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[Lovecraft]: Aria Fredda – la vita nei corpi morti

CoolAir

È con immenso piacere che oggi ospito sul blog questo articolo, scritto da Matteo Poropat, amico, curatore di Shamanic Journey, nonché gestore di EbookandBook, portale per l’impaginazione professionale di ebook.
Aria Fredda era una delle ossessioni di Howard Phillips Lovecraft. Lovecraft stesso una delle ossessioni di Matteo, in senso buono, che dello scrittore di Providence è un appassionato e un esperto.
Passione ed esperienza qui di seguito mostrate. Non mi dilungo oltre, ringrazio Matteo per la collaborazione e vi auguro buona lettura:

Aria fredda, la vita nei corpi morti (di Matteo Poropat)

Prefazione

Se il gotico trasse maggior parte della sua linfa dal narrare del soprannaturale, dove compaiono gli spiriti dei morti, tornati nelle forme che ormai definiamo classiche, se da anni dilaga la passione per i contagi più svariati che riportano in vita corpi senza anima degli zombie, a Howard Phillips Lovecraft toccò invece in in sorte di narrare qualcosa che sta a metà tra questi mondi: ciò che accade a spiriti ancora forti, dentro corpi incapaci di mantenersi in vita. Non la vita dopo la morte, ma la vita nella morte.

Ripensando a quanto ho letto negli anni, il primo racconto che ho ricordato, e che ha dato origine all’articolo che state leggendo, possiede un titolo che a me è sempre risultato “disturbante”. Si tratta de La cosa sulla soglia (The Thing on the Doorstep, 1933), nel quale si combatte una segreta lotta mentale, avvengono oscene possessioni di corpi, per giungere fino all’orrore finale, che si presenta sulla soglia di casa del protagonista: il corpo morto e putrefatto della moglie di un suo amico, nel quale è stato rinchiuso lo spirito dello stesso amico. Solo una volontà – il caso di dirlo – disumana, permette a quest’entità né viva né morta di giungere fin lì per portare il suo messaggio.

Il rapporto tra un corpo debole e una mente viva e potente verrà ripreso spesso da Lovecraft, e se ne potrebbe trarre qualche riflessione su quello che era il rapporto col suo fisico, frustrato fin dalla nascita da un’eccessiva sensibilità e da malattie (mal di testa, esaurimenti nervosi) che gli impedirono di arruolarsi nel servizio militare e anche di proseguire gli studi.

Morto cerebralmente, nel senso di ignorante al limite della stupidità, è il protagonista di Oltre il muro del sonno (Beyond the Wall of Sleep, 1919) posseduto da un’entità aliena troppo potente per le povere spoglie umane, in un rapporto destinato a portare alla follia e alla morte dell’ospite, un derelitto abitante dei monti Catskill.

E la lista potrebbe allungarsi, in una – probabilmente troppo – complessa analisi del rapporto corpo-mente nella produzione lovecraftiana.
Due nomi tra gli altri, per chi volesse qualche spunto in più:
il “guscio vivente” studiato dal protagonista di Dall’abisso del tempo (Out of the Aeons, con Hazel Heald, 1935), bel racconto ricco di citazioni ad altre opere del corpus lovecraftiano e di altri autori del suo circolo;
la possessione tra mente aliena e corpo umano (e viceversa) nell’affascinante L’ombra calata dal tempo (The Shadow out of Time, 1935).

La città morta

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Howard Phillips Lovecraft

Qui, diciamolo subito, non ci sono “i mostri”. Se in Cool air i cosiddetti “Miti di Cthulhu” sembrano assenti, sono in realtà a un solo passo. Sarà infatti proprio dopo Cool air che Lovecraft darà voce a quel Richiamo di Cthulhu (The Call of Cthulhu, 1926), dal quale la cosmogonia si evolverà e prenderanno vita i Miti.

