“Cerchi di dirmi che hai fatto una cazzata senza sembrare stupido? Non è facile, sai?”
Questa frase, scovata nella mia memoria e appartenente non so più a quale film [ragion per cui, se vi sovviene, segnalatemelo] è magnifica nell’incarnare una discussione di questo tipo, ovvero sui rimaneggiamenti perpetrati ai danni delle opere d’arte, o aspiranti tali.
È giusto o meno mettere le mani sul lavoro altrui per renderlo, come dire, maggiormente fruibile alla più grande fascia di pubblico possibile, ovvero per incassare più soldi?
Non sono un illuso e so benissimo che anche la pubblicità, se ben fatta, partecipa al successo di un film. Per cui non muovetemi obiezioni di questo tipo.
Ma qui si sta assistendo a qualcos’altro. Si assiste alla commercializzazione estrema, basata su statistiche, sondaggi, indagini, interviste fatte con l’unico obiettivo di dare in pasto alle platee ciò che la maggioranza di coloro che le compongono dice di volere. E solo a questo.
Questo non è cinema. Non più. È uno scaracchio in faccia all’arte e anche al semplice intrattenimento, divenuto, oramai, di massa.
E parlo di cinema, ma potrei parlare di letteratura come di qualsiasi altra espressione artistica che, ormai, di geniale e spontaneo non ha più nulla. Il fuoco della creatività è bello che spento. E, quel che è peggio, sembra che non covi neppure più sotto la cenere…
Gira un articolo già da una decina di giorni, ormai, sul sito “Cinematic Happenings Under Development“, “CHUD” per gli amici, che vi linko qui, sul vero “Clash of the Titans”, o meglio, su come avrebbe dovuto essere il film e su come è in realtà. Così mi riferirò a quest’articolo e a “Scontro di Titani”, ma è come se stessi parlando di tanti altri film e romanzi, etc…
A cominciare dal 3D-non-3D, implementato [che termine “cool”!] in fretta e furia perché: 1) va di moda il 3D, 2) “Avatar”, in 3D, è stato un successo mondiale e 3) così va più gente al cinema; passando per il consesso degli dei, luccicanti e sontuosi e che, l’avrete certamente notato, non se li caga nessuno, perdonate l’espressione, per 95 minuti di film e a stento si vedono; per concludere, in questo breve riassunto, con Io, la fidanzata imposta a Perseo perché doveva esserci il romance, così che le ragazzine potessero sospirare beate e sognare di Sam Worthington, quando, lo sanno anche i sassi, i matrimoni combinati non funzionano mai. Ce n’è di roba che non va, in questo “Clash of the Titans”. E mi chiedevo il perché, come si fosse riusciti a fallire in maniera così egregia, dal mio punto di vista, su tutta la linea nella creazione di un bell’intreccio. E poi scopro che sono stati apportati leggeri cambiamenti…
My suspicion is that the changes were made in an effort to give the film a broader playability – and to some extent the box office numbers prove that the changes certainly didn’t hurt the movie’s business.
Mi fa ridere a crepapelle pensare che gli interventi di cui sopra sono stati progettati e decisi per migliorare la riuscita del film, il suo impatto sul pubblico, per, in definitiva… incassare di più. Incassare o incazzare? E no, perché a un certo punto io, da spettatore qualsiasi, potrei pure perdere la pazienza e sentirmi leggermente manipolato dal solito “Consiglio dei Dieci Assenti” o da chi per loro. O no? Tornando allo “Scontro di Titani”, pare legittimo chiedersi non dove finisca, ma dove inizi il lavoro di Louis Leterrier, maltrattato da tutti, me compreso, perché è quello che, avendoci messo il nome, si è anche assunto la responsabilità del risultato e dell’intero papocchio di “Clash of the Titans”, e dove finisca quello dei rimaneggioni incaricati dal marketing.
The most drastic changes in the film come at the expense of the gods. Many watching the movie wonder why Danny Huston would have been hired to play Poseidon when he has almost absolutely nothing to do in the film; the answer is that nearly two thirds of the business with the gods was edited out of the film, and the very tenor of the god scenes was changed in fundamental ways.
Secondo Devin Faraci, l’autore dell’articolo citato poc’anzi, il film avrebbe dovuto prevedere molto più spazio per le figure degli dei, Poseidone in particolare, e con questo si spiega la scelta di affidare la parte a Danny Huston, non precisamente una comparsa. Ma da comparsa è stato, alla luce dei fatti, il ruolo di Poseidone.
Voi l’avete visto? Dove cavolo stava? Nascosto dietro le chiappe metalizzate di Zeus? Io a stento me ne sono accorto.
Zeus avrebbe dovuto essere cagione del mito cinematografico di Perseo, causa della ribellione degli uomini contro gli dei e, come sarebbe stato giusto, altero e sprezzante riguardo i mortali, le cui grida per un dio sono poco più che ronzii fastidiosi e non già un padre e mentore amorevole e accorto per un eroe che calza scomode scarpe, che proprio non gli vanno a genio così come il suo destino.
