Cinema

Orphan: First Kill, la “vera” Esther

Scrissi del capostipite all’uscita, ormai anni fa, e rileggere quell’articolo, messo giù con lo stile e l’ottimismo di allora, fa uno strano effetto.
No, il futuro s’è rivelato migliore di quanto sperassi allora, per cui va bene. E, visto che il ritorno di Esther è stato del tutto inatteso e spettacolare, e visto che all’epoca in Orphan ci ho creduto solo io e forse un altro paio, mi sono detto che poteva essere interessante una veloce disamina.

Isabelle Fuhrman in “Orphan”, 2009

Prima di tutto: Maniac.
Qualsiasi film su una maniaca assassina che annovera Maniac nella colonna sonora va preso sul serio.
Orphan: First Kill fa parte di questo decennio, in cui i sequel di vecchi franchise di successo vengono prodotti con serietà. Ci sono voluti circa venticinque anni perché i produttori capissero questo concetto. In un franchise, uno qualsiasi, non basta il fascino di riportare sullo schermo protagonisti e strizzatine d’occhio assortite ai fan perché i suddetti produttori possano riempirsi le tasche e dormire in santa pace: occorrono buone storie. Incredibile.
First Kill fa di più: riporta sullo schermo Esther (che qui sappiamo chiamarsi Leena) e affida il personaggio alla stessa attrice di allora, Isabelle Fuhrman.

Isabelle Furhman ringiovanita in “Orphan:First Kill”, 2022


La cosa ci porta subito a una riflessione. Proprio nell’articolo su Orphan mi chiedevo quanto fosse giusto, o opportuno, impiegare attrici bambine in ruoli estremi; all’epoca, Fuhrman compì undici anni durante le riprese. Oggi ne ha ventitré, ma l’impiego della CGI per ringiovanirla, l’uso da parte degli altri attori di scarpe con suole alte e passerelle, e della prospettiva forzata, hanno fatto il resto. L’effetto è credibilissimo. Fuhrman è tornata ad avere nove anni, anche se Esther ne ha trenta, e la disfunzione ormonale che le ha bloccato la crescita, intrappolando una donna adulta (e psicopatica) nel corpo di una bambina.
Le conclusioni sono due: questa tecnica potrebbe a mio avviso essere usata maggiormente, d’ora in avanti, per sostituire attori e attrici giovanissimi, quanto meno nei ruoli estremi. Non che debba diventare la norma, ma è di sicuro un’ottima alternativa.
L’altra è che: mi piacerebbe vedere Esther in uno scontro all’ultimo sangue con Dakota Fanning, ringiovanita pure lei. Così da lasciarci alle spalle l’eredità degli anni Duemila.

Scherzi a parte: Orphan: First Kill è eccellente, si prende la briga di citare il primo Orphan fin dalla locandina, anche stavolta perfettamente simmetrica (se non si considera la macchia di sangue sulla spalla sinistra), che inquadra Esther di schiena (la prima era frontale), e inaugura, possibilmente, un filone dedicato all’assassina, qui meglio delineata, anche e soprattutto nelle uccisioni. Fuhrman è ora perfettamente in character, essendo un’adulta “intrappolata” in un corpo infantile, ed essendo un’ottima interprete (davvero poco sfruttata) fa suo il conflitto interiore e i desideri costantemente frustrati di Esther.
Questo, unito alla capacità di autori e regista di non offrire un remake del primo capitolo, con tanto di colpo di scena inatteso, fanno di First Kill un prequel validissimo. A livello di mera narrativa, First kill evita lungaggini e si concentra, pur introducendo Esther una seconda volta, su brevità e azione sapiente. Il conflitto accessorio ci evita di ronzare troppo intorno allo stupore suscitato dall’incongruità di Esther e ci permette di concentrarci sulla storia.

Sì, lo so, è sempre strano parteggiare per il cattivo. Esther è psicopatica, pericolosa, e purtroppo la dentiera la tradisce sul più bello, ma stavolta si misura con della feccia da par suo (julia Stiles su tutto il resto della “famigliola felice” che l’adotta), ma è un personaggio all’altezza dei grandi killer del cinema horror.
Scusa, Isabelle, non voglio intrappolarti in Esther per sempre, ma vorrei davvero rivederti con vestitini anacronistici e accento dell’est e improvvise esplosioni di violenza. Al più presto.

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