Che, messa così, sembrerebbe cosa ovvia.
Vi è mai capitato di stare in mezzo a una folla chiassosa?
Se sì, sapete bene a cosa mi riferisco: l’incapacità di distinguere un chiacchiericcio dall’altro. La perdita totale dei contenuti.
Ebbene, i creatori dei maggiori social media (tipo twitter), se ne sono – ohibò – resi conto.
Internet s’è rotto.
Questo il succo del discorso. Che poi vorrebbe dire che in molti si sono accorti che… sì, c’è qualcosa che non funziona, nell’utopia della libertà di parola.
Così, su due piedi, mi viene in mente Babele. La necessità di separare i linguaggi proprio per porre rimedio all’arroganza dilagante.
Un discorso metaforico, certo, ma che centrava il punto con saggezza, come ogni parabola.
E mi viene in mente anche che, com’è ovvio, questo tipo di ragionamenti si prestano a tutta una serie di eccezioni, e scoprono il fianco agli affondi.
Io, come tutti, mi sento parimenti un beneficiato da internet, e allo stesso tempo un maledetto da esso.
Ma facciamo un passo indietro.
Nel ’95, Clifford Stoll, di professione astronomo, diceva su Newsweek:
Your word gets out, leapfrogging editors and publishers. Every voice can be heard cheaply and instantly. The result? Every voice is heard. The cacophony more closely resembles citizens band radio, complete with handles, harassment, and anonymous threats. When most everyone shouts, few listen.
Ogni voce, per l’appunto, potrà essere udita per pochi spiccioli e instantaneamente.
Ogni voce sarà ascoltata.
E si perderà nel mare delle altre voci.
Era il 1995. E, siccome sono uno dei fortunati che ha visto entrambi i mondi, digitale e pre-digitale, mi ricordo ancora tante cose: tipo che il 1995 era, oltre che l’anno del diploma, l’alba della pirateria digitale.
Che ancora masterizzare un CD era azione non priva di rischi, un CD su dieci, forse uno su sette soleva infatti bruciarsi.
La tecnologia stava nascendo, stava nascendo l’internet veloce e, insieme alla meravigliosa possibilità di dialogare con chiunque in qualunque parte del mondo, stavano nascendo i troll.
Inutile spiegare chi siano i troll, ormai sono una specie sempre più diffusa e aggressiva di utenti dell’internet, e di abitanti del mondo esterno.
Ecco, piangere lacrime di coccodrillo è stupido. Probabilmente già all’epoca avremmo dovuto intuire (e forse più di qualcuno, oltre Stoll, lo capì) che fornire a chiunque la capacità di poter arrivare a chiunque sarebbe stata una gigantesca cazzata.
Le distanze, forse, mantenevano una parvenza d’ordine. Anche sociale.
Sembrava, ancora nel 1995, che per ottenere un risultato e diventare, che so, scrittore, astronauta, ingegnere, architetto, esperto di moda, si dovesse studiare, faticare, meritare – in definitiva – di essere accolti in un settore di veri esperti.
L’aver annullato la distanza e aver concesso a chiunque di poter dire la propria, spesso difendendo la magia contro la scienza, è diabolico.
Il risultato è la messa in discussione universale di ogni certezza. Certezze sulle quali ogni società ordinata necessita di fondarsi.
Altrimenti il risultato è l’anarchia.
E infatti…
Non m’è mai venuto in mente di andare da Joss Whedon, sul suo account Twitter, a insultarlo. Non m’è mai venuto in mente con nessun personaggio di un certo spessore.
Forse perché ho visto, come dicevo, entrambi i mondi. Sono nato e cresciuto sul confine, e sono tuttora convinto che una certa distanza debba esserci tra un utente semplice, e un regista, o scrittore o chiunque altro professionista affermato.
Ma non voglio dire che il mio modo di utilizzare internet sia giusto.
Né che gli amministratori che ora sì, piangono lacrime di coccodrillo, perché da quegli stessi social che “hanno rotto l’internet” hanno ricavato utili per miliardi di euro, ci salveranno.
Probabilmente Stoll era solo più saggio degli altri, o non aveva nulla da guadagnarci, mascherando all’epoca la natura nociva della libertà universale.
Probabilmente anche noi contemporanei avevamo bisogno di imparare la lezione antica come il mondo, che se tutti urlano nessuno ascolta. Che se tutti fanno come gli pare, invocando la libertà assoluta, il mondo finirà a scatafascio.
E, di seguito, che per farsi ascoltare e spiccare in mezzo alla calca occorre o urlare più forte, o pagare una divinità, un algoritmo, nel nostro caso, perché i nostri contenuti siano privilegiati, rispetto alla massa urlante.
Ecco, io da beneficiario di internet è questo l’aspetto che aborro di più, oggi: pagare (facebook, instagram o quant’altri) per essere visti, ascoltati, per arrivare alle persone.
Ciò che era libertà universale d’espressione è diventato sistema di caste, dove chi può permettersi di pagare emerge in ogni caso, chi no affonda nella cacofonia, finendo dimenticato, nel magma della libertà assoluta.
Per non accennare al fatto che qui, oggi, siamo soliti disprezzare la cosiddetta vanity press, ovvero chi paga per avere il proprio romanzo pubblicato, senza accorgerci che tutti noi facciamo esattamente la stessa cosa quando paghiamo i social media per “mettere in evidenza” i nostri post.
Siamo tutti vanity press, in questo mondo assolutamente libero.