Ok, siamo all’orizzonte degli eventi per questo blog.
Cultura pop e apocalisse sono i valori sui quali l’ho creato.
Cosa che, evidentemente, sanno bene i miei lettori, che si sono affrettati a segnalarmi il lavoro di Filip Hodas, dalla Repubblica Ceca.
Siete stati tanti, vi ringrazio qui tutti insieme.
I lavori di Hodas sono dei rendering che prendono i nostri simboli, Pac-Man, Hello Kitty, Tetris e altri che vengono direttamente dall’alba della digitalizzazione, che hanno incarnato la nostra infanzia e indirizzato, nei vent’anni successivi, il nostro way of life.
Nel bene e nel male. Come tutto il resto.
Sì, so cosa pensate, e avete torto. Anche Hello Kitty ha influenzato la nostra vita. In che modo? Per il semplice fatto che, guardando il suo simbolo, quel gatto, la nostra mente ne rievoca il nome.
È la potenza del simbolo.
Proprio oggi scrivevo un articolo sull’altro blog, Darkest, sulla Fatina dell’Assenzio. La fata verde è stata il simbolo della generazione avant-garde. Dei poeti squattrinati. Degli alcolisti.
La nostra generazione ha avuto altri simboli, meno evocativi, forse, ma altrettanto efficaci. E la nostra generazione, come quella bohemienne che creava arte preda dei fumi dell’assenzio, ha plasmato arte vittima del bombardamento digitale e dei media.
Facciamo arte e ne subiamo, è il caso di dirlo, le conseguenze.
Eppure, a vedere le opere di Hodas, mi sovviene altro. Questo splendido articolo di Davide vi indirizzerà bene.
Ecco, sono solito dire che ci aspettano tempi interessanti.
Anche se interessanti probabilmente non è l’aggettivo giusto.
Gli oceani si alzeranno, il caldo e l’umidità regneranno sovrani, laddove non ci saranno che deserti.
Anni fa vidi un documentario sulla megafauna. Gli esseri più colossali che abbiano mai calcato il nostro pianeta. Si diceva che il clima umido, con temperature minime di 38 gradi abbia favorito la nascita di queste creature enormi, come un antenato dell’anaconda, lungo fino a dodici metri, in grado di ingoiare un’auto.
Ecco, ricordando che qui noi altri siamo solo di passaggio, e che per restarci più del dovuto dobbiamo farci in quattro e pensare, per una volta tanto, in prospettiva di specie e non di singolo individuo, ciò che resterà di noi saranno, probabilmente, i simboli del ventesimo secolo.
Strani manufatti ricoperti di ruggine e rampicanti nei quali qualche viandante si imbatterà, chiedendosi cosa abbiamo lasciato alle spalle.
Di noi stessi.