Underground

Nightwalking – Boris Groh

Mi imbatto in Boris Groh, da San Pietroburgo.
Ancora in piena formazione. In divenire, direbbero alcuni. Come se poi volesse davvero significare che c’è una meta, prefissata per tutti, dopo la quale possiamo definirci “qualcosa” rispetto a “qualcos’altro”.
Catalogazioni non necessarie a parte, tra la sua produzione mi ha colpito particolarmente quello che potrebbe essere definito un ciclo, avente medesimo soggetto e non solo.

Una notte metropolitana, tempo da lupi. Tempo da San Pietroburgo, mi verrebbe da dire, e ancora suggestioni di un passato doloroso.

Insolitamente, ciò che resta di una guerra crudele è uno scheletro gigantesco.

Potremmo considerare questo scheletro alieno come simbolo di angoscia, terrore, malinconia e traumi passati.

 

Oppure come l’ossatura di una creatura aliena. Sola. E, in quanto tale, solitaria.

Costretta a vagare senza una meta, cercando, proprio come il mostro di Frankenstein, il proprio posto nel mondo, un senso alla propria esistenza.

Eppure, sembra che nelle ombre della notte, dove il gigante si nasconde, si possa trovare il conforto nell’amore puro di una bimba,

oppure la compagnia fugace di altre creature, simili, se non nell’aspetto, nella necessità ineluttabile di celarsi agli occhi dei mortali, nel buio, dove pare esserci un ruolo anche per loro:

generare incubi.

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