Che si chiama così, Le Belve, perché la traduzione di Savages è Selvaggi, e la mente degli italiani viene catapultata immediatamente sulle spiagge dei Vanzina, e le battutone di Ezio Greggio. Ma, coincidenze a parte, ho trovato questo lavoro di Oliver Stone noioso.
Pure un po’ ipocrita e facilone.
Ma andiamo con ordine.
La voce fuoricampo. Detestabile. Da zittire con ogni mezzo.
Quella di Blake Lively, e di Chiara Gioncardi, la doppiatrice italiana. Ora, antipatia a parte per il timbro di quest’ultima (è solo un’antipatia, non ci posso fare nulla), la voce di O, il personaggio di Blake Lively, è inutile e strumentale. E fa da salvacondotto per le coscienze, quella di Stone in primis.
L’idea è che O, insieme ai due protagonisti maschili, Ben (Aaron Taylor-Johnson) e Chon (Taylor Kitsch) abbia una storia a tre. Niente di male, ma allora perché perdere minuti interi a giustificarsi? Boh…
Le solite cose inutili messe lì per far vedere che i protagonisti sono “selvaggi” quando sono dei fighetti insopportabili arrichitisi col commercio di marijuana.
Perché di questo si tratta, commercio di droga fiorente, perché trattasi di erba di qualità superiore, in cui, come nelle multi-nazionali, vogliono subentrare narcos messicani, cazzuti e violentissimi.
L’accordo proposto dai messicani salta e le cose precipitano quando questi rapiscono Ofelia, detta O, la noiosa e ampollosa voce fuoricampo.
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Oliver Stone è sempre là, con le sue inquadrature particolari, coi filtri con cui satura l’insaturabile, coi suoi stacchi improvvisi sui dettagli.
Piccola nota di merito, esattamente come faceva Kubrick, per evitare la comparsa di sottotitoli nelle versioni estere, le scritte sui pc appaiono in lingua italiana.
Il problema è che il film è piatto, anche quando la presunta intensità delle scene dovrebbe smuovere. La cosa a tre dei protagonisti, lo spiegone e l’abbondanza di retorica con cui viene condita non è sufficiente a mettere le basi per un sentimento ‘sì tanto solido che i due uomini, quando O viene rapita, siano diposti a mettere tutto in gioco per lei.
Anche i rapitori messicani, capeggiati da Salma Hayek versione Cleopatra dal cuore tenero e Benicio Del Toro con dei baffetti stereotipati (messicano baffo nero, suona chitarra e mangia burritos), kattivissimi, a giudicare dal fatto che tagliano le teste dei nemici e ci giocano a calcio, con Ofelia fanno i teneri gattini (sì, ok, Salma le dà uno schiaffetto e Benicio le somministra droghe, etc…, ma persino questa rivelazione, che dovrebbe scioccare, avviene nella totale calma piatta).
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Altra nota di merito, John Travolta che fa l’agente della DEA, colui che copre i loschi traffici dei ragazzini viziati; la nota riguarda la calvizie. C’è e non la copre. S’arrende all’età. Bravo.
Per il resto, davvero, un blob di noia e situazioni non solo già viste, ma telefonatissime. Quasi impossibile trovare un colpo di scena che sia uno, secondo una trama che fa di tutto per essere capita a priori.
Ma la cosa davvero odiosa è la pretesa di santificare i tre cazzoni dei protagonisti: un laureato filosofo dell’erba, che utilizza parte degli introiti della sua attività per finanziare opere di bene nel terzo mondo (certo, come no), un reduce della guerra del golfo, ovviamente con qualche residuo di psicosi, che “non fa l’amore, ma scopa” (è un selvaggio, come da titolo), una figlia di papà (o di mammà, in questo caso), ricca e straricca che s’annoia e decide di farsi due uomini contemporaneamente, ché solo lei può averli tutti e due insieme, perché il loro amore è bello bello bello.
Ce n’è abbastanza, caro Oliver.
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Ma poi, il disgusto finale, ché dopo aver ammazzato in lungo e in largo, questi fuggono e continuano a fare i santoni saggi in Indonesia, con lei che addirittura, dopo aver definito se stessa e i due manzi “selvaggi” s’arrischia ad aprire un vocabolario (parole sue!) per controllarne la definizione. E la cosa tragica è che la definizione non corrisponde a quanto è stato mostrato dal film. Scatta la risatona involontaria.
Reparto tecnico di prima scelta, d’altronde, sempre con Stone abbiamo a che fare. Le Belve è carente dal punto di vista del coinvolgimento emotivo, non sposta l’attenzione dello spettatore di una virgola rispetto al solco tracciato, col problema serio che non sconvolge neppure quando mostra teste mozzate. È come vedere un quadro, sapendo già che è invenzione dell’autore, che quelle teste sono di gomma pur sembrando vere.
Alla fine, che i personaggi muoiano o vivano non frega niente a nessuno. Anzi, l’unico simpatico è Benicio, visto quanto risultano odiosi i protagonisti e il loro modo newage, condito di buddismo e filosofie orientali d’accatto, di metterlo in quel posto alla società moderna.
Alla fine, citando Elio: basta con questo film insoddisfacente. Ne ho un altro nella mia mente.
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