Blog L'Attico Le Armate di Jonathan E. Prichard
L'Attico

Le Armate di Jonathan E. Prichard

“Comprendere la Poesia, di Jonathan Evans Prichard, Professore Emerito: per comprendere appieno la poesia dobbiamo anzitutto conoscerne la metrica, la rima e le figure retoriche e poi porci due domande,
uno, con quanta efficacia sia stato reso il fine poetico
e
due, quanto sia importante tale fine.
La prima domanda valuta la forma di una poesia, la seconda ne valuta l’importanza. Una volta risposto a queste domande, determinare la grandezza di una poesia diventa una questione relativamente semplice; se segnamo la perfezione di una poesia sull’asse orizzontale di un grafico e la sua importanza su quello verticale, sarà sufficiente calcolare l’area totale della poesia, per misurarne la grandezza. […] Procedendo nella lettura di questo libro esercitatevi in tale metodo di valutazione. Crescendo così la vostra capacità di valutare la poesia, aumenterà il vostro godimento e la comprensione della poesia.”

“Escrementi. Ecco cosa penso delle teorie di J. Evans Prichard.”
(da L’Attimo Fuggente, 1989, Peter Weir)

Di tutte le citazioni che avrei potuto trovare sono andato a pescare proprio questa, tratta da un film che odio, perché è sublime. E non sono tanto ipocrita da negare gli onori a chi li merita.
Anche questa è pura poesia. Di sotto vi metterò pure il video della scena incriminata se non volete sforzarvi a leggere.
Ma si può giudicare la letteratura facendo la hit parade?
No, dico, è questo che ci vogliono dare a bere?
Perché, da un lato, li capisco pure. E’ l’horror vacui.
La paura di accettare il vuoto delle regole della letteratura, la loro assenza. E’ possibile che per tutto il resto ci siano regole esatte e per la letteratura no? A costo di apparire banale all’inverosimile e anche un po’ fesso, dico di sì.
E, se è solo paura, il tutto assume una dimensione più umana, meno infima di quanto appaia.
Lo scrittore scrive, come ho già detto. Fa solo questo. Non gli spetta altro. Il talento non se lo succhia da libri e manuali. Ce l’ha o non ce l’ha. La grandezza della scrittura non si misura in base ad algoritmi e grafici. C’è già. Esiste. E’ innata in lui (o lei), se preferite.
Il critico, invece, non occorre abbia talento. Deve avere coscienza di ciò che dice. Deve aver studiato. Deve essersi fatto un mazzo così su quei manuali perché deve riuscire a individuare lo schema e le regole, ipoteticamente alla base, delle opere che ci fanno sognare o disperare.
Sono due campi diversi. Sono due tipologie di individui, scrittori e critici, che non si sopportano perché non c’è stima reciproca.
Lo scrittore: io sono uno scrittore, ho studiato, e veramente non tollero che qualcun’altro venga a insegnarmi il mestiere!
Il critico: io ho studiato più di te e ti dico che tu di scrittura non ne capisci un cazzo e che io al tuo posto scriverei meglio, moolto meglio di te!
Capite che non si può discutere con gente di questo tipo. E che certamente questi due non discuteranno mai.
Ora, a me piace scambiare opinioni e non solo con le persone con cui vado d’accordo. E mi piace spesso farlo così, in circostanze fini a sé stesse, per il puro piacere dell’argomentare.
E mi piace anche scrivere. Così, per gusto e passatempo. E davvero vorrei arricchirvi con dotte citazioni, decorare i miei ragionamenti con note a margine, supportare le mie teorie con i fatti per apparire il meno fatuo possibile, ma non lo faccio. Perché non sono tronfio di me stesso e perché queste prese di posizione da maestro della retorica spaccano. In fondo, siete voi a venire fin qui a leggere. Sapete benissimo di stare leggendo solo pareri personali di un tizio che si firma elgraeco. Perché mai elgraeco deve disturbarsi più del dovuto per convertirvi al suo punto di vista o per giustificare il medesimo?
Non vi voglio mica educare o spronare o ammaestrare o tutte e tre le cose.
