Cinema

[Recensione]: Solo Dio perdona (Only God Forgives)

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In un modo o nell’altro, di Nicolas Winding Refn ci si può fidare.
Mi riferisco alla scelta di Ryan Gosling, quale attore protagonista dell’ultimo suo lavoro, Only God Forgives, e a un trailer occhieggiante che s’è sforzato di farci credere che questo film fosse una riedizione in salsa thailandese del precedente Drive.
Non mi dilungo:

se vi aspettate di vedere un nuovo Drive, dimenticatevelo. E soprattutto state lontani da questo film.

se conoscete Refn, allora potete immaginare a cosa andate incontro, e quindi restare.

Non che aver visto i lavori precedenti di questo regista indori la pillola in qualche modo.
Il gusto per la narrazione non lineare, il rifiuto categorico di parti spiegate o di dialoghi strumentali, l’intuizione e la rivelazione dell’intreccio affidate quasi esclusivamente a sequenze di stampo volutamente onirico… c’è tutto questo, c’è altro, ci siamo già passati.

Bisogna dare atto a Refn di una cosa: guardi un suo film e sai immediatamente che non è di Michael Bay, non di Del Toro, né di altri nomi coevi.
Refn è uno a cui piace non solo mostrare, ma suggerire, gettare piccoli indizi come molliche di pane. Poi, una volta seguita la pista fino alla fine, non si sa se ciò che troverete nella caverna delle idee vi piacerà, ma saprete che è roba sua.

E comunque, gestire il dopo-Drive facendo ancora il cinema che vuole lui è di classe, a prescindere dal film.

***

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Ci sono diverse inquadrature sui personaggi, visti però incorniciati nei vani di porte, ovvero con fasce verticali ai lati dello schermo (le pareti), che secondo me servono a centrare la narrazione sul personaggio inquadrato, a indicare che quegli istanti sono soltanto loro, e di nessun altro, neppure dello spettatore, momenti in cui la storia fa grandi balzi in avanti, ma solo per l’emotività dei protagonisti.

Gioca con le luci, Refn, rosso e blu, specie nel bordello, dove Julian (Ryan Gosling) trascorre le serate in contemplazione di Mai (Yayaying Rhatha Phongam), una prostituta di lusso, che è solita esibirsi senza farsi sfiorare, e legargli le mani ai braccioli della poltrona, con dei collant.

Bangkok è verde e grigia, notturna, così come rossi e blu sono i suoi night club. Atmosfera sulfurea che si sposa coi personaggi limite che si aggirano in questa sporca e immediata vicenda che ci porta dalla ricerca di distruzione totale alla vendetta, alla punizione dei colpevoli (tutti i colpevoli) da parte di Chang (Vithaya Pansringarm), un agente delle forze dell’ordine che segue un proprio codice d’onore, amministrando la giustizia di conseguenza, senza pietà e riguardo (cosa che in un certo senso fa riecheggiare il titolo, che si comprende appieno solo all’ultimo istante del film).

***

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Colori elementari, quindi, rosso e blu, sullo sfondo dei quali si muovono il nero (con colletto bianco) del vestito del poliziotto, nero come i sacerdoti, il rosso sangue della camicia di Billy (Tom Burke), fratello di Julian, che si mette la maschera per andare a far visita al diavolo, di notte, nelle strade di Bangkok. E il bianco della t-shirt di Julian, che non è innocenza, quanto fuga, rifiuto della realtà, lui è infatti un esule in terra straniera, dove però si occupa di smerciare droga.
Color dell’oro, invece, per Crystal (Kristin Scott Thomas), mamma di Billy e Julian, oro come i soldi che manovra, come i corridoi del lussuoso albergo che occupa.
L’unica che non ha un colore, eccetto il rosso simbolico di una tendina di cristalli che la copre di strisce, è Mai, a cui viene chiesto di indossare un vestito, una maschera, che dopo sarà costretta a togliere. L’unica innocente serba il colore della propria pelle.
Refn, quindi, ancora una volta gioca con l’apparenza, con la teoria della maschera, coi peccati. E lo fa attraverso una sinfonia di morte brutale, che culmina, omaggiando il cinema di Hong Kong, in un locale dove a musica cantata, da dive notturne truccate come bambole, si unisce una tortura tanto improvvisa quanto crudele e al tempo stesso fredda.

