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L’utopia della specie umana

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Riflettevo sulla smisurata messa in onda di prodotti per l’intrattenimento, e su quanto debba essere difficile, a conti fatti e considerata la realtà attuale, per ciascuno di essi, emergere e concentrare le attenzioni di una manciata di milioni di individui. Riflettete: MILIONI di spettatori. E sono comunque pochi nel mare magnum che è la Terra.
Alcuni di questi prodotti vengono scelti e diventano serie di successo.
Altri diventano niente. (cit.)
Altri ancora, come Utopia, le provano tutte, la più evidente è ostentare una ipercromia che ferisce quasi le cornee, quel giallo canarino che accompagna il titolo e, in secondo luogo, ambientare una cospirazione mondiale nelle bucoliche lande dell’entroterra inglese, affidando il tutto a un killer panzone e (presumibilmente) cardiopatico, visto il costante affanno che lo contraddistingue, a sua volta al servizio di vecchi potenti, quei maestri sconosciuti che vivono in stanze male illuminate e foderate di pannelli di legno scolpiti da qualche artista fiammingo nel Cinquecento, e che sono tanto ricchi da potersi permettere preoccupazioni che vadano al di là del mal di denti, dell’angoscia, della sfiga e delle tasse da pagare. Una preoccupazione per tutte: salvare il mondo.

E salvare il mondo, quando il mondo è così individualista da non voler essere salvato in nome della libertà che tanto ama e della quale tanto abusa, può essere missione impossibile. E in ogni caso moralmente discutibile.

Comunque, il paradosso è che Utopia, mini-serie inglese da sei+sei episodi è, bellissimo e tragico allo stesso tempo, afflitta anch’essa, essendo una tra le innumerevoli serie, dal problema che si prefigge di annientare tramite il balletto dei suoi protagonisti: la sovrappopolazione mondiale.

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Siamo troppi, su questo pezzo di roccia.
Lo sappiamo. O meglio dovremmo.
A seconda di quali criteri di valutazione vengano usati, il pianeta Terra, considerato nel momento attuale, con le attuali risorse (e sprechi), è in grado di sostenere una popolazione umana che si aggiri tra i quattro e i sedici miliardi di individui.

Ovvero, secondo alcuni studi, nella merda ci siamo già, ci siamo sprofondati ben tre miliardi di esseri umani fa.

Fa specie, come quasi tutto quello che la specie umana compie, che il nostro annientamento, messo da parte (forse, si spera) il nucleare, avvenga grazie a noi stessi, come sempre.
Abbiamo dichiarato guerra alle malattie.
Le abbiamo sconfitte quasi tutte allungandoci la vita.
E il risultato è che siamo diventati troppi, assetati e affamati.

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Nel 2050, probabilmente, avremo superato i dieci miliardi di persone.
Tutte interconnesse.
Tutte con ogni aspetto dello scibile umano a portata di mano (che scelgono volentieri di ignorare pascendo nella passività totale), ma, con ogni probabilità, con l’acqua razionata, il cibo e persino la capacità di figliare.
Le nascite saranno controllate. Meglio ancora proibite.

Ovvero, stiamo cadendo a pesce nelle fauci di un futuro che è sempre più simile al genere narrativo che adoro: la distopia.
Un futuro negativo sotto ogni aspetto, in cui la vita sia malsana e impossibile, ma nel quale saremo costretti a vivere, perché ci circonderà. Ci saremo dentro. O lo saranno i nostri figli, se ne avremo.
Nel 2050 avrò circa ottant’anni. Forse riuscirò a vedere coi miei occhi cosa siamo stati in grado di fare, con la nostra idiozia.
Ché non è più nemmeno cecità.
È solo idiozia.
Abbiamo fallito, in quanto specie (ben poco) intelligente.

A meno che…
A meno che…
A meno che non si adotti una soluzione coraggiosa. Talmente coraggiosa da infastidire il nostro piccolo quotidiano, quelle certezze futili nelle quali ci crogioliamo fin da quando siamo nati, che ci sono state tramandate come valori solo per una faccenda di cultura, ovvero di consuetudine storica.

Sarebbe il caso di pensare come specie, non più come singoli.
Ma è inutile, non cambierà nulla.
A meno che non si usino le maniere forti. Le uniche maniere che la specie umana riesce, storicamente, a capire.

