Circolano strane teorie, negli ultimi tempi, sul web: favoleggiano di un decennio aureo, in cui tutto era fighissimo e bello, e sedicenti eletti sono i quaranta-cinquantenni di oggi che quel decennio l’hanno vissuto e assaporato.
Forse la nostra malinconia copre di una patina di bellezza ciò che in realtà all’epoca era nient’altro che ordinario.
Senza correre troppo, avrei dato un braccio, da bambino, per avere la CGI che abbiamo oggi. Ma, per l’appunto, non corriamo. E quella CGI non c’era, eravamo agli albori, quando vedere due righe scure rimpallarsi un quadratino su un campo nero era già un miracolo della tecnologia.
Lo era davvero.
Ma ehi, erano nient’altro che due cazzo di righe che si rimpallavano un quadratino.
Diciamo che si lavorava con la fantasia, tantissimo. Si suppliva alle mancanze effettive con tanta immaginazione.
E forse, chissà, questo è l’unico vantaggio che abbiamo avuto. O la nostra rovina.
Spesso, queste gigantesche e più o meno universalmente condivise operazioni nostalgia si fondano su un paradosso. Come faceva giustamente notare Davide, i più esaltati riguardo la magnificenza degli Anni Ottanta sono coloro che, negli anni ottanta, erano semplicemente troppo piccoli per godere appieno della “magia” del tempo.
Non so voi, ma io non ricordo granché dei miei giocattoli a due/tre anni d’età.
Un nato nell’85 quale magia può davvero aver vissuto, negli anni Ottanta? La magia di stocazzo.
Davide scomoda la Sehnsucht, la bramosia di possedere il graal, dove il graal, l’artefatto magico, è in questo caso l’appartenenza a quella generazione il cui unico merito è stato venire al mondo, e non è manco merito loro, ma della promiscuità dei loro genitori.
Sia come sia, io sono nato nel ’76, da altrettanta promiscuità, a metà degli anni Ottanta avevo circa dieci anni, e qualcosa la ricordo, l’ho vissuta, per cui la domanda me la sono fatta pure io: erano davvero anni magici?
Cosa ricordo con estremo piacere? Qual è stato il mio santo Graal? Una carrellata nella massima sincerità, senza spulciare gli archivi di internet, ma affidandosi solo alla memoria del me stesso a dieci anni di età.
Ecco, diciamo che posso subito escludere la musica, i film e tutto ciò che poi è diventato Vaporwave, e pure il computer.
Dati i limiti anagrafici, tra me e i nerd de La Donna Esplosiva (Weird Science, 1985) che si fabbricano una donna artificiale per poter perdere la verginità e sfruttano gli albori della connessione internet, c’è un abisso. Non ero un nerd, ma avevo il mio bel personal computer.
Me lo regalò mio padre, costava qualcosa come 380.000 lire, o 4 e 80, non ricordo bene. All’epoca un patrimonio. E no, non era un Commodore 64.
Sì, come tutti ho avuto anche io il mio bel C64, ma ci sono arrivato dopo, la mia prima, vera macchina segno dei tempi moderni è stata un MSX.
Perché mio padre era un alternativo, se tutto il mondo comprava Atari, lui comprava Nintendo, per protesta, oppure l’MSX, per andare contro il Commodore, con cui fu subito amore/odio.
Per i giochi, perché caricavano una volta sì e dieci no, quelle maledette cassette si smagnetizzavano di continuo. Ci voleva un’eternità per riuscire a giocare a qualcosa.
E no, non sto qui a tesservi le lodi di Donkey Kong. Il gioco che ricordo con maggior piacere ho dimenticato come cavolo si chiamasse. Ricordo solo la grafica elementare, anzi, E L E M E N T A R E, per farvi capire quanto era povera, e che era un fantasy: si poteva scegliere fra 3 classi di personaggi, guerriero (lento e forte), mago (velocissimo e debole), elfo (veloce e non proprio una pippa in quanto forza), e ci si aggirava in un dungeon infinito, qualcosa come 3000 stanze dalle pareti strane, color rosso ti ammazzavano, verde ti curavano, giallo contenevano tesori o nemici. Ci ho perso la vista, dietro a quel cazzo di gioco.
Ma, come detto, ero un lattante, nove, dieci anni, non un programmatore. Così, mentre mio padre e mio zio trascorrevano pomeriggi interi a programmare “giochi”, io preferivo di gran lunga i giochi da tavolo.
