Ormai Rush di Ron Howard è stato recensito da quasi tutti gli altri blogger miei colleghi. Non ritengo quindi di dover aggiungere nulla alle critiche mosse al film:
– tecnicamente ben fatto, ma le corse si potevano fare meglio
– ottima ricostruzione degli Anni Settanta
– e ci dovevano essere più corse
– e non si respira l’epica
L’epica, sapete, quella cosa che consiste nel cavaliere solitario che, in groppa al destriero, corre sulla prateria, il vento che gli scompiglia i capelli e…
come ci insegna Conan, consiste nello: schiacciare i nemici, inseguirli mentre fuggono e ascoltare i lamenti delle femmine (cit.)
Che poi, a pensarci, questi elementi ci sono tutti, in Rush, persino i lamenti.
E allora cos’è che non va? È che uno vorrebbe star lì dentro la macchina di Niki Lauda, e sentirne il dolore, o una imitazione dolce, ma efficace. Invece, mentre gli svuotano i polmoni, a Niki, il televisore è concentrato sulle corse e sullo speaker che annuncia le vittorie di Hunt. È una cosa sottile, ma sostanziale.
Oppure, durante il Gran Premio del Brasile, anziché inquadrare le ballerine di samba vestite a festa, magari Howard poteva mostrare qualche scena in più sulla pista, essendo un film automobilistico…
Hunt c’ha scritto in fronte la parola meth, morte, come fosse un golem delle corse. Lauda invece è uno che se le tira addosso, per spirito di sacrificio. Mi riferisco sempre ai personaggi del film, non avendo memoria storica diretta degli eventi che l’hanno ispirato.
Quindi, i cavalieri ci sono, atipici, opposti, e per quanto romanzati, che Lauda fosse un austriaco serio e calcolatore e Hunt uno sciupafemmine era più o meno vero. Magari non erano così rivali, magari amavano detestarsi e odiarsi, specie davanti ai giornalisti. Ma si rispettavano. Ops, anche questo c’è nel film…
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Chi non rispetta il talento altrui è un fesso.
Ci sono persino i destrieri, Ferrari e McLaren. E le praterie sono i circuiti.
L’unica cosa che manca è la donna contesa. Meno male.
E le corse… vabbè.
C’è però un punto che ho gradito molto e che ha fatto scaturire la riflessione/provocazione che è il presente articolo. Tantissimo. E che, alla luce di certa modernità e di certi ambienti, è bene mettere in risalto.
Lauda, in sostanza, è arrivato in Formula 1 comprandosi il posto. Prima con moneta sonante, poi barattando le sue conoscenze tecniche.
Sì, certo, aveva il talento, altrimenti i soldi non gli sarebbero bastati. Ma quello che importa, ai fini di questo ragionamento è che è arrivato al vertice senza (o con pochissima) gavetta. Niente sudore della fronte inteso in senso classico. Sapeva quello che faceva e non voleva perdere tempo.
Ha cominciato dalla Formula 3 e poi, convinto di avere talento, ha pagato per la Formula 1.
Due cose ammiro in questo, oltre che ammirare Lauda per l’uomo che è stato e che è ancora, e per il suo caratteraccio così simile al mio: il coraggio delle proprie idee e l’orgoglio. Per fare ‘sta cosa, per ipotecare il proprio futuro indebitandosi ci vogliono le palle di superman, ovvero d’acciaio.
Oddio, magari fa la figura del fesso incosciente quando si mette a correre per le strade di campagna solo per impressionare la futura moglie, ma siamo onesti: chi non lo farebbe per impressionare la sua futura moglie?
Si chiama vita e si chiama anche umanità.
Una cosa, invece, è deprecabile: i bambocci dell’allora Formula 1, tanto blasonata, i migliori del mondo e bla bla bla, cullati nei loro allori, che non solo Lauda non l’avevano notato per niente, loro sempre a caccia di talenti, ma che hanno anche accettato i suoi soldi. Cosa che ha dell’incredibile (a livello morale e professionale).
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Chi fa una figura pessima è la Formula 1, non certo Lauda.
Hunt ha iniziato dalla Formula 3. L’unica differenza con Lauda è che la sua carriera non se l’è finanziata da solo, non avendo i mezzi o non volendo rischiare come il collega. Ha avuto la fortuna, all’inizio, di conoscere un tipo che ha creduto in lui e poi, semplicemente, è diventato l’uomo giusto al momento giusto: colui che poteva battere Lauda.
Anche in questo caso, la Formula 1 ne esce con le ossa rotte: perché Hunt sì, era considerato bravino, ma ribelle, troppo ribelle per un ambiente infiocchettato e con la scopa in culo, pieno di gente celebre. Quindi nessun riconoscimento per il talento di Hunt, sostituito invece da grande antipatia, finché non sono stati costretti da Lauda, l’austriaco arrogante che si è comprato l’ingresso stracciando poi tutti gli altri sulla pista, a prenderlo. Facendo pure il muso storto finché… non ha vinto. Tra parentesi, Lauda e Hunt hanno dato vita al campionato di Formula 1 più bello di tutti i tempi, ma questo è relativo…
Quel che voglio dire (discorso universale), e che si evince da questa storia, è che spessissimo, coloro i quali sono deputati a scegliere il talento non solo non lo vedono, ma lo ostacolano per orgoglio o per bieco interesse, fino a quando non sono con le spalle al muro (o con le pezze al culo). Solo a quel punto cedono e consentono, dall’alto della loro cretinaggine, ai nuovi di emergere.
Spostate questo ragionamento in campi come la letteratura, la scienza, la medicina, la fisica, e capirete perché il mondo è il posto di merda che sembra.
Ho scritto che sembra? Volevo dire che è. Manovrato da gente che al 90% sta lì senza alcun merito, tanto che chi i meriti ancora non ce li ha, ma ha talento, è costretto a inventarsi un sistema astruso per emergere lo stesso. Una cosa assolutamente ingiusta. E folle. E ridicola.
Think about it.