Ecco. Tutto questo lo trovate in una miniserie inglese, che si permette il lusso, riuscendoci in pieno, di imbastire un intrattenimento efficace come pochi, trattando in modo non banale un problema che…

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Ma è inutile insistere. Nessuno accetterà mai l’idea che la propria libertà personale venga limitata per esigenze di sopravvivenza dell’… intera specie umana.
Perché siamo piccoli e limitati.
E la strada che avremmo dovuto percorrere, forse, è già finita. O meglio ancora, ci siamo smarriti, ognuno andandosene per i fatti suoi.

Kick-ass writer, terrific editor, short-tempered human being. Please, DO hesitate to contact me by phone.
  • Il problema della sovrappopolazione è noto da decenni (e anche la fantascienza se n’è ampiamente occupata).
    Da una parte è vero che negli ultimi vent’anni il reddito, la speranza di vita e l’accesso al cibo sono aumentati nel cosiddetto terzo mondo, dall’altra però questo potrebbe proprio essere il problema: in Collasso di Jared Diamond, si portano vari esempi di collasso di civiltà e a volte il crollo non avveniva dopo un lungo declino bensì repentinamente, dopo che la civiltà raggiungeva il suo “massimo” (in termini di popolazione ed estensione).

    • Ciao, benvenuto. 😉

  • Oggi come oggi sono più che altro guerre e disorganizzazione a creare la fame (dove c’è) perché di cibo se ne può produrre abbastanza. Domani, se l’energia dovesse diventare più costosa (fine del petrolio ecc…) sarebbe più difficile fertilizzare il terreno, conservare il cibo, trasportarlo e distribuirlo.
    Anche senza questo problema con gli attuali ritmi di crescita demografica potremmo arrivare presto al momento in cui le risorse saranno ampiamente insufficienti. Magari proprio mentre contemporaneamente eventi climatici mettono fuori uso altro terreno fertile.

    E comunque dire alla gente di smetterla di fare così tanti figli lascia il tempo che trova. Chi prolifica troppo sono proprio i più poveri (quelli che non stanno nemmeno a sentire, e se ascoltano il parere di qualcuno è quello di un prete che vuole più pedine per giocare alla guerra…).
    Esistono già paesi polveriera (uno non è poi così lontano, ed è l’Egitto) dove milioni di persone campano di sussidi e non esiste all’orizzonte una possibilità di impiegarli in modo produttivo.

    Magari una soluzione si trova. Magari no. È fin troppo facile prevedere un “redde rationem” dalla portata allucinante.
    E tutto succede mentre i potenti, e anche la gente comune, si occupano di altro… A dire il vero quando bloggavo su questi argomenti un annetto fa concludevo proprio con…. credo che l’esurimento delle risorse e la sovrappopolazione siano la catastrofe più probabile a cui andiamo incontro, e quindi il più plausibile scenario, anche se non si realizza in breve tempo e non è il più drammatico, né il più semplice e nemmeno quello che stimola in maniera più drammatica la fantasia. Credo, anzi, che la possibilità concreta che le cose vadano così ispiri ai più una voglia irrefrenabile… di non pensarci.

    • Ma infatti credo che andrà così, per certi versi ci siamo già dentro. Probabilmente patiremo la fame quando saremo troppo vecchi per combatterla.
      Minchia, che desolazione.

  • A voi il tipo non piacerà (per dirla tutta non è nemmeno il mio genere musicale di riferimento), ma questa canzone io la trovo da sempre alquanto “illuminante”.

    “E ora che sono stupido si sta Dio, contando che quello intelligente ero solo io”.

    https://www.youtube.com/watch?v=qMWfmTwcneg

  • La prospettiva di un mondo sovrappopolato (più di adesso) e totalmente interconnesso mi spaventa alquanto *_*
    Mi immagino miliardi di imbecilli connessi a Facebook, intenti a leggere due parole per status e a partecipare a polemiche di cui nemmeno capiscono il senso.
    Mentre là fuori magari scoppiano guerre e si patisce la fame.
    In effetti siamo già a inizio distopia. Mi pare impossibile innestare la retro, non senza – metaforicamente parlando – tirare sotto un po’ di gente.

    Comunque un conto è essere individualisti (io lo sono), un’altra cosa è fregarsene di qualunque cosa e chiudere gli occhi su tutto ciò che può darci fastidio, sperando che sparisca da sé.