Qualcosa di tangibile, immediato. Fantasticando nel frattempo le scene zozze intraviste nel Conan di Milius, la famosa orgia di Thulsa Doom…
Bei tempi, in effetti.
Anche perché non avevo una postazione fissa, per l’MSX, andava smontato e rimontato e collegato alla TV, dove nel frattempo si guardava Drive-In e Ok il Prezzo e Giusto, quindi il PC non poteva/doveva stare in mezzo alle palle.
Cosmic Twinvader.
Ok, lo Space Invaders rubato e fatto a console da qualche industria cino-giapponese, o a gioco da tavolo, o un ibrido. Un gioco elettronico a postazioni fisse. Eccolo qua:
Ce l’ho ancora. Stesso principio, voi siete la fortezza che deve abbattere orde di alieni. Semplice e immediato, divertentissimo.
Sono passati più di trent’anni e se sostituite le pile e lo accendete parte subito, e potete giocarci settimane. Alla faccia dell’obsolescenza programmata, quest’aggeggio ha quasi la mia età e va ancora come un treno, con doppia modalità, sonoro e muto. Eccezionale.
Però, i giochi da tavolo, dicevamo. Erano pericolosi. Avevo una versione da tavolo di Pac-Man, le biglie erano di vetro. Se le scagliavi contro il muro con troppa veemenza si riducevano in schegge. Roba da mandare in galera i produttori, oggi.
E c’era Zaxxon.
Sì, ho avuto logicamente la versione videogioco, sull’MSX, ed era figa anche quella.
Ma la versione da tavolo, avuta il 13 Dicembre (da cui il titolo del post), con tanto di velivoli e barricate e mitragliatrici laser la adoravo. L’ho consumato, a furia di giocarci, molto più di qualunque altro gioco, molto più di Risiko!. Ecco, se c’è davvero una cosa che mi manca, è Zaxxon.
Sì, ok, c’erano i cartoni animati, tra tutti Lamù, di cui ero innamoratissimo, e MASK, perché la storia delle maschere che sparavano raggi laser era una figata anche superiore alle spade laser. Cristina d’Avena mi stava sulle palle come Nico Fidenco, e i Cavalieri del Re li ho sempre trovati inquietantissimi. Non c’era via d’uscita.
E poi, poi c’erano i pupazzetti, i Masters of the Universe, ovviamente, muscolosi e ipertrofici, che tra l’altro vantavano, in ogni confezione, un minifumetto dai disegni eccezionali, che descriveva le origini di He-Man e di Skeletor, dove Eternia era un pianeta quasi primordiale, e Skeletor faceva paura sul serio.
Be’, almeno a me che avevo nove o dieci anni…
Il fumetto lo potere trovare ancora, raccolto in un unico volumetto, su Amazon.
Avevo il castello di Greyskull, Battlecat, ovviamente, e tutta una serie di gadget e veicoli vari.
Ma la cosa più eccelsa e più pericolosa insieme erano i Transformers, di metallo, ultra-letali. Saetta era una lancia Stratos che pesava davvero, per quanto ferro c’era, roba che se la sbattevi in testa all’amichetto di turno te lo ritrovavi per terra svenuto. O morto.
E Gordian, del quale mi vostro la scatola junior, contenete il pilota e i primi due Robot. Osservate lo spadone, l’ascia, le armi appuntite. Com’è naturale, le parti rosse del robot erano puro metallo urlante.
Erano anni cyberpunk.
Niente di irrinunciabile, finora, e non dimentichiamoci dei capelli cotonati e delle giacche lucide con le spalline.
Ma c’era Grosso Guaio a Chinatown.
Che forse è l’unica cosa scoperta proprio in quegli anni, oltre alla scena dell’orgia di Thulsa Doom e a Zaxxon.
Tutto il resto che ho amato e che amo, Blade Runner, Alien, Ritorno al Futuro, etc… li ho scoperti qualche anno dopo.
Grosso Guaio a Chinatown ha avuto dalla sua di essere bello sul serio e di avere pochi fan, e nessuna religione fondata a posteriori sullo stesso e capeggiata da esaltati.
Lo rivedo almeno due volte l’anno e posso dire che no, non è solo nostalgia, è un Carpenter. E Carpenter è stato il regalo più bello che potessero farmi da bambino.
E, come dice sempre il vecchio Jack Burton (Chi?)… il vecchio Jack dice sempre “Basta, adesso”.
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E D&D? La scatola rossa? No, quella per me è arrivata tardi, nel 1990, se ricordo bene, in prima liceo. Fatevene una ragione.