Tra le tante curiosità riguardanti Predators ce ne sono tre in particolare che, loro malgrado, chiariscono molte cose:
1) Robert Rodriguez ha dichiarato che, nel concepire questo film, sequel diretto e non già remake/reboot di “Predator” e “Predator 2”, si è ispirato per le cose buone al primo film del 1987, per quelle cattive [da evitare assolutamente!], invece, tenendo presenti il film del 1990 e i successivi cross-over contro gli xenomorfi della saga di “Alien”.
2) John Debney, autore della colonna sonora, ha affermato che, nel comporre quest’ultima, si sarebbe lasciato influenzare da quella del 1987 di Alan Silvestri.
3) Nimròd Antal, il regista, ha preteso Adrien Brody come protagonista. Cioè, l’ha scelto proprio. Tra i tanti attori cazzuti e desiderosi d’azione, ha voluto proprio lui.
Il film, come ha detto Rodriguez, non è un remake, né un reboot, eh? Mi raccomando, non facciamo che cadete in quest’errore da principianti: è un sequel.
Eppure, già dopo i primissimi minuti, sono investito da una fastidiosissima sensazione di déjà-vu.
E la musica è bella, chiariamo, ma… è IDENTICA.
Altro che “influenzato”!
Il sequel cos’è, alla fine? Una riedizione aggiornata del “Predator” del 1987 sul quale sono stati montati effetti speciali “familiari”, per non dire altro, e la stessa colonna sonora. Lo stesso, identico score. Cazzo, è proprio quello!
Ma che volete? Sono omaggi. È questo ciò che sono. O no?
[se avete paura degli spoilers, allora non leggete!]
***
Il film inizia come inizia “Cube” (1997). I protagonisti vengono direttamente catapultati nella foresta/cubo. Una foresta impenetrabile eccetto che al nasone di Adrien Brody che gli consente di avanzare tra la fitta vegetazione senza machete. Poi spunta fuori anche il vero Machete (Danny Trejo), una breve apparizione, sufficiente, però, a mandare affan*ulo Brody per un paio di volte: gran soddisfazione! Successivamente è il turno della mitragliatrice multicanna, sfoggiata così, tanto per infilarci dentro un altro omaggio, ma che non basta a uccidere Brody, e della solita ragazza latino-americana tosta e cazzuta, un chiarissimo fetish dei Predators che vogliono solo sudamericane nelle loro battute di caccia. Qui, a dire il vero, la meraviglia è che non abbiano scritturato Michelle Rodriguez. Poi arriva, direttamente da “The Shield”, Walton Goggins, a quest’ultimo il ruolo del nero delinquetello scassapalle che straparla. Un unico problema, Goggins è un bianco, ma nella parte riesce persino più antipatico e stereotipato di un nero, tant’è che non si aspetta altro che un Predator gli faccia saltare il cranio…
E bla, bla, bla….
***
Siamo su un pianeta sconosciuto. I nostri avventurieri lo scoprono quasi subito quando, ohibò, guardando un bel panorama vedono qualcosa come un paio di satelliti in più, lassù nel cielo.
Una giungla aliena, quindi. E, altrettanto opportunamente, come non bastassero tre lune in cielo, spuntano fuori dei deliziosi animaletti cornuti che si mettono a inseguire i nostri.
Nel cast c’è anche Mahershalalhashbaz Ali (The 4400), il cui nome ho copincollato e non mi azzardo a tentare di leggere e/o scrivere che, a quanto sembra, possiede il sesto senso che aveva il buon Billy nel 1987: “C’è qualcosa lassù, tra gli alberi…”. Scatta, così, la visione termica in soggettiva. C’è il buon Predator di turno là, a guardarli e ad ascoltare in playback le vocione distorte delle sue future prede.
E poi Morpheus, ovvero Laurence Fishburne che, tenendo fede al nome dell’altro suo personaggio, si lancia in soporifere filippiche nel bel mezzo della caccia, quando il gruppo ha infine trovato un riparo, per la serie: Ok, siamo su un pianeta sconosciuto. Non abbiamo nessuna idea di come tornare a casa e, come se non bastasse, un branco di alieni cazzutissimi in armatura cyberpunk e ipertecnologici-invisibili e con visori termici ci dà la caccia, ma noi perdiamo ugualmente tempo a dire stronzate.
E, infine, Adrien. Cosa sarebbe il cinema odierno senza di lui? Adrien è la costante in film così tanto diversi tra loro, eppure simili: “King Kong”, “Giallo”, “Splice” e “Predators”. Sarà un caso?
Sono cose che lasciano il segno.
***
E si chiude con “Long Tall Sally”, stessa canzone del primo film. Stessa spiaggia, stesso mare, con le pinne, il fucile e gli occhiali.
E con Brody che, dal suo canto, si è pompato i muscoli per l’occasione, dato che il suo è il ruolo di Dutch (Schwarzenegger) anche se si chiama Royce, per affrontare il duello finale a torso nudo col mostro.
Questa è l’ennesima operazione commerciale che si nasconde dietro la definizione di sequel e che, in effetti, io stento a capire.
Il demerito maggiore è che tutto quello che si vede in questo film, l’ha già fatto vedere McTiernan più di vent’anni fa: il sensore termico, gli alieni invisibili, i mercenari che divengono prede, la giungla, il sangue fosforescente. Tutto già visto e, per fortuna/putroppo, già goduto.
D’accordo anche con un film che voglia portare il Predator alle nuove generazioni, ma fino a un certo punto, dato che lo porta anche ai nostalgici.
E i ruggiti e le brutte facce degli alieni? Hanno stufato. Loro e la loro caccia eterna e senza senso.
Si giunge, cosa grave che dà l’idea dello sfacelo che è questo “Predators”, a rimpiangere la caccia nel cubo di rubik componibile con Raoul Bova. Lì, per lo meno, Bova moriva e c’era Sanaa Lathan armata di lancia e ancora più sexy con la cicatrice sulla guancia. Non fosse stato per la luna del cacciatore…
Qui si va in sollucchero per il puntatore laser tricuspide sulla fronte di Morpheus e sul naso di Brody, per i cannoncini al plasma da spalla e per una lotta che è stantìa già da due decenni.
All’inizio Brody dorme mentre sta cadendo. Guardatelo e capirete. Il guaio è che rischiate di fare la stessa fine.
Altri articoli nell’indice Recensioni Film