***

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Julian è l’opposto del Ragazzo di Drive, a modo suo un fallito, senza redenzione, ma con un grande rimorso. Uno si aspetta di vederlo picchiare i colpevoli.
Solo che… Refn si diverte a ribaltare gli stereotipi che lui stesso ha indotto a creare, suggerisce piani onirici che spingono a dubitare della realtà dei fatti, per poi far pesare quella stessa realtà, con una conclusione che spiazza e che lascia interdetti.
Alla fine, ci siamo accorti di aver guardato il film attraverso gli occhi dei protagonisti principali, che le mani sono l’oggettivazione delle nostre azioni, non solo il mezzo, ma il simbolo del modo in cui gestiamo la nostra esistenza, siano esse pulite, sporche, da esse dipende tutto, scelta, azione, simbolo, che il cinema è fatto ancora di suggestioni, e che se i registi si limitassero a narrare l’indispensabile, i film tornerebbero a durare novanta minuti, mettendo in scena l’essenziale, evitando il superfluo.
Quindi, lasciando da parte il giudizio sulla storia, rovinata dal trailer ammiccante, e che altro non è se non una storia di perdenti, gente che ha fatto del male e che finisce male, senza redenzione, l’esperienza visiva è gratificante, un rosso Suspiria contaminato di scaglie di drago: rinuncia alla cinetica in luogo dei piani lunghi, rilassati, colorati all’eccesso, eleganti fin nel delirio cromatico, tornando ancora una volta, la scenografia, a essere parte integrante del tessuto narrativo.

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Indice delle Recensioni QUI

Dello stesso regista:

Drive
Valhalla Rising
Bronson

Autore e editor di giorno, talvolta podcaster. /|\( ;,;)/|\ #followthefennec
    • 11 anni ago

    […] recensione scritta da […]

    • 11 anni ago

    Ecco, per una volta sono in totale disaccordo 🙂

    A parte questa cosa dei colori che era interessante, ma che io – francamente 😀 – non avevo mica notato al cinema, per me non si salva nulla di questo film. E come ti dicevo su Twitter io, ad esempio, Valhalla Rising l’ho apprezzato (ma magari solo perché c’erano i vichinghi!).

    Ho trovato orribile la madre (è la Versace!!), moscissimo il buon Ryan (che poi dai, lui che fa il fratello sfigato coi complessi e col p*sello piccolo? e ok, lasciamo stare quel diaologo…) e pure il “cattivo” era un tizio con la pancetta… A tutto questo si aggiunge che m’è piaciuta solo la lotta nella palestra (ma non m’ha entusiasmato) e anche la scena della tortura m’ha lasciato un po’ meh (ma dicevi che era volutamente fredda). E poi, poi… il karaoke!! Anche questo pare una citazione a non so cosa ma, anche se alla fine non era male, io da quando sono finito in un locale ungherese pieno di tizi ubriachi che cantavano a squarciagola – proprio al karaoke – Zombie dei The Cranberries, il karaoke proprio non riesco a sopportarlo…

    Infine ho capito solo a metà film che era ambientato a Bangkok.
    E questo ovviamente non depone a mio favore, ma ero convinto (non so perché) che fosse Hong Kong…

    Ecco, tutto questo per dire che abbiamo avuto due visioni estremamente diverse dello stesso film. E grazie per avermi fatto un po’ sfogare che tenersi dentro queste cose non fa bene 😉

      • 11 anni ago

      Quindi mi pare di capire che anche tu volevi il remake di Drive. 😀
      Invece a me è piaciuto proprio perché Ryan fa la figura del fesso e viene corcato di botte. È inatteso.
      Poi ho aspettato fino alla fine di vederlo esplodere e reagire contro il poliziotto, ma nulla… Refn lo odio. XD

