Un film di sessantatré minuti. Come si usava negli anni ’50. Ci sono gli infetti, più che i morti viventi. Ovviamente sono cannibali, rabbiosi e feroci. E truccati in modo efficace e suggestivo.
Uno spaccato di sopravvivenza come tanti ne abbiamo visti, e soprattutto letti, in questi mesi. Matrice teutonica.
Diciamo che questo Rammbock (Siege of the Dead) aveva tutte le carte in regola per annoiarmi a morte, come tanti sottoprodotti del filone zombesco apocalittico. E invece m’è persino dispiaciuto durasse così poco. Una mezz’ora in più a certi livelli sarebbe stata bene accetta.
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Tanto per cominciare il momento. Una mattina anonima e uggiosa. Un po’ di nuvolo, il tedio di iniziare la giornata lavorativa, il fastidio di dover riconsegnare le chiavi dell’appartamento alla vostra ragazza che vi ha lasciato.
Mentre entrate nel suo palazzo sentite un urlo. E un altro ancora. Ma che vi frega?
Sarà il solito pazzo depresso che sta per buttarsi dalla finestra.
E invece…
Poi il protagonista. Indubbiamente un medio-man, come piacciono a McNab. Cioè un attore, Michael Fuith, oggettivamente brutto, bolso e con un principio di calvizie. Tutte cose che subito ve lo rendono simpatico, perché è l’antitesi del personaggio idiota che di solito impesta questo tipo di produzioni.
Michael è anche il nome del personaggio che interpreta, che si trova a subire, nell’anonimo giorno normale di cui sopra, lo scatenarsi della Zombie Apocalypse.
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Il punto di forza è che il protagonista si caga sotto dalla paura, è vero, com’è normale se ognuno di noi fosse attaccato all’improvviso dall’idraulico che è venuto a riparare il tubo di scarico del lavello, per di più con la faccia rossa e gli occhi completamente bianchi, ma…
non perde tempo a cazzeggiare o a fare considerazioni da imbecille. È lì, è concentrato, il mondo sembra cadere a pezzi, ma lui è fisso nell’azione, ovvero sopravvivere.
Co-protagonista, l’aiuto-stagnaro Harper (Theo Trebs), giovane e reattivo. E poi, tutta una serie di comprimari, gli abitanti del condominio di Gabi (Anka Graczyk) la ex-ragazza di Michael, tutti vittime o protagonisti delle loro piccole manie, fobie e meschinità. Tutti ad affacciarsi sul cortile, invaso dai cannibali, e a scambiarsi opinioni e strategie.
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[contiene spoilers]
Immancabili, i bollettini di emergenza in tv, che annunciano la diffusione di un virus simile alla rabbia, ma attivato dall’adrenalina rilasciata nel sangue dal cuore in presenza di forti emozioni – ragion per cui, più ci si spaventa o ci si incazza e più il virus prende il controllo – , il monoscopio, dopo che le trasmissioni cessano, segno inequivocabile che le cose sono peggiorate, e la presa di coscienza che ciò che sta avvendendo è “fuori da ogni logica”.
Pecca gigantesca, in questo tipo di film, è che mai nessuno, a questo punto, osa inserire la citazione. Nel senso che, gli zombie/infetti esistono – al cinema – , la cultura moderna ne è impregnata. Perché cazzo i protagonisti si devono domandare “Ma cosa sono queste creature?”.
Risposta semplice: sono zombie/infetti.
“E”, come direbbe Goerge Clooney, “non voglio sentire stronzate del tipo – ma gli zombie non esistono! – perché nemmeno io credo agli zombie del cazzo, ma credo in quello che vedo. E quello che vedo sono zombie del cazzo. Allora, siamo tutti d’accordo nell’affermare che abbiamo a che fare con degli zombie del cazzo?” (cit.).
Semplice, no?
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Comunque, in Rammbock ci sono momenti estremamente interessanti. Al di là delle trovate intriganti e delle strategie di sopravvivenza ispirate dalla visione di cadaveri…
Il tentativo di risolvere anche le questioni personali in sospeso, genera, coadiuvato dalla colonna sonora classica (il Requiem di Mozart), ma azzeccatissima un’evoluzione molto, molto interessante dell’archetipo zombie, sempre più orientato verso la personalizzazione, ma al tempo stesso non snaturato della sua essenza primaria, ovvero l’essere un mostro, inteso come “prodigio”.
Insomma, pollice alto, nonostante la smaccata aderenza a un certo REC (2007) che di infetti e condomini ne aveva fatto un’arte. Ma se considerate che è un film per la tv…
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