È inutile che ve ne stiate lì a fissare il monitor con gli occhi sbarrati. Avete letto bene: Prince of Persia. Proprio quel film, proprio su questo blog. La proposta è partita da T’Pol: “Perché non ci vediamo un blockbuster?”. Già, le donne, anche quelle vulcaniane, hanno di questi poteri.
Vi dovete immaginare una vocina suadente. Fatto? Ok, da lì in poi la responsabilità è solo mia.
T’Pol, per chi non lo sapesse, è il nume tutelare di questo blog. Colei che ne favorisce la prosperità e la lunga vita.
Tra le [poche] ragioni che mi hanno spinto a scriverne c’è che anche a me piace definirmi un blogger “pane & salame”. Giusto, Alex? Qua nessuno è nobile di gusti [e di intenti] e con la puzza sotto al naso. E mi piace che le cose rimangano così. E ancora, nel caso non ve ne foste accorti, siamo a luglio…
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Qualche salto in meno
Parto col dire che è meno peggio di come mi aspettassi. Di sicuro superiore all’altra cine-pagnottella “Scontro di Titani“. Per una volta, il trailer è ingannevole perché, con la smania di mostrare la strafigaggine degli effetti speciali, fornisce un’idea distorta di quello che si vedrà. Com’era prevedibile, non troppi salti per il Principe di Persia. Una scelta di questo tipo avrebbe significato fedeltà al videogioco e nullità dell’intreccio. Molti combattimenti matrix-style, al rallentatore, e una “trama” fiabesca che sfrutta una cornice storica che sa di filtri magici e di palazzi del sultano per trarne fuori un pacco stereotipato, ma non inguardabile come avevo previsto.
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La “favolosa” Persia
È bene chiarire che non parliamo di una nuova pietra miliare o del riscatto del cinema commerciale. Ma non sono uno di quelli che spara a zero su un film se non ce n’è motivo. “Prince of Persia” non è niente di eccezionale, ma non mi ha neanche fatto sbadigliare a morte. È un prodotto Disney e la Disney, come ho sempre pensato, è “vittima”, più di altre case produttrici, dei limiti di pubblico che si è autoimposta. Limiti che, di tanto in tanto, negli anni ’70 e ’80 si divertiva a oltrepassare [con risultati senza alcun dubbio ambivalenti] e che adesso costituiscono confini invalicabili che costringono le storie entro certi limiti.
Il film prende le mosse dalla riedizione del videogame per PS2, mescolando le carte in tavola e introducendo alcuni fattori superflui e del tutto incomprensibili.
Il più evidente tra questi è la volontà di privare il Principe Dastan (Jake Gyllenhaal) del sangue reale: egli è un bastardello adottato dal Re di Persia un bel giorno al mercato e associato agli altri due figli legittimi, al quale addirittura è concesso il titolo di Principe.
Curioso, poi, notare come la Persia, questa terra favoleggiata in quel di Hollywood, divenga, a seconda del cineasta e delle esigenze di scena, Impero del Male stile “Guerre Stellari” quando ha a che fare, ad esempio, col biondo Alessandro Magno o con i 300 di Re Leonida oppure Impero Illuminato stile Stati Uniti d’America quando, come in questo caso, se la vede con un regno potenzialmente sospetto che ha il suo centro di potere nella fortezza di Alamut.
Nessun riferimento storico. La storia come la conosciamo noi non esiste in prodotti di questo tipo. Ribadisco che restano solo i nomi evocativi a costruire una parvenza di mitologia da “Mille e Una Notte”. Tutto il resto è decorazione sfarzosa e opulenta.
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Gli Stati Uniti e la Guerra
La Persia di questo film è gli Stati Uniti. È incredibile, man mano che procede la storia, ascoltare i motivi per i quali gli Stati Uniti/Persia invadono l’Alamut/Iraq: si sospetta che laggiù, tra le dune, stiano producendo armi da usare contro il Re dei Re…
Da questo accenno di denuncia sociale, che tuttavia non solo giunge con un ritardo imbarazzante, ma finisce col perdersi tra le Sabbie del Tempo così come tutte le altre motivazioni alla base dell’agire dei personaggi, si può evincere lo strano funambolismo al quale si sta dedicando la ben nota casa di produzione.
La storia delle armi di distruzione di massa… e c’era bisogno di andare in una Persia da videogioco per dire la loro?
Ovviamente, le armi dei ribelli non esistono e sono soltanto la scusa con la quale il perfido Nizam, un Ben Kingsley con l’ombretto, grande manipolatore, ha convinto i Persiani a invadere Alamut, una terra senza particolari interessi se non fosse per La Clessidra delle Sabbie del Tempo, un artefatto il cui utilizzo consente di controllare il fluire degli eventi e di cambiare il corso della storia.
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Indovina Chi?
Le scenografie sono in CG. Una computer graphic pesante e anche sprecata. Ve lo ripeto, avrete architetture improbabili di un’Asia Minore (?) lussureggiante, ma non ci sarà alcun Principe che le userà per fare parkour. Dastan si limita a fare quattro salti, sovrumani, certo, ma rispetto alle acrobazie del videogioco sono poca cosa.
Avrete la Principessa Tamina, un tipino tutto pepe antesignano della donna forte, saccente e cazzuta degli anni duemila incarnata da una Gemma Arterton bella in modo oltraggioso.
E avrete un baraccone che imita una storia. Sì, alla fin fine è proprio la storia che latita.
Attenzione, stiamo parlando di un film dal quale ci si aspetta almeno una trama divertente sul modello di “Indiana Jones”, no?
Eppure, quella magia che ancora oggi fa risultare le avventure del Dott. Jones appaganti, pare sia rimasta lì, nel Decennio Aureo ’80-’89.
Ora le storie si fanno stando attenti a non pestare i piedi a nessuno, secondo passaggi obbligati e un numero determinato e basso di combinazioni, secondo quella che può essere considerata, a tutti gli effetti, una distorta versione di “Indovina Chi?”. Alla fine si sa benissimo che è sempre Jack. Sempre lui. Nient’altro che lui.
Approfondimenti:
Scheda del Film su IMDb
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