Facciamo un po’ di analisi dell’internet, volete?
Stamane leggo questo post.
Leggetelo anche voi, è essenziale per capire il punto di partenza.
Ok, assumendo che l’abbiate letto, avrei qualcosa da dire in merito.
Cominciamo dal blog. Sì, da questo, e da tutti quelli a esso coetanei. Da almeno cinque anni leggo in giro che “il blog è morto”.
Forse è vero, forse è una forma di comunicazione superata, forse, come diceva Luca ieri in uno dei (rarissimi) commenti che ricevo, “fra quindici anni non me ne fregherà più nulla di avere un blog”. Chissà.
Quello che so è che, se da anni là fuori annunciano la morte dei blog, questo posto ha una sua fetta di pubblico costante, persino quando non aggiorno. C’è gente che mi fa visita quotidianamente, sono tanti. E per questo posso ringraziare sia il fedele pubblico, ma anche e soprattutto il fatto che il motore di ricerca sembra sempre indicizzarlo correttamente. Quindi i miei post, anche i più vecchi, sono molto ben piazzati, e attirano visitatori a distanza di anni.
Un misto tra affezione e ottima informatica.
Però c’è un fatto: da anni ho scoperto il modo di fare più visite, ovvero scrivere post come questo. Un po’ polemico, evidentemente iperbolico, che attira commentatori acidi e avidi di rimettermi in riga.
Perché tutti sono ansiosi, in un’epoca in cui non legge più nessuno, strano ma vero, di rimetterti al tuo posto. Di insegnarti come stare al mondo, ma soprattutto “il più classico dei classici” di spiegarti perché sbagli.
Il segreto per fare migliaia di visualizzazioni è questo, scrivere post del genere. A quel punto, chi ha dimenticato il piacere della lettura lo riscopre subito, per il gusto di dirti quando sbagli.
Io non lo adopero, questo metodo, per questioni di noia, ma funziona, credetemi. Funziona sempre.
Ma qui, abbiamo il paradosso del gatto imburrato.
Il paradosso è che, al contrario, post veramente interessanti, ma dai toni neutri, vengono sistematicamente ignorati.
E non c’è spiegazione, al riguardo. Che non sia il solito “bombardamento di informazioni” già citato nell’articolo linkato qui sopra, che ci ha resi insensibili a nuovi stimoli. O l’abbassamento della soglia dell’attenzione, o più semplicemente e tragicamente, che non ce ne frega più un cazzo di ciò che ci circonda, ma siamo perennnemente concentrati su noi stessi. Perché siamo tutti uguali agli altri.
Prendiamo facebook.
È noto che, di norma, il commentatore casuale che esprime un’opinione sotto un qualsiasi post non abbia letto il post in questione, perché non ha cliccato il link proposto, e ha invece preferito farsi una sua opinione (errata) dando un’occhiata veloce alla fotografia a corredo (i post privi di foto vengono sistematicamente ignorati) e, magari persino al titolo.
Tant’è che, ormai, l’unico sistema per catturate la loro attenzione per più di due secondi è caricare una gif animata.
La gif animata, di questi tempi, è meglio delle foto. Perché, essendo animata, uno sta lì a guardarla, attirato dal movimento.
È tutto qua. Il movimento cattura più del testo o dell’immagine statica.
Ma è un peggioramento. Come un peggioramento è stato privilegiare, a suo tempo, la foto al testo.
Chissà per quanto ancora le gif funzioneranno, fino a diventare, come tutto il resto, rumore di fondo.
Il perché siamo ridotti al punto tale da non riuscire nemmeno a cliccare un link e aprire una nuova scheda non lo so. So solo che le varie aziende di marketing, che non hanno fatto altro che assecondare l’instupidimento generale, secondo me non hanno fatto questo gran lavoro.
Perché all’imbarbarimento progressivo, alla mancanza d’attenzione progressiva, si è risposto sempre solo e soltanto con un massiccio aumento del rumore, un po’ come gli zombie romeriani attratti dai fuochi d’artificio.
Facile intuire, però, che questo sistema che oppone alla mancanza di stimoli la potenza dello stimolo stesso, è destinato a perire, perché, a un certo punto, se siamo circondati da fuochi d’artificio, essi scompaiono, nella massa di fuochi tutti uguali.
Il pubblico è morto? Io non credo. Credo che, semplicemente, siano cambiate le cose. La vita, come scrive l’articolista, è diventata proprio un sottofondo.
Perché è diventata uguale per tutti: almeno all’apparenza. Ridurre il tutto a “stanno tutti a farsi i selfie” è generalista, ma centra il punto. In pieno.
La vita, la (mancanza di) cultura, che vuole gli artisti relegati al ruolo di mendicanti e gli scrittori al ruolo di ciarlatani analfabeti, il pessimismo cosmico col quale siamo martellati dagli organi di informazione, che ci hanno fatto piombare in una di quelle distopie teorizzate negli anni Ottanta e prima, da scrittori che ancora facevano la differenza, non migliorano le cose.
E no, non è questo un post che offre soluzioni. Non posso certo trovare la soluzione per indurre un utente a cliccare su un link e a leggere un post, anziché fermarsi a guardare le figure. Non c’è.
L’unica cosa che attira attenzione e genera psicosi per reazione è, per paradosso, la fine delle trasmissioni.
Se facebook va in down per qualche minuto, la gente è presa dal panico.
Perché il rumore bianco di fondo è cessato, e il silenzio assoluto spaventa.
Anche qui, non è un bel segnale, ma è il mondo così come abbiamo contribuito a crearlo.
Adesso che ci siamo dentro, vediamo di capire come uscirne, se non ci piace. Con buona pace della musica, dell’arte, della scrittura. Che dovranno aspettare ancora un po’, per ritrovare la luce.