Come avrete notato, in questi giorni sono solo soletto qui sulle ridenti pagine web di B&N. Norys è di matrimonio -di un altro, non suo- e Admin si è dato alla macchia lasciando tutto sulle mie robuste spalle. Fin qui nulla di nuovo, eccetto il matrimonio. Mi sta bene pure il nome del blog, perché tanto il blog di elgraeco come ipotetico nome, per dirne uno, fa ca*are persino me…
Il bello è che non so quanto e se durerà . Posso andare avanti dieci anni o chiudere domani, chissà …
E poi inizia questo brutto periodo dell’anno pieno di palle e di alberi e di natale, che poi è anche il periodo in cui sono nato. Quest’anno ne faccio trentatré e credo di aver schivato almeno due pallottole, anche se uno non può restare solo per sempre… prima o poi arriva quella che ti frega. Arriva per tutti.
Vabbé, parliamo del film. Forse avrei dovuto iniziare come fanno tutti gli esseri umani partendo dal primo capitolo Resident Evil (2002), ma io non sono tutti. Tra parentesi, Resident Evil è anche stato il mio primo dvd acquistato, al sanguinoso costo di 25,99 euri.
La verità è che non sono un fan di questa saga, sia computerizzata che filmica e di questo modo di fare cinema. Se voi lo siete, però, vi consiglio di visitare il neonato blog di Sciamano, nato da una costola di Dead Inside, dove potrete trovare una recensione appassionata e completa del primo film, chicche sull’intera saga e aggiornamenti costanti sul quarto capitolo in produzione che di certo vi soddisferanno.
Russell Mulcahy, il responsabile dei primi due Highlander, dietro la macchina da presa, per un film pretenzioso e incompleto, a mio parere, che strizza l’occhio a Day of the Dead (1985), a Mad Max 2 (1981), persino a Hokuto no Ken, senza riuscire a raggiungere nessuno dei tre.
Il prologo ripropone le scene iniziali del primo episodio, il risveglio di Alice (Milla Jovovich) nella villa, quella del corridoio corredato di laser che conduce alla camera della Regina Rossa e le scene finali, con una piccola ma sostanziale differenza, Alice muore. Si scopre di lì a poco che non è l’unica Alice ad essere morta, ce ne sono molte altre -sempre morte stecchite, sigh- ammucchiate al di fuori di una stazione di ricerca sotterranea in pieno deserto del Nevada, circondata da zombi affamati, tenuti a bada da un’esile recinzione metallica -vedi Day of the Dead-.
Titoli di testa. Musica.
[ATTENZIONE! ALLARME ANTICIPAZIONI!]
Il virus T, responsabile della resurrezione dei morti e della fine del mondo si è espanso ovunque, causando, stando a quanto dice la voce fuori campo di Alice, anche la desertificazione del globo terrestre. Come abbia fatto non lo so. In ogni caso l’ambientazione mi piace. Le inquadrature che scorrono lungo le arterie stradali infuocate del Nevada fanno tanto Mad Max, così come i veicoli corazzati che le percorrono. In questi scenari di eccezionale desolazione si aggirano i pochi superstiti in cerca di cibo e benzina per i loro veicoli, quando non decidono di stabilirsi in un posto e di divenire predatori di uomini.
Alice si trova da queste parti per sfuggire ai satelliti della Umbrella Corporation che vuole individuare e recuperare il proprio esperimento. Alice ha infatti nel suo DNA l’antidoto al virus T e quindi alla catastrofe.
Nei laboratori sotterranei, intanto, quel che resta della Umbrella Corporation si affida alle ricerche del dottor Isaacs (Iain Glen) che non potendo disporre del progetto Alice originale, ha deciso di clonarlo centinaia di volte per ricavare dai cloni ciò che dovrebbe trovarsi nell’originale, ossia l’antivirus. Per far questo, non ho ben capito perché si ostina a sottoporre i cloni appena svegliati ad una specie di percorso di guerra/grande fratello che riproduce le sequenze del primo film -vedi sopra- e che si conclude con l’inevitabile morte del clone di turno, di volta in volta ucciso dai sistemi di sicurezza o da qualche zombie tirato in mezzo per vivacizzare il tutto, sennò è squalificata (cit.).
