Mr Ransome andò al gabinetto e troppo tardi si rese conto che i ladri erano stati talmente meticolosi da far sparire sia la carta igienica che il portarotolo.
“Non c’è carta” gli gridò la moglie.
L’unico pezzo di carta reperibile in tutta la casa era il programma del Così [il Così fan Tutte], e mentre glielo passava dalla porta socchiusa Mrs Ransome notò -non senza soddisfazione- che il marito sarebbe stato costretto a pulirsi il didietro sul ritratto di Mozart.
Rigido e spesso com’era, il dépliant patinato […] risultò poco pratico e soprattutto inaffondabile; nonostante tre tirate di sciacquone, l’occhio risentito di Georg Solti [noto direttore d’orchestra] continuò a fulminare Mr Ransome dal buco della tazza.
Ecco, capita a volte di amare la letteratura. Tutta intera.
E’ così mi prendo la libertà di evadere dai temi comuni di questo blog, il fantastico e i suoi dintorni e, abbandonate brevemente le contaminazioni con le quali mi piace sfumare il reale, i mostri “veri” o presunti, i vampiri, gli zombi, le cose dallo spazio profondo e perché no, anche i licantropi col loro alito puzzolente, mi dedico ogni tanto alla lettura di un libro che mi dischiude il mistero buffo di una storia normale.
Protagonisti di questa due coniugi, Maurice e Rosemary Ransome, sposati da trentadue anni, senza figli. Avvocato meticoloso e pedante lui, con una passione per la musica classica e scarsa adattabilità, casalinga tranquilla e metodica lei, costantemente rimbrottata dal marito, che le contesta simpaticamente tutta una serie di mancanze di cui, a dire di lui, ella si rende autrice.
La vita di questa coppia scorre placida e monotona finché una sera, rientrando in casa da una scialba messinscena del Così fan Tutte, non la ritrovano svaligiata. Il furto, fin da subito, non appare ordinario. L’appartamento, infatti, è stato spogliato completamente. I ladri hanno portato via tutto, tant’è che Mrs Ransome esclama:
“Questi sono dei marziani. Cioè, dico, hanno portato via addirittura lo scopettino del gabinetto”
Svuotati della loro vecchia vita, i due coniugi devono fare i conti con la loro nuova realtà, tentando, tuttavia di capire cosa è successo è perché.
Questo è l’incipit di Nudi e Crudi (The Clothes They stood up in, 1996), dello scrittore e drammaturgo inglese Alan Bennett. Un racconto breve, di appena 95 pagine, non suddiviso. Una scena unica, ordinaria, ma straordinaria negli effetti e nello stile, un libriccino leggero e pulito nella scrittura; spassoso e paradossale in certi tratti che, alle volte, strizza l’occhio all’esistenzialismo, senza tuttavia divenire noioso o saccente, ma restando sempre godibile anche grazie alla splendida traduzione di Giulia Arborio Mella e Claudia Valeria Letizia.
Mettere nella tazza del water Georg Solti e il suo Mozart sa di satira crudele e di acido cotrappasso, ma si ride di gusto non appena ci si imbatte in argute diatribe sulla eventualità di trovare “ricordini” dei ladri sparsi qua e là per la casa:
“Quello del topo d’appartamenti è un mestiere che dà ansia. Il ladro sente spesso il bisogno di evacuare per scaricarsi”
dice un poliziotto, intervenuto sul luogo del furto e poi ancora:
“[…]. In una casa di Pangbourne l’avevano fatta dentro un’applique del Settecento. In qualunque altro campo [i ladri] avrebbero preso un’onoreficenza.”
Alla fine, mentre i nostri protagonisti fanno i conti con le loro manie e i loro vizi e con l’assenza del loro habitat quotidiano che gli è stato sottratto insieme a parte di sé, sembra che anche il mistero più grande, quello del furto bizzarro e perfetto, abbia una spiegazione logica e banale, per quanto fuori dell’ordinario.