[Ci sono spoiler? Sì, no, forse, chissà… boh? Ma davvero li temete ancora?]
Per affrontare questa recensione, è necessario qualche chiarimento.
a) L’Italia è, insieme a quella regione Svizzera di lingua italiana, l’ultimo paese al mondo dov’è stato proiettato Prometheus.
Rischiavamo di vederlo a Ottobre, ma poi s’è deciso di risparmiarci questa ulteriore indecenza, ne abbiamo già parlato.
b) Ridley Scott è partito dall’idea di voler fare un prequel di Alien, ma poi ha cambiato idea:
Was originally conceived as a prequel to Ridley Scott’s Alien, but Scott announced his decision to turn it into an original film with Noomi Rapace (who was already set to star) still in the cast as one of five main characters. Some time later it was confirmed that while the movie would take place in the same universe as Alien and greatly reference that movie, it would mostly be an original movie and not a direct prequel. (fonte IMDb)
c) Sembra, e ribadisco, sembra, che nonostante l’immane ritardo nella distribuzione, accompagnato dalla reperibilità in rete in lingua originale, Prometheus stia andando pure bene nelle sale. Sebbene, la sala romana in cui l’ho visto fosse quasi vuota.
Riguardo quest’ultimo punto, l’idea che mi sono fatto è che il regista sia Ridley Scott. Ed è bello andare a vedere un film di Ridley Scott, avendo lucidato le zanne, premunendosi. Perché è altrettanto bello gettare merda, da spettatore saccente e so tutto io, su Ridley Scott.
La cui colpa è di aver sfornato almeno due capolavori. E sono capolavori, eh: Alien e Blade Runner.
Se uno sforna capolavori e torna a inzuppare il biscotto nelle stesse tematiche, allora lo si aspetta con la mazza da cricket. Giusto, no?
No.
Lo trovo un modo di fare un po’ infantile. Oltre che indicativo del fatto che il film lo si è visto essendo già prevenuti.
Al di là di questo, e considerando, se dobbiamo credere a Scott, che questo NON è un prequel di Alien, il che spiega come intenzionali delle scelte narrative che, in caso contrario, sarebbero da bollare come follia (tipo l’alieno col torace sfondato del primo film che doveva trovarsi in un certo punto, ma che invece muore da tutt’altra parte in questo) , Prometheus è un buon film.
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Non un capolavoro. Quelli, i capolavori, sei fortunato se riesci a sfornarne uno, figuriamoci due. Ma un buon film sì.
Intrattiene, non contiene scemenze, tranne forse la storia del DNA (ma a questa ci arriviamo tra un po’), sfodera ottimi effetti speciali, un 3D apprezzabile e segna l’inizio di un nuovo percorso fantascientifico; Scott infatti era al lavoro sul secondo episodio, la cui produzione è stata interrotta (non si sa se in via temporanea o definitiva, per la dipartita del fratello Tony).
Prometheus paga il portare il cognome Scott nei titoli di testa e coda e il riallacciarsi, non da prequel, alla celeberrima saga di Alien.
E questo aspetto, la saga di Alien, colloca il prodotto in un cantuccio ben preciso: impossibile aspettarsi un prodotto completamente innovativo, partendo da queste basi. Specie se poi si cede, pur non avendo voluto girare un prequel (sì, questa storia continua a ronzarmi in testa) al citazionismo estremo.
Citazionismo che, badate, non mi ha infastidito più di tanto, se non per il fatto che, vedere per la quarta volta l’androide di bordo decapitato, e la testa parlante ha un po’ stufato. Ecco, l’ho detto.
Ma posso, con tutto l’affetto che provo per questa saga, pensare che sia stato una testa di ponte (perdonate la battutona) con la vecchia storia. Sapete, quelle cose messe lì apposta per il pubblico nuovo. Agli appassionati spappolano le palle, a quelli nuovi e innocenti: WOW! Una testa parlante!
Ci siamo capiti.
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Prometheus pone molte domande importanti. Risponde soltanto a una di queste, e per il resto schiva le altre, saggiamente.
Nessuno sa rispondere al perché della Creazione.
La razza umana è stata creata per un motivo? Forse. O forse, come viene detto a David persona artificiale (Michael Fassbender), siamo stati creati perché i nostri creatori, questa razza aliena soprannominata Ingegneri dai terrestri che l’hanno scoperta, potevano farlo. E l’hanno fatto, esattamente come gli uomini hanno creato le persone artificiali che finiscono decapitate, e parlanti, in tutti i film della saga. Corsi e ricorsi storici.
A dirla tutta, nemmeno ho apprezzato la solita storia della solita coppia di archeologi che rinviene le solite tracce (graffiti rupestri) della solita civiltà scomparsa. Sa di Devilman e Go Nagai. A volte, basterebbe sedersi e pensarci un quarto d’ora in più, per creare qualcosa di meno banale.
