma, dove le coscienze, le nostre personalità, le nostre memorie, possono vivere in eterno.
Almeno fino a quando ci sarà energia elettrica per riuscire a alimentare tali paradisi artificiali.

Quindi, la tecnologia, creazione umana, ha donato al mondo, nella visione di Brooker, ciò che la religione ci ha promesso da millenni: la vita eterna nella perfezione del momento.
Poco importa che questa vita sia il frutto di una concessione divina o di una mega-corporazione.

(fine spoiler)

La tecnologia di Black Mirror è intrisa di una società diversa da quella attuale, esasperata, e al contempo probabile e vera.
Ma non tutto fa schifo: è una società in cui gli anziani vengono accompagnati al trapasso con grande serietà, come un tempo avveniva tra le civilizzazioni più sensibili e evolute.
È una società in cui la popolazione non ha paura di istruirsi e di essere aggiornata. Non ha paura della diversità.
È una società in cui i crimini, gli abusi, le malattie non saranno mai debellati del tutto, ma che dispone di mezzi potentissimi per superare la stessa natura umana, i suoi limiti, e avvicinarla a dio.
Il dio che l’umanità stessa ha immaginato.
E creato.
In un pezzo di silicio.

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