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Le vecchie prede

arnold-schwarzenegger1 (Mobile)Il titolo si richiama a un mio vecchio articolo, che ho recuperato e diffuso ieri sulla pagina facebook di Book and Negative. Si parlava di Arnold Schwarzenegger, soprattutto, e degli eroi muscolari del cinema anni Ottanta, alla vigilia de I Mercenari 2.
Sylvester Stallone ha segnato la rinascita di un certo tipo di cinema che si credeva dimenticato.
E Schwarzenegger, complice la chiusura della sua carriera politica, ne ha ipotecato la scena, col suo Sabotage.

La peculiarità di questa strana situazione è insita in quei due nomi: che sono i nomi fondamentali del cinema d’azione.
Una rinascita non portata avanti da nuove leve (sebbene consideri Jason Statham, tra i tanti, un degno discendente), ma affermata sempre e soltato da loro.

A sessantasette anni suonati, Schwarzenegger si ritaglia il ruolo di grande vecchio del cinema d’azione.
Perché, a parte il fatto che gli sono sempre stato affezionatissimo e che mi dispiace che non si sia riusciti a modificare quel maledetto emendamento dalla Costituzione degli Stati Uniti per farlo diventare Presidente, lui è invecchiato senza artifici per mantenere su i pettorali. S’è sgonfiato, la pelle s’è tirata, ha messo su tante rughe e il bianco sui capelli.

Be’ sì, più o meno come lui…

Da ragazzo, parliamo di quando avevo undici, quattordici anni, sognavo, arrivato a quarant’anni, di avere il fisico di Arnold, i bicipiti come lui.
Ora a quarant’anni ci sono arrivato.
E pur non lamentandomi di come sono fatto, quei bicipiti non li ho mai avuti.
Ma adesso la speranza è di invecchiare come lui.
Non tanto fisicamente, quanto riuscendo a fare quello che fa lui, nel mio campo.

È sempre un esempio.

A sessantasette anni, dicevo, diretto da David Ayer, Arnold interpreta Sabotage.

Da più parti ho letto di insoddisfazione, verso questo film, di attese infrante. Perché Arnold è venuto meno alle sue promesse.
Quali erano queste promesse? Quelle del cinema d’azione spaccaculi, inverosimile, bullonaro. Insomma, proprio quello stesso cinema che, tradotto fino ai tardi anni Novanta, aveva quasi fatto colare a picco la sua carriera.

In sostanza, non gli hanno perdonato di essere cambiato, allo Zio, di aver ceduto a un film crudo, violento e diretto, dalla costruzione non immediata e che si richiama alla vendetta.

Sabotage mette su una squadra di poliziotti d’assalto composta da ottimi comprimari, che magari in futuro andranno tutti a coprire il posto dei Vecchi: tra tutti Sam Worthington e Joe Manganiello. E sì, anche Mireille Einos, dal lato femminile.
Una sordida storia di inganni e vendetta, e resistenza.

Stupore che essa sia stata affidata ad Arnold che, diciamolo, a partire dal bellissimo The Last Stand, se ne va in giro coi muscoli tesi, rigidi, pur continuando a imbracciare il fucile. Ogni volta che si muove dà l’impressione di potersi strappare.
Arnold non ha fatto un passo più in là, in tutti questi anni e pur essendosi cimentato in ruoli comici (peraltro riuscitissimi, a mio avviso: penso a I Gemelli), nell’abilità recitativa.
Non puoi chiedere a Conan il Barbaro o a Terminator di recitare un padre di famiglia affettuoso che smania per vendicare moglie e figli trucidati dai narcos messicani.
Eppure, è proprio ciò che Ayer gli ha domandato.
Chiedendogli di dimenticarsi di tutto questo, affidarsi alla storia e imbracciare il fucile. E siccome lo Zio è un po’ avanti con gli anni e Sabotage ha pretese di realismo, di indossare, udite udite, anche il giubbotto antiproiettile.

Lui, che tutt’al più se la cavava con un graffio sul bicipite e la camicia strappata, ora indossa il giubbotto e tesse le fila. Non è più l’ariete, Arnold, ma la mente dietro a tutta questa azione.

Tra l’altro, non sarebbe sbagliato cominciare, dopo un trentennio, a considerare anche il cinema d’azione come espressione sentita della società ad esso contemporanea.
Il cinema degli anni 2010 è netto e pulito nella resa fotografica, con filtri che esaltano i valori cromatici della fascia calda, leggasi il sangue, armi sofisticate, tecniche d’assalto ben congegnate e piegare l’autorità ai propri fini.

Ecco, siamo passati dal piegarla perché sciocca e incapace, fornendo all’Autorità un aiuto rocambolesco laddove essa s’è dimostrata incapace di agire, al piegarla, tradirla, per affermare un individualismo assoluto, che sa di malinconia, di vendetta tardiva: il sabotaggio.

Protagonista di questi trent’anni di cambiamenti e di evoluzione, sempre lui: Arnold.
È lui che è passato da essere pedina sacrificabile, uomo incazzato contro alieno incazzato, a poliziotto alle elementari, da paladino della verità dell’informazione in Running Man, a agente segreto che difende l’Occidente dagli integralisti islamici, a politico (vero, in cravatta e coltellaccio) a poliziotto che avendo subito un torto, sacrifica tutti quegli che gli stanno attorno per il proprio tornaconto personale.
Finendo lui stesso affogato nel sangue.

È vero, probabilmente non ci si aspettava questo da Arnold. Ma per me, Sabotage e il nuovo Grande Vecchio, o la nuova maschera che ha vestito, sono un valore aggiunto.
Un assoluto.

***
e parlando di vecchi, sì, c’è Clint Eastwood, che di film spaccaculi ne gira anche adesso che di anni ne ha ottanta e passa. Ma questa è un’altra storia. Ne riparleremo.

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