Ma forse è il solito tentativo di non far sforzare troppo il cervellino degli spettatori. Dopotutto abbiamo a che fare con Scott, che era capace di narrare storie come ha fatto in Alien e Blade Runner, non dicendo o spiegando assolutamente nulla. Sa quindi di precisa strategia di produzione e marketing, i quali ritengono gli spettatori odierni molto più scemi di quelli dei primi anni ottanta.
A giudicare dalle chiavi di ricerca del mio blog, le cose stanno proprio così.
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Personalmente, trovo che il segreto che spiega il film stia nel titolo e nel prologo, in cui viene mostrato uno degli Ingegneri sacrificare se stesso per fecondare col proprio DNA le acque di un primitivo pianeta Terra.
È lui il Prometeo (non solo l’omonima nave spaziale), colui che ruba il segreto del fuoco agli dei (la sua stessa stirpe, divina perché in grado di creare la vita) e la cui discendenza, gli umani, è considerata da costoro un abuso, o un errore, o la conseguenza di una fecondazione non autorizzata.
Su questo snodo, a mio avviso, si costruisce il leit motiv del film. Non è spiegato, diversamente dal resto. Qui c’è ancora Ridley.
O forse si tratta solo di un mio abbaglio. Non più accecante dei molti altri letti in rete. Sempre abbagli sono.
La questione DNA è l’errore a cui accennavo in precedenza. Umani e Ingegneri risultano avere DNA identico. Il che ne farebbe identica specie. Eppure gli ingegneri sono alti quattro metri, muscolosi e tutti uguali, simili ma diversi da noi esseri umani, che dal nostro canto, siamo quello che siamo. Pensando al fatto che l’origine della vita sulla Terra si basa su una fusione di DNA alieno (degli ingegneri) con gli organismi unicellulari già presenti sul pianeta, il risultato dovrebbe essere un DNA simile, che faccia supporre una parentela, ma non identico.
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La missione sul pianeta degli Ingegneri è sponsorizzata dalla solita Weyland corporation che, al solito, dice una cosa e ne fa un’altra: dichiara di voler fare una missione esplorativa, e vuole in realtà carpire tutto ciò che si può carpire di utile da una civiltà tecnologicamente e scientificamente più avanzata della nostra.
Anche a questo riguardo, più che prequel sembra un remake. Ma vabbé…
Guy Pierce, che fa il vecchio Peter Weyland, che ci crediate o no, è conciato come il vecchio Biff Tannen (Pronto, McFly? C’è nessuno?). Sì, hanno preso un attore giovane e l’hanno invecchiato. E non si capisce perché non ne abbiano preso uno vecchio. E come non si sia stati capaci di ravvisare la somiglianza con Biff.
La storia è identica a quella di Alien: astronave che atterra, rinvenimento di un complesso alieno, rinvenimento di forme di vita aliene, contaminazione degli organismi umani da parte delle forme di vita aliene, mutazione.
Ok, Ridley, diciamoci la verità, non è un prequel: è un remake.
Ma ti voglio bene lo stesso.
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Charlize Theron è un’algida comandante di vascello. Bellissima e piuttosto brava. Noomi Rapace è ottima. A lei le scene più belle del film, compreso un intervento ginecologico splatteroso. Anche qui si tratta di evento atteso, ma reso molto bene.
In verità, tutto il film è fatto con mestiere, tantissimo mestiere. Non poteva essere altrimenti. E risulta godibile pur basandosi su una cosmogonia arcinota, dagli esiti scontati.
Ma su Prometheus ci si è ricamato troppo, tra scetticismo da troppa realtà (il cazzone della fila avanti che, abituato ai film di Ozpetek, dichiarava a fine primo tempo: “Che cazzata!”, sommo parere di una mente altrettanto somma, da misurare con lo scandaglio, però), all’appassionato che davvero, a causa del chiacchiericcio e delle aspettative nate col tempo e coi pettegolezzi, si aspettava che un prequel/non-prequel, fatto al giorno d’oggi, per gli spettatori d’oggi, col mercato in crisi com’è oggi, contenesse quella sana voglia e incoscienza pionieristica tipica d’un regista, com’era Scott, all’inizio della sua carriera.
Considerando il rimestaggio, il divertimento che dev’essere stato ricreare medesimi set, medesime atmosfere (seppur annichilite da un pessimo score e da un pessimo doppiaggio, che vanifica la tensione che pure, in certe sequenze dialogate, doveva esserci), il rischio legato e il punto debole del già visto, Prometheus è un film divertente, che purtroppo non farà epoca, come il capostipite, confidando però nei sequel, ma che non è senz’altro pessimo com’è stato scritto in giro da chi va col dente avvelenato.
Relax.
Quest’articolo è dedicato a Lucy.
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