Phenomena è lo spartiacque di Dario Argento. Per innumerevoli ragioni.
E se il perché legato al regista pare non avrà mai risposta definitiva che non sappia di scusa, resta questo titolo in particolare. Unico, coraggioso, persino libero. Inerente alla libertà creativa esercitata senza alcun controllo, senza pensare ai dettami del marketing, alle reazioni degli spettatori.
C’era una suggestione, quella che ebbe Argento quando apprese che in alcune indagini di polizia vengono usati gli insetti, c’era la voglia di scaricare ancora una volta le proprie fobie e metterle su pellicola,
Credo che, alla fine, parlando di sensazioni, ciò che passa per la testa agli autori siano emozioni molto simili, e che non hanno a che vedere col sacro fuoco dell’arte, ma con la consapevolezza di stare creando qualcosa di bello.
Forse questa consapevolezza non c’è più, per Dario Argento. Forse non ha più paura di nulla.
All’uscita di Phenomena avevo nove anni. E mi ricordo alcune cose, trasmesse in RAI.
Perché Dario Argento in Rai ci finiva spesso. Era in continua ascesa e ogni suo film era una specie di evento. Mi ricordo uno speciale sul dietro le quinte di Phenomena, che aveva tutti i numeri per stupire: tre milioni di insetti vivi, se non erro, appositamente allevati per questo film.
Uno scimpanzé in un ruolo principale (sì, ora ci sono scimmie autentiche).
Le sequenze oniriche, di sonnambulismo, girate con lenti speciali e… la polvere di caffè versata sull’acqua, per dare l’idea dello sciame, sovrapponendovi altre immagini.
Tecnica e artigianato. Forse allora si poteva dire davvero: un onesto artigiano del cinema.
Ma Dario Argento era altro, lo sappiamo tutti. Tutti quelli che ora sono alle prese con il “perché”.
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Esteticamente preferisco Suspiria. Anch’esso passato di recente in tv, presentato da lui stesso. Si presenta i film da solo, come in una specie di girone dantesco. L’esplosione di colori, mai eguagliata.
Ma la storia di Phenomena è tale, nella perversione, nella resa, nella morbosità, nell’esecuzione e nei colpi di scena senza tregua, che può essere considerato opera ultima. Completa.
E infatti, dopo Phenomena, il nulla.
La favola. Argento era ossessionato dalle favole, a ragione. Perché fanno paura, terrorizzano anche e soprattutto nei momenti di quiete. Perché nella favola, in quelle autentiche, che si rispettino, c’è il Male. Quello cattivo, che si nasconde, che è letale e non vuole redenzione. Il Male puro.
Chi legge, o guarda in questo caso, una favola, è il Male che cerca.
Ciò che gli era stato impedito ai tempi di Suspiria, Argento riesce a fare qui: sceglie attrici giovanissime e incentra la trama sugli eventi di sangue in un cantone Svizzero, la Transilvania della Svizzera, soffiata dal phon, il vento caldo che fa impazzire.
Ma più che sulla scuola, le dinamiche sono sulla protagonista, Jennifer (ovvero Jennifer Connelly), la cui storia è accessoria e giustamente messa in secondo piano rispetto al suo potere: controlla gli insetti con la mente, ed è amata da essi.
Elemento dirompente che, unito alle conoscenze scientifiche di John McGregor (Donald Pleasence), entomologo, si scontrerà col secondo fenomeno, stavolta innaturale, oltre il phon, che domina su quella regione: un omicida seriale.
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La regia di Argento, sempre dimentica della logicità dell’intreccio, a netta predilezione della efficacia brutale delle singole sequenze, si scatena senza tregua: gli insetti sono protagonisti, che nemmeno nei documentari. Le pupille della mosca, la grande sarcofaga, evocativa già nel nome, che aiuterà Jennifer a trovare la strada verso l’omicida, sono dettagliatissime, è possibile distinguerne le centinaia di occhi.
Un inferno ronzante d’insetti, tutti al servizio di un’esigenza superiore, la volontà della loro signora, la ragazzina Jennifer, l’attrice Jennifer, che se li fa camminare addosso. Sì, ok, la maggior parte delle interazioni sono false, affidate agli effetti di Luigi Cozzi, ma la grande sarcofaga e lo scarabeo si fanno davvero la passeggiatina sulle braccia. E non solo, Inga, la simpatica scimpanzè, che nel film proprio per lei aveva una predilezione, non la poteva vedere, Jennifer, e infatti le staccò quasi un dito con un morso.
La magia del cinema, perché in effetti, di questo odio sulla pellicola non c’è traccia.
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Argento inscena la morte di sua figlia Fiore, nella sequenza iniziale. Ecco, già questo dà l’idea di cos’era certo cinema, e di cosa è diventato, visto che ora non bastano nemmeno le cannonate.
Alla fine, pochi film come Phenomena riescono a comunicare attraverso temperature, quella del vento caldo che soffoca e causa la febbre, odori, il dolciastro della decomposizione, ma anche degli umori secreti dagli insetti che vogliono sedurre Jennifer, il fetore della vasca dei cadaveri e vermi, sul bordo della quale, una maestosa Daria Nicolodi imperversa di pura cattiveria e sadismo.
Ma non solo, è bene sottolineare la bellissima scena conclusiva, che parte dal tunnel sotterraneo in cui si insinua Jennifer, passa per la vasca, per terminare, dalla scoperta del bambino mostruoso, al doppio colpo di scena finale, quando per ben due volte, elementi della storia ormai rimossi ricompaiono in tutta la loro brutalità, esplodendo.
Non bastasse la musica evocativa, che s’insinua nelle colline erbose, portando con sé pollini ma anche quell’insetto funebre, che vive e pasteggia di cadaveri.
Le sequenze che vanno dalle lenti di Pleasence alle ali d’insetti che sbattono furiose, mentre in sottofondo soffia il vento tiepido, tre soli elementi e la promessa di un assassino, nelle larve tra le pieghe degli abiti. Pura evocazione.
Cinema.
Peccato che il “perché” sia ancora là. Immobile, stolido. Quasi arreso.
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