La scarna nota biografica di Olivia Charmaine, sul suo sito personale, dice soltanto che lei è un’artista, che vive insegnando a se stessa, giorno dopo giorno, come si disegna e si dipinge.
Non credo serva molto altro, a capire quale sia la fortuna di questa donna, né elencare l’elenco dei suoi celebri clienti.
A parlare per lei sono le sue opere e, guardandole, sfogliandone il portfolio che trovate linkato in fondo a questo articolo, sembra che la chiave di lettura della sua produzione artistica sia una e una sola, universale, seppure complessa e, per questo, caratterizzata da infiniti orizzonti interpretativi del medesimo soggetto: la donna.
Che è presente nella quasi totalità dei lavori di Olivia Charmaine.
Di più, ancora, sembra quasi che la donna sia la costante universale, un po’ come la terra, e che da essa, dentro e fuori di essa, o comunque partendo da essa, si voglia esplorare ogni aspetto della vita.
Sicché partiamo da semplici silhouette, nero su bianco, dove a profili femminili vengono associati concetti, navi, biciclette, palchi di corna (ma non ridiamo, non di adulterio si parla, bensì, se si ha la memoria lunga e si ricordano eventuali riferimenti pop, andiamo con la mente alla prima vittima della prima stagione di True Detective, così addobbata, come sacrificio, dal Re in Giallo, etc…), e dalle silhouette concettuali si passa propriamente al vissuto.
Che è sempre, profondamente, collegato alla concettualità, ma prevede una conoscenza più estrema del concetto stesso, che non a caso noi associamo a due termini in particolare: vissuto e incarnato.
Trattasi di “donne” che incarnano, per l’appunto, i sette peccati capitali, qui ho scelto Avarizia e Invidia, che sono, come detto, donne perché la donna è il metro di paragone, la creazione e l’elemento alla base del tutto, la costante sine qua non.
I corpi splendidamente disegnati da una sapiente anatomia vengono deformati, consumati, fusi o percepiti attraverso uno sguardo diverso, altro.
Percorrendo in ciò, soprattutto nella differente percezione di medesimo soggetto, che tuttavia inscena, di volta in volta, differente significato, correnti artistiche che hanno segnano gli interi due secoli precedenti al nostro attuale, quando l’occhio dell’artista aveva il dovere morale di trasfigurare la realtà secondo il suo gusto, la sua cultura, la sua passione, i suoi “demoni”, infine.
Sì, chissà perché parlare ancora di demoni nell’arte ha un senso, tanto quanto faccia ridere nella scrittura.
Forse perché, complici intelletti ambiziosi e irrefrenabili, l’arte figurativa ha saputo evolvere, lontana dalla censura morale, mutando, col passare delle epoche la percezione dei propri demoni, la loro forma e sostanza.
In più, avverto nella compresenza di carne e ossa, quasi una visione che vada attraverso la sostanza, una trasfigurazione di creature al tempo stesso vive e morte, oppure l’idea alla base è suggerire, ancora una volta, medesima matrice, rispetto alla differente estetica. A riprova che la donna è assoluto metro di paragone abbiamo l’ultimo dipinto che prendo in esame, Etherea, che ritrae una figura con alle spalle uno squarcio di cielo e che sembra mutare la sua natura, coi capelli che, a poco a poco, assumono l’aspetto di piume, per condurre il materialismo verso un volo della mente.
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