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Realismo e realtà – eXistenZ

Il problema dell’esistenza è la sua riproducibilità.
Dovendo creare un sistema, di gioco, simulazione o quant’altro, che rappresenti la realtà, la più grande difficoltà è riprodurla per ciò che è, ovvero ciò che i nostri limitati organi di senso ci trasmettono, quando ci parlano di essa.
La realtà, o la nostra esistenza, è non a caso a misura d’uomo, perché siamo noi a “crearla” attraverso i nostri cinque sensi. C’è chi ne vanta sei, addirittura sette, ma in quest’ultimo caso viaggereste a velocità prossime a quelle della luce… non divaghiamo.

existez_biopodQuel che è certo è che a sensi diversi, corrisponde realtà diversa.
Un cane o un gatto vedono il mondo in maniera diversa, perché i loro occhi sono in grado di catturare maggiori quantità di luce, il loro naso avverte una gamma di odori molto più vasta, le loro orecchie avvertono gli ultrasuoni.
A paragone con le altre creature, i sordi e ciechi siamo noi. Lo siamo sempre stati.

Ma questa limitatezza di sensi, per paradosso, potrebbe essere ciò di cui abbisogniamo per ricreare una realtà virtuale che ci soddisfi, o ci inganni, pienamente.
eXistenZ, di David Cronenberg va anche al di là di questo concetto, radicalizzandolo. Perché, di fatto, annulla il concetto stesso di reale, e lo fa tramite un sistema di gioco, carneo, un biopod derivato dal nostro stesso DNA, col quale entriamo in simbiosi attraverso una connessione che sa di cordone ombelicale, permette di viaggiare stando fermi, di penetrare il tessuto stesso della materia e di creare altri universi.

Siamo nel campo dei videogiochi, il sogno dei simulatori di vita è creare una vita alternativa. Sul perché si debba farlo non ci sono dubbi, per vivere tutto ciò che ci è negato in questa, non certo per riprodurla. E il discorso vale sia per i ricchi che per i poveri. Provare l’alternativa, persino il brivido della morte, della disconnessione.

Ma il punto è che, se eXistenZ condivide con Matrix l’anno di uscita, il 1999, e forse qualche furto di idea, non diciamo in quale direzione, il livello concettuale di eXistenZ sfonda il limite fisico del reale, lo rende astratto e incorporeo, assoluto, come una spirale, un eterno ritorno che sa di divinità.
Già nel titolo, con quella X e quella Z che in lingua ungherese assumono il significato di divino. Quello mostratoci da Cronenberg è al tempo stesso affermazione e negazione del tessuto del reale, un uroboro, un serpente che morde la coda, in cui quella che appare essere la realtà, all’inizio, è soltanto l’ennesima riproduzione di un sistema di gioco, che a sua volta propone un sistema di gioco in cui perdersi, e che si rivela essere un sistema di gioco sperimentato in una nuova realtà della quale alla fine arriviamo a dubitare.
Un po’ contorto, è vero, ma vediamo più in dettaglio.

Dicevamo del biopod: è, di fatto, un parassita, una creatura animale, una specie di dio dei sogni. Collegato alla bioporta, collocata alla base della colonna vertebrale, stimola la corteccia di coloro che si sono a esso collegati e li proietta in una realtà completamente nuova.
Ted Pikul (Jude Law) si chiede, durante una seduta di gioco, dove siano i loro corpi, rimasti altrove, collegati con la macchina, su un letto, mentre insieme a Allegra (Jennifer Jason Leigh) s’addentra in eXistenZ, la realtà virtuale, tangibile e vivibile. Ancora, si lamenta, una volta tornato nel proprio quotidiano, di non essere in grado di distinguere un posto dall’altro. Non ci sono, a parità di sollecitazione nervosa, o inganno dei sensi, se vogliamo, elementi che rivelino la verità di una realtà rispetto a un’altra.
In altre parole, si potrebbe concludere dicendo che il reale, esattamente come afferma Morpheus, non esiste, se non per quello che i nostri sensi riescono a percepire. Se essi sono ingannati, allora ciò che viviamo è reale.

eXistenZ fa nient’altro che questo: ipotizza una sorta di smarrimento della realtà dal momento in cui riusciremo a creare un sistema di gioco (o quant’altro) che ci sottragga alla nostra realtà per proiettarci in un’altra. In quel momento, ogni realtà vissuta avrà propria dimensione, pari dignità. Ecco perché si arriva a congetturare che, una volta creata una realtà virtuale, i crimini in essa commessi siano da considerare assolutamente reali. Come distinguere, infatti, ciò che è reale da ciò che non lo è?
La risposta non è, come potrebbe sembrare, nel tatto. Ciò che è tangibile è nient’altro ciò che il nostro tatto ci comunica.
Quindi se la tangibilità è un discriminante per la realtà, allora ciò che ci procura quella sensazione, la sensazione di poter essere toccata è reale, non importa se fisica o meno.
Medesima osservazione vale per tutti gli altri sensi. E non pensiate di potervela cavare con la scusa dell’autocoscienza, dato che non siamo capaci di definirla, a tutt’oggi.
A pensarci, potremmo già essere, a nostra volta, inseriti in una simulazione di sorta, aver rinunciato da tempo alle nostre vite coscienti, perché magari intrappolate in un presente poco gradevole, ed esserci rifugiati in un mondo reale, il più possibile aderente al nostro, o forse che se ne discosta in modo radicale.
A volte, dubitiamo della nostra stessa realtà. Non è capitato anche a voi?
Domandatevi il perché.

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