Cool air fa però sempre parte dell’eredità che New York ha lasciato allo scrittore. Tornato ormai alla nativa Providence, fallito il matrimonio, fallito l’esperimento di vita nella grande città, Lovecraft sfoga il disprezzo per quell’esperienza nell’unico modo che conosce. Scrive di New York identificandola con una città morta, popolata da organismi animati “che nulla hanno a che vedere con quello che essa era da viva” (L’incontro notturno, 1926) [4]. Creature morte, eternamente putrescenti, in una condizione di immortale non vita, esseri al di là di qualsiasi umana comprensione.

In Cool air forse non ci sono i mostri enormi, viscidi e tentacolati, non ci sono oscuri miti e città dalle colonne di basalto che svettano fino a cieli alieni. Eppure c’è già tutto, un tutto che ruota attorno a quella soglia tra la vita e la morte dalla quale si può intraprendere il percorso che porta a una orribile vita eterna.

Aria fredda

L’introduzione del racconto è probabilmente la parte più sinceramente lovecraftiana. È proprio lo scrittore che parla, per tramite del protagonista, e racconta della sua incredibile fobia per il freddo.

You ask me to explain why I am afraid of a draught of cool air; why I shiver more than others upon entering a cold room, and seem nauseated and repelled when the chill of evening creeps through the heat of a mild autumn day. There are those who say I respond to cold as others do to a bad odour, and I am the last to deny the impression.

Come spesso accade nei suoi racconti la narrazione è in prima persona, e parte dalla fine per narrare l’inizio, parte dall’effetto per spiegare la causa.
Se il freddo è una fobia radicata, basta qualche riga perché salga in superficie l’orrore più recente, la ferita ancora aperta e dolorosa.

It is a mistake to fancy that horror is associated inextricably with darkness, silence, and solitude. I found it in the glare of mid-afternoon, in the clangour of a metropolis, and in the teeming midst of a shabby and commonplace rooming-house with a prosaic landlady and two stalwart men by my side. In the spring of 1923 I had secured some dreary and unprofitable magazine work in the city of New York; […]

New York, lo confessa chiaramente, è l’orrore. La città morta che non sa di esserlo. Dopo averla vissuta intensamente in Orrore a Red Hook (The Horror at Red Hook, 1926), e ammantata di un’oscura poesia ne L’incontro notturno (dove il protagonista espliciterà il pensiero dell’autore affermando “venire a New York era stato un errore”), la città è ormai nulla più che un rumore di fondo, un brusio lontano.
Lovecraft è tornato a casa.

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Dal film Cool Air, 1998

Ammoniaca

Il protagonista del racconto si trova a vivere in una nuova pensione, proprio sotto l’appartamento di uno strano medico, malato e recluso, che fa un uso smodato di ammoniaca.
Anche di questo approccio si potrebbero cercare parallelismi, il primo che viene in mente è con La musica di Erich Zann (Music of Erich Zann, 1921) dove la struttura che prepara al disastro finale è molto simile. L’individuo eccentrico in quel caso è un misterioso violinista, in questo un medico. In entrambi i racconti i “vecchi” sono portatori di un segreto che li condurrà a una fine orribile, lasciando il protagonista preda di terrori senza nome.
E sempre si svela la capacità di Lovecraft di somministrare l’orrore per piccole dosi, una sorta di omeopatia dell’incubo, affascinando il lettore, trascinandolo verso dosi sempre maggiori di conoscenza proibita.

L’incontro tra medico e protagonista è casuale, dovuto a un malessere di questi, che lo porta a entrare nel gelido appartamento di Muñoz. L’ammirazione per l’abile dottore supera di gran lunga la repulsione per le sue strane abitudini, compresa la temperatura del laboratorio di appena 5 °C, ottenuta grazie a delle potenti pompe e alla gran quantità di ammoniaca.
Le conoscenze mediche di Muñoz esulano però dalle noiose e comuni scienze e attraversano il limite (la soglia) con il magico, altro tema caratteristico della produzione di Lovecraft. Tecnologia e magia si fondono, si mescolano senza soluzione di continuità.

