Underground

L’oblio di Stanisław Szukalski

Mi imbatto per caso in un documentario su un vecchio.
Basso, con gli occhi azzurri e vispi, fissato col misurare le braccia a chiunque, ai benzinai, ai facchini, agli ospiti in casa sua. Chiunque. Ci andava vicino con una scusa, ai suoi “bersagli”, tirava fuori un metro a nastro giallo, di quelli da sarto, e dai di misurazioni.
Il vecchio aveva la mente fervida e aveva sviluppato una teoria personale dell’evoluzione.
Si chiamava Stanisław Szukalski. E, proprio come l’autore del documentario, non l’avevo mai sentito prima.

La sua caratteristica firma “a serpente” si notava subito, in basso, sui suoi quadri.
La prima impressione che ho avuto di fronte al primo disegno di questo sconosciuto artista polacco è stata che il classicismo fosse stato preso con entrambe le mani e teso, sbattuto e lavorato come pasta, fino a straziarne le proporzioni perfette, piegandole allo spasimo.
Il secondo è stato automatico: attribuire a quello stile così potente l’aggettivo moderno.
Le sue opere sono potenti e moderne, e non tanto per dire. Si avverte, in esse, l’enorme capacità dell’artista, e la sensibilità di modificare la concezione dell’arte al variare delle epoche.
Strano, per uno che, a dire suo e di chi lo conosceva bene, era una monade. Impermeabile a chiunque altro che non fosse lui stesso. Tutto era mediocre, al suo cospetto. E Picasso, be’, Picasso era Picasshole.

Se, per caso, si volesse immaginare lo stile greco-romano ai nostri giorni, uno dovrebbe fare la stessa operazione di Stanisław Szukalski, nel tentativo di sfuggire alla riduzione classicista.
Non è classicismo, quello di Stanisław Szukalski.
È, come spesso accade in presenza di personalità sensibili, il monologo di un autodidatta, eccezionalmente dotato, tanto che per lui la definizione di genio non andrebbe sprecata, un volta tanto.

C’è un mistero, attorno a questo vecchio, che da giovane è stato spettatore del più grande e terribile evento della storia umana, la Seconda Guerra Mondiale, affascinato brevemente, in ciò veicolando la sua idea di arte polacca nazionalista – che doveva richiamarsi alla mitologia indigena – dalle correnti d’odio e supremazia che percorrevano la polveriera Europa, in procinto di esplodere, firmò, insieme agli altri artisti suoi seguaci, una rivista dai contenuti antisemiti, stampata in appena un centinaio di copie.
E lo odio un po’, per questo.

Stanisław Szukalski, in perenne altalena tra gli Stati Uniti, sua patria d’adozione, dove pure era diventato una personalità artistica, e la sua patria natale, dove anelava primeggiare e finalmente vedersi riconoscere il titolo di più grande artista del suo tempo, conobbe la Guerra, quando i nazisti invasero la Polonia sottoponendola a massicci bombardamenti. Tutto il lavoro di una vita, oltre settanta sculture, venne distrutto in poche ore, e lui e la moglie, rimasti in possesso di sole tre valigie, tornarono ancora una volta in America.

“Il pollice opponibile ha creato tutte le civiltà”

È la storia di un fallimento doloroso, quella di Stanisław Szukalski. E di una rinascita ideologica.
La cui fascinazione sta tutta nella lotta, parola che dà anche il titolo al documentario, Struggle. La lotta di una personalità infinitamente caparbia, sciocca e talentuosa.
Il vecchio non era un buffone, non millantava il suo talento. Forse era l’unico che poteva permettersi davvero di chiamare Picasso in quel modo, e non sembrare pazzo. Probabilmente è stato il più grande scultore della sua epoca.

I famosi scultori del XIX secolo, acclamati dappertutto come Rodin, non avrebbero retto il confronto con lui. Non gli avrebbero retto nulla, nemmeno un testicolo. (R. Williams)

Mi capita di rado di essere attratto in maniera così assoluta da un’opera d’arte, di volerne scoprire ogni angolo (le sculture di Szukalski sono iperdettagliate e ricchissime di simbolismo) di apprezzarne, come detto, la maestria d’esecuzione e il dialogo con l’epoca coeva e futura.

Szukalski è stato sedotto dalle teorie del male. Ma non fu un criminale di guerra.
Solo un uomo.
Poteva cadere, o restare e combattere, o scegliere e sostenere la parte sbagliata. Dopo aver perso tutto ha scelto la fuga.
Prima di fuggire, e prima dei bombardamenti, aveva anche progettato una statua commissionata dal Partito Nazista, che avrebbe dovuto celebrare il Fuhrer.
Il suo progetto era un Hitler in tutù, versione ballerina, che forse si preparava a danzare sulle ceneri d’Europa.
L’opera fu scartata. E lui, ormai nella vecchiaia, sogghignava ripensando allo sdegnoso rifiuto che ebbe dai nazisti.

Stanisław Szukalski ha perso tutto e, per i successivi quarant’anni ha rivisto molte delle sue convinzioni etiche e morali. È la storia di un vinto, che non è più riuscito a risollevarsi, a racimolare denaro a sufficienza per poter fondere in bronzo moltissime sue opere in gesso.
Pensateci: uno scultore eccelso, che ha conosciuto la fama e la gloria, ridotto a lavorare il gesso.
Poi sì, c’è la faccenda della sua teoria dell’evoluzione, lo Zermatismo, che ci voleva tutti discendenti dall’isola di Pasqua, minacciati nella nostra felicità dai discendenti degli Yeti (motivo per il quale, io credo, aveva la mania di misurare le braccia…). Ma questa, non so, è una ricerca che sa di eccentricità e nient’altro.
Il vero Stanisław Szukalski è quello redento e malinconico al cui ricordo l’autore del filmato ancora oggi si commuove, è quello che, dandogli i mezzi materiali, in qualche mese ti tirava fuori, nonostante gli ottanta e passa anni, un capolavoro. Il vero Stanisław Szukalski è l’ennesimo uomo che non è mai sceso a patti, ha sbagliato nel modo più totale, pagando con una vita di solitudine e sconfitte, di quelle che ti velano gli occhi di lucido nella vecchiaia, nonostante gli affetti.

Leonardo Dicaprio, insieme al padre, accanto a un’opera di Szukalski

Ma per fortuna, un po’ grazie a Leonardo Dicaprio, non so come, ma in giovane età venuto a conoscere di persona il vecchio polacco, che ha prodotto il documentario, un po’ grazie ai suoi amici e curatori, alcune delle sue opere sono state fuse in bronzo, altre recuperate dalle ceneri della storia, in Polonia.
Oggi, movimenti di estrema destra polacchi impiegano Stanisław Szukalski, la sua figura e il suo carisma, come simbolo dell’indipendenza nazionalista.
Chi gli ha voluto bene assicura che, di fronte a questi e a tutti gli estremismi, la misura del vecchio era ormai colma, e che avrebbe solo avuto da vomitare, a riguardo. E a me piace credere a questi ultimi. La redenzione è affascinante. Solo gli idioti sono sicuri di non aver mai sbagliato. E non si pentono mai.

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