Legion è uno di quei film che ti scopri a rivedere di tanto in tanto, per nessun motivo in particolare o forse per uno solo, per quel che mi riguarda, capire come si possa rovinare una bella ambientazione con la tamarragine, eccesso di testosterone, angeli armati di mazze chiodate e tatuaggi e altre cafonate del genere.
E poi, parlando con Alex, scopro pure che non sono stato il solo a rivederlo, proprio in questi giorni.
È quel senso d’affezione che si crea tra uomo e film, specie i film brutti. O forse è l’idea della Madonna rivisitata, incinta, che fuma e imbraccia un fucile. Pulp come cosa e, magari, se affidata a uno scultore, farebbe una fortuna in stupide chiacchiere.
Ecco, Adrianne Palicki, alias Charlie, alias la Madonna di questa apocalisse, però funziona. Una delle poche cose.
Se l’avessi recensito due anni fa, quando arrivò in Italia, Legion, l’avrei stroncato senza pietà. Ma oggi, dopo due anni posso parlare di guilty pleasure. Quel piacere colpevole che ho, per l’appunto, nel rivederlo una tantum, scoprendo che, oltre a Charlie, magari anche la famigliola in crisi ha il suo perché, nonostante la brava Kate Walsh sia orrendamente doppiata. E poi, la vecchietta cannibale che cammina sul soffitto e… il gelataio orribile dagli arti spropositati, che appare nella notte del deserto con la melodia del furgone dei gelati.
Sono quei dettagli trash, da b-movie, ai quali ci si affeziona lentamente.
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E c’è il diner, polveroso, caldo, infestato d’insetti e sporco. Che per un europeo è un po’ un miraggio, quello di un’America vissuta attraverso i telefilm e mai assaggiata davvero.
Per cui il diner ha il suo fascino simbolico, oltre che estetico.
Personalmente mi intriga anche l’aspetto della micro-comunità isolata dal mondo. Quel posto in cui si vive baraccati nei camper e nelle roulotte, ci si conosce tutti e si tira a campare con mestieri artigianali derivati dalla cultura hippie, altro miraggio.
Quindi in Legion c’è controcultura, una spruzzata di figli dei fiori disillusi, nel frattempo invecchiati e su tutto, l’apocalisse, quella divina, con Dio che s’è incazzato per tutte le nostre stronzate e ha deciso di farci il culo. Quando? In un normale pomeriggio assolato. Un momento vale l’altro.
Il mio tono è volgare apposta, dato che è sempre Charlie che all’inizio, da voce narrante, ci offre la sua visione pratica della fede.
Sia come sia, gli angeli se ne stanno rintanati lassù, si suppone a contemplare la grazia di Dio, tutti ammassati in strutture sopra le nuvole, nei cieli, letteralmente.
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È tutto letterale, in questo papocchio, come se qualcuno si fosse divertito a trascrivere in immagini i testi sacri, senza interpretare le metafore. Quindi gli angeli guerrieri che portano le armi le portano per davvero, e sono armacce medievali. Tutti tranne Michael, l’Arcangelo Michele Paul Bettany, che vanta una carriera d’attore incentrata su questa cosmogonia cattolica alternativa, puro cyberpunk, tutti tranne lui, dicevo, che si accontenta di armi automatiche costruite dalle scimmie intelligenti, noi umani. E così viene ritratto sulla locandina pezzente, che stringe un coltellaccio e una mitraglietta. Un Arcangelo, certo…
Che poi, pensavo, non è tanto la questione angelica a gettare Legion nel baratro. Neanche la volgarità con la quale ritrae le creature celesti, ma tutta una serie di leggerezze nell’intreccio, che fanno nascere una serie di domande che vanno a scuotere la verosimiglianza e, una volta caduta quella, affossano tutto il resto come una puttanata. Perché, alla fine, se ne sono accorti pure su IMDb, di questo si tratta. Inutile girarci intorno.
Ma il setting, quello è interessante. L’idea che gli angeli posseggano gli esseri umani, come gli Agenti nella Matrice, con la conseguenza che tutti, potenzialmente, potrebbero essere nemici, non è malvagia, non in un serial apocalittico, almeno. Solo che questo non è un serial, ma un’apocalisse, tutta intera, che dura un paio di notti, in un diner nel deserto del Nevada. Quando si dice avere troppe pretese.
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La Madonna che fuma, quindi, e che detesta il frutto del proprio grembo e che si fa una risata quando l’Arcangelo le porta la lieta novella, che il suo bambino può evitare la fine del mondo. Un succedaneo di San Giuseppe abbastanza bamboccio, devo dire, un cuoco pastore e persino un bambino biondo posseduto e letale; un panorama che si estende a perdita d’occhio, sempre che sia vero e non in CGI, e il sole battente. Questo è pulp. Ed è un peccato, perché se si fosse rinunciato a tutta la pretesa psicologia salvifica, che sottende a ogni dialogo, Legion avrebbe potuto essere un ottimo b-movie. La consapevolezza è tutto, il portamento e il carattere anche. La testardaggine di voler impartire la lezioncina religiosa è solo cretinaggine. Ma, ahimé, a questa non c’è rimedio.
Però, l’ispirazione, la mia, è al lavoro. Il Diner resta il sogno proibito, insieme alle cameriere sexy. Forse ne sentirete parlare ancora, in qualche eBook, ma senza angeli…
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