Sto qui, il giorno di Santo Stefano, a pensare a come iniziare a parlarvi de L’ultimo esorcismo. Compito mica facile, perché questo film presta il volto a innumerevoli secchiate di merda che voi spettatori vorreste tirare contro chiunque: attori, troupe, regista, produttori. Chiunque.
Qualcosa di interessante c’è pure, eh. Non fa schifo proprio tutto. Ma è come cercare le pepite nel Klondike. Un lavoro appassionante, ma allo stesso tempo frustrante.
Poi, tanto per gradire, vi pongo subito qui una domanda a bruciapelo, così non potete accampare scuse del tipo tl;dr (too long; didn’t read); incredibile, ma c’è chi la usa ancora quando non ha voglia di leggere. La domanda è: non vi sembra che il doppiaggio de L’ultimo esorcismo sia estemporaneo?
A questo punto, si può pensare a discernere del film.
Mockumentary, low budget, circa 2 milioni di dollari, campagna pubblicitaria virale sotto forma di falsi spogliarelli, via webcam, di ragazze possedute, L’ultimo esorcismo ha guadagnato dieci volte tanto nel solo primo weekend di programmazione. Alla faccia di chi pensa che questi trucchetti non funzionino più.
E invece, funzionano eccome. E, in modo inspiegabile, riescono a far credere di avere a che fare con un film horror da scombussolare gli intestini. Una roba che non si vedeva più almeno dal 1973.
Gran bell’anno, quello. Quando già si ricorreva ai mecha per far ruotare la testa di Regan.
Oggi, invece, si preferisce assoldare una contorsionista attrice che, difficile da credere, sembra abbia fatto tutto da sola, senza effetti speciali. Meglio addirittura di Jennifer Carpenter.
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Ovviamente, il predicatore
Forse la trama la conoscete. Questo è l’ultimo esorcismo di Cotton Marcus (Patrick Fabian), predicatore pittoresco e rumoroso di una parrocchia americana. Marcus è un uomo fortunato, carismatico, predica la fede, ma non la razzola. Le sue guarigioni e i suoi rituali di esorcismo hanno avuto successo in più occasioni, mentre in un’altra il tutto si è concluso tragicamente, ma non è questo il punto. La realtà è che Marcus sembra essere convinto che l’inganno, perpetrato ai danni di chi è convinto di essere vittima dei veri raggiri del demonio, sia mezzo utile per liberarlo dalla sua auto-inflitta, ed evidentemente falsa, ossessione. In pratica un raggiro, quando a fin di bene, è un sistema come un altro per incassare la propria percentuale. Se poi funziona davvero, liberando il soggetto dalle sue fissazioni, tanto meglio.
E Cotton è un bel personaggio. Attenzione, è inconsistente e invisibile, ma lo è al punto giusto. E alla fine sembra tenere più al corretto vocabolario sessuale, stile urban dictionary, impiegato, piuttosto che tentare di sconfiggere Satana con la potenza della sua forza spirituale, ma calza a pennello.
Un truffatore, tronfio e soddisfatto di esserlo, consapevole dei propri mezzucci, che si porta dietro una telecamera e un tecnico (donna) del suono.
A vederla così, l’idea alla base non è affatto male.
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Lavoro di bocca
L’ignoranza tutta americana in materia di Esorcismo e di Chiesa Cattolica, dal lato squisitamente storico, è insondabile. E si vede dalla comparsa, nei minuti iniziali, di un ritaglio di giornale recante un titolo che è tanto spassoso quanto assurdo: ovviamente la solita bordata anti-clericale gratuita.
Ricordando che io non sono qui a difendere nessuno e che questo è un articolo che discute solo del film e solo di quello, gradirei in ogni caso che tali produzioni fossero scevre da queste manipolazioni idiote.
O che almeno gli sceneggiatori si documentassero, a un livello elementare, prima di scrivere puttanate.
Ma, al di là di tutto, mi sfugge, per l’ennesima volta, il senso dell’impianto del film.
Ragazzina posseduta, famiglia inutile, bigotta, sospettosa e sospettata, campagna, stalla, animali terrorizzati, slogature e smorfie, vestiti intrisi di sangue, voci dall’oltretomba che sbagliano a pronunciare l’equivalente americano di fellatio. E persino un ragazzino gay.
A risolvere il rebus, un predicatore scettico.
Oltre al già visto, se ci si ricorda di Emily Rose e delle sue traversie acrobatiche, è proprio lo scopo dell’intreccio a sfuggire.
Sarebbe stato splendido, davvero, assistere a un nuovo Giordano Bruno, o rappresentante tale, che si prende la sua rivincita sul buio medioevo dell’ecclesia.
E invece, come al solito, alla fine è lo scetticismo a prendersela in quel posto.
Perché il diavolo non solo esiste, ma gli fa anche un culo così. E non solo. Nel frattempo, già che c’è, si prende anche la rivincita sugli innumerevoli culti germinati dal cristianesimo. Insomma, ne ha per tutti, il principe del male, e non guarda in faccia a nessuno.
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Contorsioni
A questo punto, Cotton Marcus va bene tanto quanto qualunque altro rappresentante di qualsiasi altra fede religiosa. Anzi, in lui si ravvisa un pesante simbolismo infarcito di bieca dottrina moralista. Cotton potrebbe rappresentare il consumismo: un male fin troppo noto a tutti.
Ragion per cui, le contorsioni della ragazzina Nell sono nulla al confronto di quelle della trama per montare un giusto contrappasso.
Tra le altre cose, intreccio noioso da morire che sul finale sfocia nel farsesco. E non esagero. Si ride e anche tanto.
Contaminazioni da Blair Witch Project, La Casa, Amityville Horror, Rosemary’s Baby e La Nona Porta, senza tralasciare REC, primo e secondo e, ovviamente, Emily Rose.
Forse sono diventato più cinico di quanto ricordassi, ma proprio non sono riuscito a provare tensione o ansia o angoscia o qualcosa di simile per tutta l’ora e mezza di durata.
Unica scena degna di nota, forse, è l’annegamento di una bambola di gomma in una vasca da bagno. La sequenza suggerisce una probabile patologia psichica come causa scatenante i disturbi della ragazzina. Ed è l’unica che, in definitiva, ti fa dubitare di stare assistendo a un prodotto superiore alle aspettative.
Ma è una suggestione della durata di un battito d’ali di un colibrì. Il tempo di dire “Cazzo!”, ed è già finito tutto.
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