There’s more. In the film Zeus has a mysterious and unexplainable change of heart about Perseus, his bastard son. While Perseus is on a quest to destroy the gods Zeus shows up and helps him out, which doesn’t quite make sense. In the original script (and the original cut) it wasn’t Zeus who showed up to give Perseus the coin he needed to cross the River Styx – it was Apollo. Apollo, Perseus’ half-brother, takes it upon himself to help the demigod out because he understands that Hades is playing Zeus and that all of the Olympians are heading for a big fall. The god of the underworld would be happy to see the rest of the pantheon destroyed. Apollo and Athena essentially betray the other Olympians to give a boost to Perseus, thinking that he could be the one to shake things up enough to allow a change in Olympus. There’s a layer of palace intrigue here, with the gods planning and plotting against each other. The exclusion of all of this meant that the coin scene needed to be reshot, with Zeus getting most of Apollo’s dialog; more than that it meant that much of the layered, almost Claudian drama in the script was completely discarded.
Ma, ve lo immaginate un dio? Quale fragore, quale immensità debba rappresentare? La sua vista, per tutti i mortali, sarebbe insostenibile. E, invece, abbiamo avuto il buon samaritano stile Qui-Gon Jinn che si fa infinocchiare dal fratellino Ade, il cattivone cinto di ombre e fiamme infernali che, come da copione rimaneggiato, trama e ordisce complotti ridicoli persino se paragonati a quelli che Skeletor tesseva contro He-Man, ma che vanno per la maggiore perché facili da capire (!).
Più spazio alle divinità minori, Apollo e Atena che, stando a quanto afferma Devin, comprendendo il pericolo corso dagli dei, derivante dall’assenza di culto loro tributato che si traduce nella perdità della loro essenza divina, avrebbero dovuto aiutare in più occasioni Perseo nella lotta contro suo padre.
All of those changes to theme and to the central concept of the gods necessitated a change in the ending. The final scene of the theatrical cut is, frankly, disastrous – not only is Perseus suddenly best buddies with Zeus, but Io, who had previously called eternal lifea curse,is resurrected in what we’re supposed to accept as a happy ending. None of this could be farther from the ending of the original script and, presumably, Leterrier’s first cut of the film.
E ancora motivazioni più credibili, non dico eccelse, ma almeno più credibili per l’agire di Perseo, innamorato di Andromeda, non di Io come nel film e quindi, se non altro, giustificato, pur se anacronistico, nell’audacia che servirebbe a sfidare il Kraken/Ketos.
Niente resurrezioni di belle amate in corner per un forzoso e stupido happy ending. E niente romance nazional popolare, così come adolescenti chiedono.
Questo e tanto altro troverete nell’articolo.
Da parte mia l’ho citato per ragioni che con il film in sé hanno poco a che fare. Probabilmente, anche senza presunti rimaneggiamenti così pesanti, “Clash of the Titans” non sarebbe stato granché oppure sarebbe stato un capolavoro. Ma chi può dirlo?
Mi piace pensare di essere un autore, anche se in questo periodo non sto concludendo alcunché. E, lo ammetto, ho una visione piuttosto romantica, persino ingenua, circa la creazione di un proprio elaborato. Mi piace pensare che l’opera in questione sia il risultato della volontà del proprio artefice. E poco altro. Alcune volte quella volontà è immediatamente percepibile come arte, altre volte occorrono secoli e intere generazioni di uomini perché accada. Altre volte fa solo schifo. È la realtà. Ma preferisco arrivarci da solo, senza intromissioni e pianificazioni di sorta.
E i soldi e la fatica investiti sono una scommessa, non alla cieca, ma basata sulle capacità, sul valore [ipotetico] di quegli individui cui è stata data fiducia.
Ma ora cos’abbiamo? Un rientro di capitale. Un rientro che, com’è ovvio deve avvenire a tutti i costi, pena il fallimento, ma con margini di profitto sempre più elevati. Almeno nelle intenzioni. Nei fatti non saprei. E tanti saluti all’arte. O, almeno, questa è la mia impressione… L’impressione di uno spettatore, di uno che guarda. Abbiamo tra le mani un prodotto che può vendere 100, facciamo in modo, ad ogni costo, che venda 1000 o meglio ancora 10000. Lo rivestiamo d’oro anche se comincia già ad ossidarsi…
Lo so, è inutile che lo diciate. Sembra proprio che le cose vadano così. Ma permettetemi almeno questo piccolo sfogo romantico e tipico del sognatore. Se non altro questo. Tanto per illudermi che l’arte esista ancora e abbia ancora senso. Che ancora non si sia riusciti a ingabbiarla, come tutto il resto, nelle astruse leggi del mercato.
Purtroppo, poi, non resta che accendere la lampada sul comodino e… svegliarsi.
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