L’iprite, anche conosciuto come gas mostarda.
Per via del caratteristico odore di aglio. O senape.
L’iprite, quando te lo scaricano addosso, ha un’azione “esfoliante” alquanto drammatica, sulla cute umana, causando piaghe di difficilissima guarigione.
Dopo dieci minuti di esposizione, di solito, ci si rimane.
Ma questa è la storia di un cane.
Un bull terrier, o un boston terrier. Le fonti sono discordanti. Più probabilmente un meticcio.
E sì, in questa storia c’entra anche il gas mostarda.
Stubby è un simpatico cagnolino che, un giorno, capita nel campus dell’università di Yale e viene notato da un soldato del 102° Fanteria.
Che lo adotta, dandogli il nome, e, quando è il momento di imbarcarsi per la guerra, la Grande Guerra, pensa bene di imbarcare di nascosto anche il suo cane, al quale ormai è affezionatissimo.
È il 1918. Stubby ha due anni.
Stubby, poi, ha tutta l’aria di essere un tipo sveglio, un estusiasta. Il classico cane che, oggi, probabilmente, sarebbe impiegato per la pet therapy.
Entra in guerra, per la prima volta, il 5 Febbraio del 1918. Al seguito del 102°.
Per i successivi diciotto mesi prende parte a 17 battaglie. Sotto il fuoco nemico, nella presa di Schieprey, viene ferito durante la ritirata tedesca da una granata, guadagnandosi due cicatrici.
Ha una tempra d’acciaio.
E, come ogni buon soldato, non solo si riprende, ma torna al fronte, coi commilitoni che gli regalano una speciale maschera anti-gas, costruita su misura per lui.
Stubby torna da quel brutto incidente con un dono: una eccezionale sensibilità al gas mostarda. Lo fiuta in anticipo, in largo anticipo, e prende l’abitudine di allertare la sua unità. Li salva da innumerevoli attacchi.
E non solo, è capace di individuare i soldati feriti e di andarli a recuperare.
Sviluppa anche una particolare predilezione per l’artiglieria nemica. Ogni volta che i crucchi decidono di scaricare addosso al 102° un po’ di bombe, Stubby si mette ad abbaiare come un pazzo. È il segnale, meglio starlo a sentire, il piccoletto. Non sbaglia mai.
Ad Argonne, poi, cattura una spia tedesca, immobilizzandola (si dice attaccandosi ai suoi pantaloni coi denti) fino all’arrivo dei rinforzi.
Non si sa, però, se sia stata effettivamente una nomina ufficiale, o se questa parte s’è tinta delle chiacchiere e del pettegolezzo.
Non lo sapremo mai.
Quello che è certo è che, dopo la liberazione di Chateau-Thierry da parte degli americani, le donne del posto cuciono per Stubby uno speciale cappotto sul quale vengono poi appuntate svariate medaglie.
E con quel cappotto Stubby continua la sua campagna militare.
La guerra va avanti per qualche altro mese.
Ma per Stubby finisce poco dopo, quando viene ferito al torace e a una zampa da un’altra granata.
Non muore.
Stubby è massiccio, resistente e ha ancora tanto da vivere.
Però viene ricondotto in patria, dove, ormai raggiunto lo status di celebrità, incontra tre Presidenti, Woodrow Wilson, Calvin Coolidge e Warren G. Harding. E riceve anche, dal Generale John J. Pershing, per conto della Humane Education Society, una medaglia d’oro.
A partire dal 1921, Stubby serve nella Georgetown University, come mascotte della locale squadra di football, nelle cui partite compare durante gli intervalli, inseguendo la palla davanti a un pubblico adorante.
Muore a dieci anni di età, nel sonno. È il 1926. E il New York Times gli dedica un necrologio, grande il doppio rispetto a quelli riguardanti le celebrità dell’epoca.
E di tutto ciò, Stubby non ha mai saputo nulla.
Il destino di tutti gli animali coinvolti nel parco giochi degli umani.
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