Io vi racconto storie. Ogni mio articolo è una storia. Un piccolo episodio della mia esperienza personale. Se lo leggete, e molti di voi lo fanno, e sulla pagina ci state anche un quarto d’ora, vuol dire che almeno un po’ il mio modo di scrivere vi piace, pur così spigoloso e dispersivo. Da far mettere le mani in testa agli amanti dello stile asciutto e conciso, gli impavidi avversari della verbosità. Ve ne accorgete che ci sono io dall’altra parte del testo? Sì, eh?
Io, nella disputa di cui sopra, sono dalla parte dello scrittore. Attenzione! Non degli scrittori, ma dello scrittore. Ovvero dalla mia. Non credete alla favoletta che gli scrittori siano solidali gli uni con gli altri e amino confrontarsi tra loro e scambiare esperienze! Quelli che lo dicono sono quelli che fregano le idee agli ingenui, altro che confronto! Gli altri scrittori mi stanno tutti sulle palle, per invidia, per dispetto, perché deve essere così perché sia divertente. Senza conflitto non c’è spasso.
Quindi, riassumendo, da scrittore, soltanto io, detesto i critici. Portatemi uno che mi dimostra di amarli sul serio e giuro che gli bacio i piedi. Chi critica rompe. Le critiche, anche se costruttive e fatte con tutti i crismi e la sapienza di questo mondo, rompono i coglioni. Sempre. Anche a me.
Forse me ne frego più degli altri. Non ci sto a pensare. Perché non sbavo per essere pubblicato. Non ho fretta. E non mi vergogno di dire che sono stato rifiutato da tante case editrici.
Sarà, ma nonostante questo, non mi è mai venuto il dubbio di non saper scrivere. Mi piace come scrivo e mi diverte farlo, nonostante tutto.
Per me la scrittura è spontanea. Fluisce. Non devo fare altro che mettermi alla tastiera o, quando manca la luce, afferrare una penna e della carta. Senza starci troppo a pensare. Senza farmi prendere dalle allergie per gli avverbi e gli aggettivi. Dicono che il troppo stroppia. Ah, sì? Mah… Senza curare la forma, ascoltando il ritmo nella mia testa e, soprattutto, senza rileggere.
Raramente torno su quello che ho scritto, se non per verificare la presenza di errori di battitura, refusi.
Forse si vede. Forse dovrei limare. Ma perché? Non certo perché me lo dice un critico che cita manuali invasato come un sacerdote pagano.
Per alcuni scrivere è studio e costruzione. Ogni singola parola, ogni scena deve essere rappresentativa di un’esigenza, un tassello nell’insieme del messaggio che è il testo. Alcuni tra i Signori delle Lettere di tutti i tempi (non tutti per fortuna!) hanno imposto che sia così. Deve esserlo, sennò si è preda dell’horror vacui. Devono esserci delle regole alla base del testo. Il testo funziona o non funziona su determinate regole. E così che stanno le cose. Giusto? No.
Ma non è stato proprio quell’omo sanza lettere ad aver rivoluzionato il mondo con il suo genio? Non sapeva un’acca di letteratura, aritmetica, matematica, geometria, geografia, medicina e chi più ne ha più ne metta, ma ne capiva molto di più di tutti gli altri.
No. Non mi sto paragonando a lui. Non mi sfiora neanche l’idea. E’ che a volte il miglior modo per affermare un principio è ricorrere ad un esempio banale, al limite. Semplice e scontato.
La verità è che ultimamente piacevoli chiacchiere vengono ingigantite e trasformate in sgradevoli e inutili polemiche che vanno a maleficio di tutti.
Questo blog non è un tribunale, ma il risultato delle nostre passioni. Qui sarete sempre al sicuro dalle armate di Jonathan E. Prichard. Da chi vuole trasformare la letteratura in una hit parade. Da chi vuole intimorirvi e convincervi che siete capre bisognose di un pastore, da chi non vuole che strappiate le retoriche introduzioni al libro di testo, da chi non vuole farvi ragionare con la vostra testa senza preconcetti, da chi vi tiene al sicuro dal vostro gusto indisciplinato e libero, da chi si fa scudo citando nomi sacri, da chi vuole uniformarvi e, perché no, anche da coloro che vogliono illuminarvi e strapparvi alle tenebre della vostra presunta ignoranza. Io preferisco restarmene qua al buio. Si sta bene quaggiù…

Un ringraziamento particolare a “Nuwanda” che mi ha ricordato quale incredibile messaggio di libertà intellettuale sia L’Attimo Fuggente e a Jolene Blalock, la cui sola esistenza mi rende più sereno e… eccitato. 😀

Exit mobile version