Sono giorni difficili, questi. Che mettono a dura prova l’attaccamento alla causa di questo blog. Sere trascorse a pensare ad altro, con una residua voglia di occuparmi di cinema che tende allo zero.
Esamino i miei vecchi dvd nella speranza di accendere la scintilla, quella che mi porta a recensire, ma niente.
Ieri, verso mezzanotte, ne ho scelto finalmente uno, un trash movie di livello epico, che ridefinisce i confini della bruttezza e della follia. Ma no, non parlerò di questo, non oggi.
L’occhio m’è caduto su un altro titolo: The Acid House, anno 1998.
Regia di Paul McGuigan e sceneggiatura di Irvine Welsh.
Inutile dirlo, ma questo film riecheggia di Trainspotting a ogni inquadratura. In qualche maniera ne è lo scarto, ciò che rimane dell’arancia dopo che l’hai spremuta. Quella polpa secca e deforme.
Eppure c’è quella scena grandiosa e solenne: l’Incontro con Dio.
Che la vedi una volta e non te la scordi. E vale più di mille prediche inutili ascoltate da altrettanti pulpiti, laici e non.
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Sono riuscito a trovarla, per intero, su YouTube. Eccovela:
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Interpretata da Stephen McCole (Boab, il ragazzo) e Maurice Roëves (Dio). Boab, dopo una giornata infernale, s’è rintanato in un pub a bere una birra e piangersi addosso.
Dopo un po’ che se ne sta lì, sopraggiunge un tizio trasandato, volgare, con un’espressione cattiva sul viso: dice di essere Dio. Sa tutto, proprio ogni cosa di Boab. E, semplicemente, si è rotto le palle.
Di essere immaginato in quel modo: un pigro, apatico e trascurato coglione (cit.).
Perché Dio è nostra immagine e somiglianza. È come noi immaginiamo che sia. Specchio di noi stessi. Non se ne sta lì a fare il giustiziere di torti che noi stessi ci facciamo. È questo il segreto del libero arbitrio.
E allora, qual è il punto, importante e fondamentale di questa scena? Che noi tutti abbiamo dei poteri:
il potere di metterci a scrivere un libro, anziché leggere di come si scrive, il potere di andare a letto prima per rendere di più il giorno dopo, il potere di chiudere la bocca per evitare di dire stronzate, il potere di aprirla, la nostra bocca, per gridare al nostro datore di lavoro che razza di stronzo sia, il potere di mangiare sano per migliorare la nostra salute, quello di soddisfare la nostra ragazza, il potere di trattarla bene e di farla felice, quello di uscire e di conoscere nuove persone, o quello di mettersi sotto per cambiare la propria vita, il mio, il nostro futuro.
Ma, proprio come Boab, molti di noi sono pavidi, e tutti questi poteri preferiscono non usarli e perdersi nell’inazione, davanti a una birra di merda, sul sentiero della commiserazione.
Be’, io dico che è ora di finirla e di cominciare a farli fruttare i nostri poteri. Almeno per un po’. Per dare al nostro Dio, chiunque esso sia, un aspetto migliore del nostro. Oppure, saremo trasformati negli insetti che vogliamo essere. E sarà cosa buona e giusta.
A domani.