Un amico mi ha regalato il dvd di Memento, di Christopher Nolan. Anzi, la rara edizione doppia, quella che, nel secondo disco, cela la versione alternativa del film, che narra gli eventi in senso anterogrado e non retrogrado, come ci vengono presentati nel montaggio voluto dal regista.
Ebbene, in Memento ci vedo all’opera un supereroe, materiale sopraffino per i comics, la nascita di un malvagio costretto a scrivere i suoi ricordi sui fogliettini, sulle foto, fermo con la memoria a un certo istante nel passato, incapace di generare nuovi ricordi.
Un po’ il modo in cui sto gestendo il blog in questi giorni.
Un po’ anche l’atmosfera che volevo dare ai miei ebook supereroistici, anche se, sarò sincero, Memento non ha rappresentato fonte d’ispirazione per Marilyn. Quando ho concepito la mia protagonista, il film non lo ricordavo neppure.
E un po’ anche il fatto che ultimamente non riesco più a parlare di film in maniera canonica, devo destrutturarli secondo percorsi tutti miei. Per cui fatemi sapere se la cosa vi garba.
Quello che mi affascina di questo film è innanzitutto la struttura. La scelta di narrare gli eventi a ritroso per spiegare l’ultimo di essi è coraggiosa, in un mondo che stenta a capire persino le trame più lineari.
E, in secondo luogo, la mente. Il nostro mistero più grande, il nostro superpotere. A pensarci, è quel nucleo di materia grigia e molliccia, quella che ha creato questo posto, la capacità di scrivere ciò che non è scrittura in un non-luogo chiamato internet.
Ancor più affascinante è tentare di narrare le varianti al corretto funzionamento di questa: Memento è questo tentativo. Molto ben riuscito.
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Si parte da un disturbo reale, una condizione patologica denominata Amnesia Anterograda, ovvero, come già accennato, l’incapacità di generare nuovi ricordi oltre una certa data. Osservata soprattutto negli anni Cinquanta, negli ospedali psichiatrici dove, tra le varie cure a cui i pazienti erano sottoposti, ve n’era una che comprendeva l’asportazione di determinate parti del lobo temporale, con conseguente sorgere di deficit mnemonici. Altra causa è il danneggiamento dell’ippocampo, a seguito di una trauma cranico, il risultato è Memento, in parole povere un uomo che esiste, col proprio passato, cristallizzato nell’istante.
Impossibile neppure tentare di ipotizzare le sensazioni che un simile disturbo può suscitare. E anche se fosse possibile, bisogna considerare anche la questione dimenticanza. Quelle sensazioni sono destinate a essere cancellate per sempre, dopo breve tempo, e a riproporsi secondo un ciclo continuo.
Ce n’era abbastanza per trarne un film e strutturarlo attorno a un personaggio che crea la sua realtà su misura, sulla spinta della sopravvivenza.
Alla base della storia, infatti, c’è un motivo molto semplice: l’adattamento.
Esclusa l’ipotesi del suicidio, resta da stabilire come possa, un uomo affetto da amnesia anterograda, continuare a esistere.
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E la risposta è creandosi un mito, qualcosa da fare, da ripetere in maniera ossessiva, condizionando se stesso e spigendosi a compiere, meccanicamente, sempre la medesima azione, catena di eventi, che serve, in sostanza, a tenerlo occupato.
Risposta sensata, dal momento che la base solida dei ricordi del protagonista termina con l’omicidio della moglie, e che questa costituisce l’unica realtà che il personaggio ricorderà sempre, allora egli è costretto a organizzare il resto del suo tempo, su quell’unica base, sui fogliettini, sulle fotografie di gente che ha già visto, ma che non conosce, non conoscerà mai se non attraverso la propria scrittura, le note che egli scrive in calce alle foto e che devono determinare, non essendoci altri riscontri, le sue reazioni.
La parte fumettistica è il ciclo che Nolan crea, all’interno della stessa storia. Non una spirale, ma un serpente che si morde la coda, tenendo sempre presente che cinque anni dopo si sarebbe dedicato a Batman, l’idea che Memento costituisca narrazione fumettistica non sembra tanto remota. Il ciclo è anche il motivo che fa nascere il villain di questa storia.
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Memento ci presenta, in effetti, la genesi di un cattivo.
Gli elementi classici sono tutti presenti:
a) il passato traumatico
b) l’aiuto da parte di personaggi ambigui che lo sfruttano
c) il tradimento ai danni degli amici
d) la soddisfazione della vendetta raggiunta, ma che non paga la sete di sangue
e) l’auto-determinazione, consistente nella precisa volontà del personaggio di intraprendere un cammino di sangue, radicalizzato dal fatto che, dimenticandosene, le azioni divengono pure, basantesi soltanto su un’idea di giustizia.
La conseguenza è che Leonard Shelby (Guy Pierce) opera il male convinto di fare del bene, inganna se stesso, viene ingannato, ma è incapace di saperlo. Tutto concorre a un personaggio intenso e affascinante, complicatissimo e ben interpretato.
Altro aspetto, non meno importante rispetto a quelli già elencati, è la presenza di un costume, come ogni creatura a fumetti che si rispetti: il costume di Shelby è la sua pelle, sulla quale egli si tatua le direttive fondamentali, quelle da non perdere, i mezzi di sostentamento per l’anima, la sua esigenza di vendetta.
Egli ha compiuto la scelta di seguire le frasi sul suo corpo come verità assolute. Impossibile prescindere da esse, perché farlo vorrebbe dire mettere in discussione tutto il sistema del reale, una cosa troppo grande e complicata per le limitate facoltà mentali di cui dispone. La vita ora è diretta, semplice, senza problemi, si tratta solo di alzarsi ogni mattina e ricomporre il puzzle che egli stesso si crea giorno per giorno. Un cattivo d’eccezione.