    Io resto del parere che il grande problema della modernità è che la gente non vuole capire, informarsi, studiare… Ora che abbiamo i mezzi per diventare più o meno onniscienti, li usiamo soltanto per fotografare il piatto di pasta da pubblicare su Instagram.
    Quale salvezza ci si può aspettare?

    • Per l’appunto, come diceva una foto che ho postato oggi, nell’era dell’informazione, l’ignoranza è una scelta.
      Scelta sbagliata.
      E comunque è paradossale che più si ha a portata di mano la conoscenza e meno la si brami. Secoli fa accadeva l’opposto.

      • Ho capito, ma è un discorso che tende a ristabilire un nuovo medioevo, dove, lo sappiamo, comandava chi deteneva la conoscenza.
        Se credessi alle cospirazioni, ecco, questa è una di quelle: tesa alla creazione di una massa di gente stupida e ignorante, a cui sottrarre man mano la conoscenza.
        D’altronde c’è gente che va in panico quando facebook è irraggiungibile per un quarto d’ora.
        Siamo alla frutta. Marcia.

        Ed è proprio quello il punto, l’assoluta volontà di NON informarsi su niente, nemmeno sul libretto d’istruzioni di uno smartphone.

      • È stata portata avanti unacampagna culturale molto sottile e molto efficente per inculcare alla maggioranza l’idea fondamentale che “Troppa conoscenza è male”.
        Una delle più popolari serie televisive degli ultimi quindici anni aveva comemessaggio finale “Non siamo pronti per la tecnologia.”
        Ma è untema diffuso nell’intrattenimento – fate un picoclo censimento – ciò che non sai non può farti male, meglio non sapere, “ignorance is bliss”…
        Non è casuale.
        C’è una moda intellettuale, un trend culturale che vuole la svalutazione della conoscenza, specie della conoscenza scientifica – meglio assumere un atteggiamento blasé, o meglio abbracciare i complottismi… “tutto ciò che sai è falso”.
        È un classico caso di paralisi da panico – davanti a scelte ce comportano responsabilità, meglio delegittimare la conoscenza che rende quelle scelte necessarie.

      • Può dipendere dal fatto che non ci siamo dovuti sudare nulla?
        Abbiamo Internet, per dire, ma nessuno tranne gli addetti ai lavori conosce come funziona davvero. Se lo sono trovati davanti e lo usano a cazzo.
        Io quando ho iniziato a navigare (’97) dovevo imparare tutto, e c’erano poche cose intuitive. Fare un sito era un casino, scrivere una mail era molto meno automatico di adesso. E i tastini “like” non erano nemmeno nella fantasia dei tecnici più in gamba.
        Ora qualunque imbecille può sedersi davanti alla sua tastiera e scrivere idiozie, spesso anche pericolose. Questo senza avere nessuna conoscenza pratica, non solo del mezzo che utilizza, ma nemmeno di ciò che parla.

        Però è un discorso pericoloso, si rischia di andare nel “si stava meglio quando si stava peggio”, e sai bene che io non sono di quella parrocchia.
        Ma qualche domanda è lecito farsela.

  • Non è né strano né insolito che l’estinzione venga innescata dall’eccessivo successo.
    I cianobatteri dominarono il mondo per milioni di anni – e riproducendosi a dismisura produssero quantità enormi del loro principale prodotto di scarto: l’ossigeno, che per loro era letale.
    Oggi sopravvivono sui fondali anossici dell’oceano, e nel nostro intestino.
    Certo, loro erano batteri – non avevano molte possibilità di cambiare.
    Noi la possibilità di cambiare noi stessi ce l’abbiamo.
    il problema è che finora la soluzione l’abbiamo chiesta alle persone sbagliate.
    Non a coloro che conoscono e riconoscono il cambiamento – gli scienziati – ed hanno le risposte, per quanto scomode, ma a coloro che promettono stabilità, coloro che promettono un premio per l’inazione.
    Noi vi avevamo avvisati.
    Voi avete preferito fidarvi di altri.
    La vostra scelta di suicidarvi significa anche la nostra morte – ma le combo omicidio-suicidio non sono né strane, né insolite.
    E qui ci vorrebbe la frase che dice il sommergibilista russo alla fine di caccia a Ottobre Rosso…

    • Ma infatti è palese che il problema è l’inazione. Il fallimento alla base della politica attuale è l’inazione, l’incoscienza della popolazione, l’assoluta mancanza di agire per qualcosa di più elevato rispetto all’orticello.