        • 11 anni ago

        Ottimo, ho raggiunto il mio scopo! 😉

        • 11 anni ago

        Ho deciso, stasera scrivo a Refn. 😀

        • 11 anni ago

        Volevo solo chiarire un paio di punti per i posteri 😀

        • 11 anni ago

        Ah, ma figurati, non ti stavo contestando, era solo pour parler. ^^

        • 11 anni ago

        Mmmh

        A me sicuramente non ha deluso perché contrario al pensare comune, ma per tantissime altre cose.
        Alcune le ho già dette, altre tipo i dialoghi brutti (su cui vanno sicuramente a incidere in maniera negativa la traduzione e il doppiaggio, ma l’ho visto al cinema), la colonna sonora non entusiasmante (al contrario avevo adorato quella di Drive, ma io amo buona parte dell’elettronica francese – non Guetta e gentaglia assortita eh, e di Kavinsky ho visto pure un dj set – ma ancora ripeto non volevo un altro Drive, mi andava bene anche qualcosa di diverso, solo… boh, questa non m’è piaciuta molto) e il cast che non m’è sembrato al top…

        E bon, come dici te la vediamo in due modi differenti e più di così mi sa che non potremo mai avvicinarci su questo film. Ma il bello del cinema (eccetera) è anche questo.
        Refn continuo a reputarlo anch’io un regista (molto) interessante, ma per me questo è un passo falso. Amen.

        • 11 anni ago

        Ma non è questione di sceneggiatura, ecco. Non è detto che i personaggi debbano rispettare certi criteri ben accetti da tutti.
        In questo caso era intenzione presentare personaggi disfunzionali e negativi, tutti quanti.
        Il risultato delude, perché contrario al pensare comune.

        O almeno è così che la vedo.

        È un regista interessante.

        • 11 anni ago

        No no, non volevo un remake di Drive. Per quanto mi fosse piaciuto…

        E su Gosling che le prende da un tipo con la panzetta appassionato di karaoke ok, è una sorta di rivincita. Però boh, veramente non riesco a salvare niente (anche tutto questo simbolismo così esasperato non l’ho sopportato). Non fosse durato poco (e meno male che ci sono ancora film che durano “solo” un’ora e mezza) sarei probabilmente scappato dal cinema…

        Comunque tanto di cappello a Refn che dopo Drive non s’è seduto e ha fatto qualcosa di diverso e di difficile (forse troppo, per lui). Magari però la prossima volta che ti danno bei budget solo perché sei te assumi anche uno sceneggiatore, ecco.

    • 11 anni ago

    A parte Fear X sono riuscito a recuperare tutti i film di Refn e ormai è uno dei miei registi preferiti in assoluto.(Se non il preferito in assoluto). Della recensione mi piace molto anche l’analisi sull’uso dei colori , anche in merito ai personaggi. E chissà cosa ci riserverà Refn in futuro…

      • 11 anni ago

      È di sicuro quello più particolare.
      Grazie mille. 😉

    • 11 anni ago

    Purtroppo me lo sono perso al cinema (nonostante mi sia ripromesso di andarlo a vedere appena uscito, ma le forze del mondo reale remavano contro…).
    Da allora non vedo l’ora di vederlo, e leggere la tua recensione, molto bella, non fa altro che accentuare il desiderio. *O*

    Ciao,
    Gianluca

      • 11 anni ago

      Anche io ho perso l’uscita al cinema, passata di nascosto.
      Occhio solo a ciò che desideri, perché potresti trovarlo. Oppure restare spiazzato. 😀

        • 11 anni ago

        Ottimo, non vedo l’ora di leggere la rece. ^^

        • 11 anni ago

        Visto, e non sono rimasto spiazzato. Anzi, mi è piaciuto parecchio. 😀
        Certo, non è una visione facile. Del resto, per quasi citare lo stesso Refn, se uno cerca una visione facile, allora deve stare alla larga dal suo modo di fare cinema. 🙂

        La madre di Julian è uno dei personaggi più malvagi, perversi e deviati che abbia mai visto su uno schermo. :O

        Ciao,
        Gianluca