Sempre per le strade del Nevada si aggira anche il cosiddetto Convoglio di Claire Redfield (la sexy Ali Larter) un’eroina postatomica senza particolari doti che, sempre alla Mad Max, o alla Burt & Lynn senza tecniche Hokuto, ha radunato intorno a sé una trentina di superstiti e si muove a bordo di mezzi di trasporto rinforzati alla meno peggio. Nel deserto, tra corvi rabbiosi alla Hitchcock che si nutrono sia di zombie che, quando ancora capita, di umani d.o.c., il convoglio incontra Alice, che nel frattempo ha distrutto la sua motocicletta con i suoi poteri psionici ed è rimasta a piedi.
L’utilizzo involontario delle sue nuove doti viene rintracciato dalla Regina Bianca, la sorella della Regina Rossa, il supercomputer che controlla il laboratorio dove opera il dott. Franken… ehm, Isaacs. La Umbrella riattiva i satelliti e rintraccia Alice, scoprendo che ella, insieme al convoglio Redfield, si sta dirigendo a Las Vegas con l’inconfessata speranza di riuscire a fare benzina per, udite udite, intraprendere il lungo viaggio che li porterà in Alaska! Perché hanno deciso di arrivare fin laggiù? Perché la nostra Alice ha trovato in una stazione di benzina abbandonata un diario in cui un tizio ha scritto di aver intercettato delle comunicazioni via radio in cui si diceva che l’Alaska era libera dall’infezione e dove erano tutti felici e contenti e si riproducevano come conigli.
Per lunghi minuti lo spettatore (cioè io) teme che la vagheggiata Las Vegas sia un miraggio e teme che il film possa finire lì nel deserto, ma… ci si arriva. Si arriva in effetti in una piccola Las Vegas in CG e cartone, ricoperta parzialmente dal deserto che se l’è ripresa.
Qui l’idiozia dell’Umbrella Corporation rasenta l’incredibile, anzi a pensarci bene lo supera perché fa attaccare il convoglio da zombie potenziati per l’occasione per catturare Alice. Alla fine, dopo sequenze di lotta detestabili che rendono la Jovovich la sorella di Schwarzenegger o di Stallone, in cui la si può ammirare mentre manovra una coppia di coltellacci come una circense e uccide zombie con la facilità con la quale noi ci tagliamo le unghie, l’unico risultato che l’Umbrella ottiene e che l’operazione gli si ritorca contro conducendo i pochi superstiti guidati da un’incazzatissima Alice al laboratorio sotterraneo, dove si svolge il duello finale…
L’elevata acidità di questo articolo è imputabile al livello dell’ennesima buona occasione buttata nel cesso. Il film aveva tutte le carte in regola per essere godibilissimo, ma invece si è risolto nel solito trionfo di effettacci e di personaggi idioti, il tutto alternato con eventi senza senso, tipo l’attacco dei corvi, e slegati dal filo conduttore della trama. Peccato. Perché, come al solito, a causa della pretesa di mostrare tanto si è mostrato troppo e laddove -vedi Las Vegas- si poteva indugiare, si è andati di fretta. La smania di citazioni autoreferenziali raggiunge l’inverosimile già durante i primi minuti, quando i maniaci che sequestrano Alice le aizzano contro i soliti fottutissimi cani zombi già visti nel primo film. Anche questi dei dobermann riverniciati. Ma, cazzo, le altre razze canine si saranno mica estinte?
Se vi piacciono i paesaggi desertici, gli zombie oppure Milla Jovovich o Ali Larter, allora ne avete di buone ragioni per guardare questo film, altrimenti è meglio passare la mano.