It seems that he did not scorn the incantations of the mediaevalists, since he believed these cryptic formulae to contain rare psychological stimuli which might conceivably have singular effects on the substance of a nervous system from which organic pulsations had fled.

È il fulmine che rianima il “prometeo moderno”, convogliato da un’invenzione umana di pochi secoli fa, ma quella è pur sempre negromanzia. Ed è la scienza che mantiene in vita il dottore ormai morto, sebbene sia stata una qualche forma di oscuro rito, a riportarlo in questo mondo.

Mentre l’ammirazione per la figura dello scienziato – colui il quale detiene la conoscenza – aumenta di giorno in giorno, con essa cresce anche la preoccupazione per lo stato di salute di Muñoz, in rapido peggioramento.
Arrivato alla fine, quando un incidente banale per chiunque fa scivolare invece tutto nell’orrore, è proprio il dottore a confessare.
È stata la volontà a tenerlo ancorato a questa non vita per diciotto anni.
La volontà, e l’aria fredda.

“The end,” ran that noisome scrawl, “is here. No more ice […] I fancy you know – what I said about the will and the nerves and the preserved body after the organs ceased to work. It was good theory, but couldn’t keep up indefinitely. […] And the organs never would work again. It had to be done my way – preservation – for you see I died that time eighteen years ago.”

Adattamenti

Cool_Air

Il celebre sceneggiatore Rod Serling, noto per la serie Ai confini della realtà, (The Twilight Zone) sfruttò alcuni racconti di Lovecraft nella serie “sequel”, Night Gallery (andata in onda dal ’70 al ’73). Tra questi Pickman’s Model (Il modello di Pickman, 1926) e Cool Air diretto da Jeannot Szwarc. Curiosamente l’episodio dedicato ad Aria fredda venne trasmesso nell’estate del ’71 (il periodo peggiore dell’anno per il povero dottor Muñoz) e vide una trasposizione con qualche linea in più di romance e una protagonista femminile (la brava Barbara Rush, il cui nome magari non vi dice molto ma è comparsa praticamente in tutte le serie americane di successo, da Supercar a Love Boat, dal mitico Batman con Adam West a Settimo cielo). Ironica in questo episodio l’ultima immagine, dove si vede la lapide del dottor Muñoz sulla quale un’iscrizione recita:

NATO 1877
MORTO 1913 e 1923

Un successivo adattamento lo si può trovare nel lungometraggio Necronomicon: Book of the Dead del 1994. Diviso in tre episodi tocca a quello centrale, The Cold, diretto da Shusuke Kaneko, il compito di riportare in scena il dottore e la sua dipendenza dal freddo. Qui la storia viene però modificata piuttosto pesantemente: è proprio il Necronomicon, filo conduttore degli episodi, a spiegare come mantenersi in vita sfruttando il fluido spinale estratto da altri esseri viventi. Una vita destinata all’ombra e al freddo, però. Come nell’episodio di Night Gallery, anche qui la voce narrante è femminile, Emily. Sarà proprio un rapporto sessuale tra la protagonista e il dottor Madden, ancora in vita grazie al Necronomicon, a “contagiare” Emily. La quale si troverà condannata al buio, al freddo e a dover uccidere per procurarsi il fluido, eternamente incinta del dottor Madden, sospesa con il proprio figlio mai nato tra la vita e la morte.

Cinque anni dopo Brian Moore realizza un mediometraggio di cinquanta minuti con Jack Donner (attore televisivo comparso spesso in Star Trek) in bianco e nero che trova distribuzione con i DVD antologici della Lurker Films (distributori anche per il cortometraggio muto The Call of Cthulhu) nel quarto volume della serie (http://www.lurkerfilms.com/cat/hplc01.html) dove il nome del protagonista verrà però cambiato sfruttando il personaggio più celebre della narrativa lovecraftiana: Randolph Carter).

Bisognerà attendere fino al 2007 per rivedere al cinema un soggetto ispirato al racconto, The Chill di Serdge Rodnunsky, un horror splatter per il mercato home video, facilmente dimenticabile.

