Fumetti

Quando sognammo cyberpunk: Edgerunners

All’epoca si chiamava ancora Cyberpunk 2020.
Poi Mike Pondsmith, sulla soglia dei settanta, s’è reso conto che sì, la realtà aveva superato la fantasia, e ha deciso di potenziare la sua creatura, tirandola a lucido.
Ed è grandioso.

Poi ci infilo un video, che è sì musica ambientale, sì, è tratto da un videogame, ma che secondo me è l’essenza del cyberpunk, oggi.

Judy seduta sul molo fornisce l’atmosfera perfetta.
Tutto questo preambolo per farvi capire che Cyberpunk – ora – 2077 lo conosco bene, probabiilmente da più tempo di molti di voi. Non è una medaglia al valore, certo.
E Cyberpunk Edgerunners com’è?
Eccoci qua.
Perché la serie animata di Rafal Jaki ha compiuto la resurrezione. È un fenomeno trasversale, e globale, che andrebbe analizzato a parte: quello del prodotto – nuovo fiammante – che permette al pubblico distratto di recuperare il passato. Edgerunners ha permesso di ripescare il videogioco, e anche il gdr.
E parliamo, con Cyberpunk 2077, di un passato recentissimo. Ma è successo qualche mese fa, con Kate Bush. Capiterà di nuovo. E, forse, il motivo di questa distrazione globale è esso stesso cyberpunk.

Edgerunners, riassunto all’estremo, è la storia di David, un ragazzo che tira a campare nella povertà che, dopo l’assassinio della madre, decide di fare breaking bad, di diventare un cyberpunk, un criminale potenziato da innesti cibernetici, che gli consentono di compiere azioni sovrumane.

Come sempre, il meglio sta nel dettaglio. Se posso sorvolare sullo stile dell’animazione, ipercinetico, come da impianto Sandevistan, e ipercromatico per i miei gusti (ma, ehi, sono solo gusti; e comunque questo è più apprezzabile dell’animazione completamente in CGI), posso al contrario soffermarmi sul nostro futuro distopico, che in verità è già fuori dalla porta di casa.
David carica la lavatrice, ma il bucato s’interrompe a metà perché il credito è esaurito.
E ancora: la mamma di David deve essere operata, ma il “pacchetto” di cui dispone è quello economico, per cui ha diritto a cure meno sofisticate.
La BMW ha dotato i sedili di un servizio di riscaldamento che va pagato ogni mese.

Ecco, la storia della BMW è vera: sta succedendo davvero. Per riscaldarvi le chiappe pagherete una cifra mensile, come per Netflix.
Per cui, Pondsmith, e Jaki, non hanno fatto altro che sottoporre il nostro mondo sempre più cyberpsicopatico a un lifting, portando alle estreme conseguenze quello che non solo abbiamo già seminato, ma che stiamo già raccogliendo.

Sono questi i dettagli che fanno della storia di Edgerunners una storia di alta qualità. Certo, poi è un piacere imbattersi in nomi familiari, quali la Arasaka, la megacorporazione giapponese, il TraumaTeam, o il suddetto Sandevistan, l’impianto di contrabbando che garantisce a David prestazioni sovrumane. Ed è una storia violenta, come si addice all’alienazione cyberpunk, che vuole fondere il nostro io con la macchina.

E non solo, in una realtà che pasce nel virtuale e nel superumano, il sesso è un’esperienza per forza estraniante, perché amplificata dagli innesti cibernetici che acuiscono i sensi, e proiettata in mondi che esistono solo in questi ultimi. Intima e alienante allo stesso tempo.

Altro dettaglio convincente, che poi coincide con l’episodio più bello, il numero 6, è l’affrontare finalmente quello che per i vecchi giocatori del 2020 era lo spauracchio supremo: la cyberpsicosi, quell’alienazione che coglie il personaggio quando sta abusando con l’innesto di potenziamenti. Il metallo ti succhia via l’anima, e ti trasforma in uno psicopatico che indulge nelle stragi.
Quest’aspetto è trattato magnificamente, analizzato da coloro che lo vivono da spettatori e da chi sta sprofondando nell’abisso, che letteralmente riduce la percezione del prossimo a interferenze scure – glitch – su sfondi digitali di ricordi che nemmeno sono mai esistiti.

Poi sì, ovviamente vale, come in ogni discorso sul genere cyberpunk, qualsiasi richiamo agli autori che ne hanno segnato la nascita e lo sviluppo, ma questa, ovviamente,… è un’altra storia.

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