Questo è un articolo di parte. Meglio chiarire subito le cose. Un articolo su un film che è un pilastro della mia esistenza. Se anche a voi capiterà, a sedici anni, di entrare in un cinema e di assistere a uno spettacolo del genere, ecco la fine che farete: quasi vent’anni dopo, a trentaquattro anni suonati, ne tesserete le lodi sul vostro blog di cinema, che nel frattempo avrete aperto.
Non è un futuro per il quale firmerei, a essere onesti.
Però, L’Armata delle Tenebre è lì, con la sua musica, il suo protagonista (del quale sono la reincarnazione), i suoi non-morti, l’esercito degli scheletri, filmati in Introvision, l’opposto dell’animazione in stop-motion, in omaggio a Ray Harryhausen, le cui creature mi avevano terrorizzato da bambino.
Sembrerebbe impresa difficile ricordarsi le sensazioni, e anche la delusione, perché no, che mi travolse all’epoca, quando in sala, al buio, seduto sulla poltroncina rossa, vidi che l’incipit non si collegava al finale de La Casa 2; non solo era stato rimaneggiato, ma ne differiva in modo sostanziale. Ash un prigioniero?
Lo sapevo io, lo sapevamo tutti che le cose erano finite diversamente. Taglio di capelli anomalo, striscia bianca, un colpo di sole procuratagli dal mostro, dall’orrore lovecraftiano la cui visione l’aveva causata, assente. Ash era già un dio alla fine di quel secondo episodio. Qui invece era condotto in catene verso una vita da schiavo.
Un breve flashback, in cui Linda (Bridget Fonda) e lo chalet svelano, per la terza volta, una storia differente. Ma a quello c’eravamo abituati. Come alla vecchia Oldsmobile, giallo marcio, che ritorna sempre. Quella di Sam Raimi.
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Altra sensazione e altra smentita: il ciclo di Evil Dead era horror. Non che la casa fosse terrorizzante, neppure allora, ma negli occhi di Cheryl, l’indemoniata, aveva i suoi momenti perturbanti. Cose che, da bambini, lasciano il segno. Cose che, all’epoca, non fregavano a nessuno: un’infanzia fantastica, popolata di mostri terribili, dove il male, opposto al bene, faceva ancora una sana paura.
A sedici anni si giocava a D&D, proprio con quei tre amici coi quali vidi questo film. Volevamo vedere l’Armata delle Tenebre, alla quale brevi sequenze e musiche evocative ci avevano preparato fin dai trailer. Erano ancora gli anni Novanta, e che i trailer facessero cagare, in fondo, non importava.
Ma nulla, nulla avrebbe potuto prepararci allo spettacolo cui assistemmo, a un Ash super-cazzuto che non sbaglia un colpo, battuta dopo battuta, alla strafottenza, alla tempesta ormonale, di quelle sacrosante, che accompagna la sua odissea in una terra che sembra tanto l’Inghilterra delle Baronie, ma che è il deserto del Mojave, nell’assolata California: caldo torrido di giorno e freddo polare durante la notte. E considerate che L’Armata fu girato quasi tutto di notte. E che si crepava dal freddo, in quelle armature, tanto quanto durante il giorno si grondava sudore. Dammi un po’ di zucchero, baby. Certe frasi, udite a sedici anni, ti cambiano la vita.
Ricordo la battuta di un mio amico, al vedere i Mini-Ash e, di lì a poco, i Tre Libri, lo stratagemma fantasy dietro cui era custodito il vero Necronomicon: “sembra quasi una delle nostre sedute di D&D”. E vi ho detto tutto.
Risate del pubblico, a scena aperta, seguite da applausi. E pensate che, come noi, si era andati al cinema con l’intenzione di spaventarsi almeno un po’. E tutti erano impreparati. Sorpresi. E divertiti.
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Impreparati all’evento, al linguaggio sporco, alla prepotenza del protagonista e al sistematico sbeffeggio di un intero genere, l’epico-fantastico che, da quel momento in poi, avrebbe conosciuto un nuovo eroe, armato di doppietta, sega elettrica e, dopo, una mano d’acciaio costruita, non si sa bene come, da un tipo che, lo sapremo solo alla fine del film, altro non è che un fottuto commesso di un fottutissimo Reparto Ferramenta. Un medioman, l’uomo qualunque che, per quante ne ha passate, per quanti orrori ha affrontato e sconfitto, trascende la paura, la sua stessa natura mortale per diventare archetipo, principio, idea dell’eroe, sporco, impaurito e opportunista, arrogante e presuntuoso, ma valoroso e temerario. Lui è Ash, col volto di Bruce Campbell, lo conosciamo tutti. Lo amiamo. Vorremmo essere come lui. Ce lo sentiamo. E poi c’è chi, come me, ne ha fatto una filosofia di vita.
E credetemi, funziona. E rende fighi.
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Sam Raimi, il fratello Ivan, l’altro fratello Ted, il clan Raimi al completo, e Bruce Campbell. Giravano film. Si arricchivano sempre più, con lo chalet in montagna infestato dai Demoni di Kandar, il Necronomicon e con Darkman, il senza-volto. Ma i soldi erano ancora pochi, solo otto milioni di dollari per tentare di realizzare qualcosa che “tirasse fuori Ash dal maledetto chalet”. Perché la baita, la Casa, aveva stancato. Era ora di esplorare nuovi mondi e, soprattutto, perché, non si sa bene chi tra questi signori, si dice sia stato Ivan Raimi, voleva un film medievale: The Medieval Dead. Lo stesso Ivan che donò al protagonista la sua svolta umoristica. Il titolo Army of Darkness è arrivato dopo, coi soldi di De Laurentiis, dodici milioni. Più uno messo dal clan, di tasca propria.
Bastarono, nonostante il tempo, nel deserto, non passasse mai. Sufficienti per assicurare ad Ash un finale tragico, più in linea col personaggio. Perché Dino concedeva libertà. La Universal, invece, non era contenta. E oltre a incazzarsi con De Laurentiis per una questione di diritti d’autore, di quello che poi sarebbe diventato Il Silenzio degli Innocenti, impose a Raimi di cambiare finale.
Non che quello nuovo, sempre più spaccone e cazzuto, sia sgradevole. È lì, come abbiamo già visto che nasce Ash del Reparto Ferramenta, con divisa celeste bordata di rosso e cartellino con su scritto “Hello, my name is…”
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E siamo qui, a celebrare la magnificenza di questo film perché ieri, con alcuni amici, abbiamo deciso che fosse l’Army of Darkness Day. Il giorno per ricordare, ogni anno.
Nato spontaneamente, di moto comune. Perché questo film appartiene a tutti coloro che l’hanno visto, almeno una volta.
Si snocciolano citazioni, si imita il portamento del protagonista, si pronunciano le parole, le dannate parole magiche, prima di prendere il nostro Necronomicon, e quasi le sbagliamo apposta, curiosi di sapere che succederà, dopo.
Poco importa che i Mini-Ash non siano proprio identici ad Ash, perché erano altri attori. Non se ne accorge nessuno. Poco importa che i demoni che inseguono il nostro sfondino tronchi d’albero finti, senza radici, piazzati lì in traiettoria.
Noi recupereremo il libro, annienteremo l’armata con complicate coreografie di combattimento, baceremo la nostra bella Sheila (Embeth Davidtz) e pronunceremo frasi da duro, col sorriso strafottente stampato sulle labbra, consci di essere invincibili, invulnerabili, unici.
Berremo la pozione e ci risveglieremo chissà dove. E non importerà, perché, a modo nostro, saremo comunque dei Re.