Bibliografia

[1] “Aria Fredda per Howard Phillips Lovecraft”, Andrea Bonazzi e Elvezio Sciallis, www.horrormagazine.it, 2005
[2] “The Lurker in the Lobby”, Armitage House, 2000
[3] “H.P. Lovecraft – Tutti i racconti 1897-1922” a cura di Giuseppe Lippi, Oscar Mondadori, 1989
[4] “H.P. Lovecraft – Tutti i racconti 1923-1926” a cura di Giuseppe Lippi, Oscar Mondadori, 1991
[5] “H.P. Lovecraft – Tutti i racconti 1927-1930” a cura di Giuseppe Lippi, Oscar Mondadori, 1992
[6] “H.P. Lovecraft – Tutti i racconti 1931-1936” a cura di Giuseppe Lippi, Oscar Mondadori, 1992

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  • […] da considerazioni varie sul rapporto di Lovecraft con la (non)morte. L’articolo si intitola Aria Fredda – la vita nei corpi morti, e per leggerlo basta cliccare. […]

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  • […] Questo articolo dell’altro giorno, letto con molto piacere, mi ha fatto venire voglia di tornare nuovamente sull’opera di Lovecraft, che non nascondo sia uno dei miei 3/4 autori preferiti. E tornerò a parlare di lui e dei suoi lavori partendo da uno di quelli che maggiormente mi ha colpito, ed a cui sono più “affezionato”: Nyarlathotep. Il racconto, del 1920, quindi facente parte della prima fase della vita artistica dello scrittore di Providence, è uno dei primissimi (se non il primo, ma qui vado a memoria non avendo il testo qui in Spagna con me) ad aprire la raccolta dei racconti, edita da Mondadori, che per prima mi ha avvicinato ai lavori di Lovecraft. Sarà probabilmente per via dell’effetto “prima volta” che questo racconto è rimasto così ben scolpito nella mia mente, ma ad una visione più lucida e fredda, dopo vari anni dalla prima lettura, ritengo, forse esagerando, ma voglio correre il rischio in questo caso, che esso rappresenti uno dei migliori esperimenti della letteratura lovecraftiana. […]

  • […] Visita il sito bookandnegative oppure iscriviti al feed Leggi l'articolo completo su AlterVista […]

  • Forse il mio preferito racconto di Lovecraft

  • Complimenti per l’articolo caro Matteo. 😉

    • Grazie Nick!

  • Interessante.
    Del resto è uno dei racconti di HPL che preferisco.
    Molto azzeccata la parte in cui si parla di NYC, identificandola come una città morta, ma che non sa di esserlo.
    Mi fa venire in mente la megalopolismanzia di Fritz Leiber.
    E comunque sulle turbe di HPL lui stesso ci ha costruito dei fantastici racconti 😀

    • Ci vorrebbe Davide a tirar fuori qualche aneddoto sui legami tra i temi di Lovecraft e Leiber. L’impressione, per quanto poco conosco Leiber, è che il suo sia stato un approccio studiato a un certo tema, quello di Lovecraft molto più catartico. Se metti vicini i racconti del periodo newyorkese ti fai subito un’idea di quanto debba aver sofferto in quella città, ma anche di come, se non avesse fatto quell’esperienza, la sua produzione avrebbe potuto essere diversa, magari rimanere distante dall’enorme (e talvolta ingombrante) presenza dei Miti.

  • Bravo, Matteo! 😀

    L’espressione “omeopatia dell’incubo” è stupenda, rende benissimo l’idea del modo di scrivere di Lovecraft.

    Ciao,
    Gianluca

    • Grazie Gian! Devo mettere il (C) su questi nomignoli che invento ogni tanto 🙂

  • Ottima analisi del racconto e delle tematiche Lovecraftiane Matteo,di Cool Air ricordo che esiste anche un adattamento realizzato da Bernie Wrightson per il numero 62 di Eerie.