Il titolo di questo post si spiega col gran caldo. Per tutti coloro che hanno partecipato al Survival Blog, il caldo è sinonimo di grandissimo pericolo. I gialli, quando le temperature si alzano, sono iperattivi, aggressivi, famelici e inarrestabili. Se si vuole sopravvivere, meglio non andarsene in giro, quando c’è caldo.
La Pioggia è, invece, sì un’esigenza personale, ma anche la teoria dei ricordi che si accalcano disordinati, ma al tempo stesso nitidi nella mia mente.
Non siete stanchi del Survival Blog. Proprio come me. Ci pensate tutti i giorni, anche e soprattutto con questo caldo. Vi ricordate cos’è stato, per ciascuno di voi, immaginare la fine di tutto, sentirla sulla vostra pelle.
Io l’ho fatto, in modo tanto personale e coinvolgente da aver visto ciò che ho scritto.
L’avete fatto anche voi.
Vi ho letto. Tutti. Alcune cose mi sono piaciute, altre meno. Altre ancora, queste, hanno lasciato tracce.
Queste sono immagini evocate da quello che voi avete scritto in questi mesi. Le immagini che mi sono piaciute di più. Quelle che, a distanza di tanto tempo, ancora ricordo vivide e chiare.
Eccole a voi:
Gianluca
Il suo post è intitolato 05/02/2016. Una data anonima, accompagnata da un orario impreciso, come piace a me, le 12.29.
La Sardegna è come un parco dei divertimenti alla rovescia. Anziché salvarsi, diventare un nuovo paradiso terrestre, è divenuta una bolgia stracolma di infetti, nella quale, come deportati, convergeranno gli indesiderati di un gruppo di potere che s’illude, parimenti, di poter controllare la penisola italiana.
Neppure il tempo di inorridire di fronte a questa rivelazione, che il protagonista scrive le sue ultime battute alla tastiera. Hanno sfondato, stanno gemendo nel tentativo di raggiungerlo. Sono i gialli.
Daniele
L’idea di svegliarsi in un’alba umidiccia e fredda, quel gelo che ti penetra nelle ossa, e rendersi conto che è tutto finito è terribile. Specie quando si è soli, in un villaggio tra i monti, accerchiati da fanatici che razziano le case e stanano i superstiti: sacchi di carne o fastidio, nulla di più.
Abitazioni sventrate, rugiada, nebbia, automobili arrugginite. Un sole pallido che si affaccia all’orizzonte a rischiarare il nulla.
L’apocalisse è una merda. Impossibile essere felici anche per un solo istante.
Andrew
Tramutarsi in vendetta. Senza speranza, scampo, o futuro. Solo una consapevolezza. Quella di dovere, voler combattere fino all’ultimo. Ma non contro i gialli, contro gli infetti, ma contro le ultime, stolide sacche di resistenza, e prepotenza del dopo: i gruppi paramilitari.
Una fuga, sangue, esplosioni e un nuovo destino. Crudo.
CyberLuke
Un collegamento video che sa di Doom, il videogioco. Uno di quei monitor che si affaccia sull’inferno quotidiano e ti mostra immagini sgranate, fatte alla bene e meglio, non si sa bene per quale motivo. Tanto il mondo è finito, perché quindi perdere tempo a parlare?
Ma questa è una domanda che ci si fa tutti i giorni. E intendo adesso che le cose vanno ancora bene.
E poi, il vaffanculo finale. Nella pietra.
Aurora
È un’infetta, avverte il cambiamento e, allo stesso tempo la voglia di uccidere. Nelle sue fughe nel bosco, a caccia di animali di cui cibarsi, vede il mondo che pare essere mutato, pur restando lo stesso (cit.). Una nuova intelligenza si sta affacciando pian piano, una nuova percezione. Il mondo dei Gialli deve essere mitico come quello abitato dalle fate e dai mostri del Sonno della Ragione.
Il vecchio che le fa da custode e giudice è debole e lei può ancora determinare il suo destino.
Marina
I ricordi dell’apocalisse sono grigi e chiassosi, dolci e surreali. Folli. Di tutte le immagini descritte da Marina, me ne sono rimaste impresse alcune più di altre. Gli affreschi sulla tomba, da lei stessa disegnati sono intriganti, certo, ma la prima che mi viene in mente è quella dei ponti fatti saltare in aria, per tagliare le vie di fuga, che sono anche vie d’accesso. E dopo i capelli rasati, e il corpo femminile che si rifiuta di essere tale. E il Chimico che se ne va via, verso la morte, canticchiando una canzone.
Nick
Il futuro dell’apocalisse gialla, molto in là negli anni, attraverso gli occhi di un vecchio malandato che guarda, con amore, a quel poco che è riuscito a costruire, ai suoi discendenti che, in futuro, dovranno affrontare nuovi lutti e sciagure. La Gialla, infezione ciclica e mai debellata del tutto, si ripresenta puntuale, mietendo vittime e imponendo alla orgogliosa razza umana un regime di stenti, benché reso confortevole, quasi familiare, da antiche abitudini, come quella di riunirsi intorno a un fuoco a raccontarsi favole del mondo che fu.
Faina
Di tutte le avventure della Faina mi ricordo quella luce blu, acquea e soffusa, che riempie il corridoio della villa-bunker che lo ospita. La Faina è animale selvatico, ed esplora il territorio che lo circonda, tenendolo prigioniero, per comprenderlo, impararlo a memoria, e infine sfruttarlo contro coloro che ne detengono il potere.
Si muove silenzioso, in una casa immersa nel sonno, per capire fin dove si può spingere, covando meraviglia per gli straordinari misteri che, si suppone, stiano in attesa dietro quelle porte che gli scorrono accanto. Un dungeon, un film un gioco di ruolo.
Cristina
Una terra dalla bianca indifferenza. Perché ricoperta di neve, ghiaccio. E soprattutto silenziosa. Dove casolari abbandonati spuntano qua è là, tutti uguali, tra colline brulle, desolate.
Fa freddo ed è difficile persino accendere un fuoco. Inverno. L’aria gelida trasmette i suoni che giungono come ancestrali cantilene di lingue ormai remote, i cui echi leggendari dispensano brividi. Facile che la ragione si smarrisca, in una terra così, e lasci il passo agli spiriti, alle leggende. Al mito.