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L’allucinazione sulla quale concordiamo

La realtà è l’allucinazione sulla quale concordiamo. Niente di più.
Torniamo a discorrere di coscienza, realtà ed esperienza diretta. Ci torniamo perché proprio ieri ho avuto una discussione interessante con alcuni amici, su questi temi affascinanti.
Ci si è mossi, da umanisti, dalle nostre letture e dalla buona narrativa, l’idea di riuscire a prolungare la vita artificialmente: per via biologica, estendendo la durata del corpo, per via informatica, travasando la nostra coscienza su un supporto al silicio, destinato, quest’ultimo, magari, a godere di un aldilà del tutto artificiale, perché creato da noi stessi, ma appagante, perché creato a nostra immagine e somiglianza.

Ed è lì, con la coscienza che sorgono i problemi.
Noi possiamo visualizzare i nostri sogni e proiettarli su uno schermo, possiamo registrare i nostri ricordi, e copiarli su una periferica. Però queste registrazioni non sono noi stessi, sono soltanto dati, dati che possono essere letti da chiunque, ma non vissuti.
Perché questi dati possano essere esperiti in modo soddisfacente, perché costituiscano esperienza di vita, identità, occorre una coscienza che li sappia leggere.

La coscienza è l’ineffabile, quel dato che ci caratterizza in quanto esseri umani, ma che continua a sfuggire.
Non solo alle definizioni.
Ma nel suo contenuto.
Cos’è quindi la coscienza?
Saperlo con assoluta certezza segnerebbe un salto evolutivo fondamentale per la nostra specie. Perché conoscere un fenomeno significa quasi certamente essere in grado di riprodurlo, con tutta la serie di conseguenze che questo comporta.

Però, come dicevo, la natura della coscienza continua a eclissarsi. Proprio per questo, forse, la si studia, con metodo scientifico e, sorpresa, filosofico.
Il Sackler Centre for Consciousness Science è, come suggerisce il nome, un centro che si occupa di studiare il fenomeno coscienza. Vi operano scienziati, psicologi e uomini di lettere e religione.
Ma, più che fissarsi sulla definizione di coscienza, nel Centro si esamina la sua praticità, la sua presenza costante nelle scelte che facciamo ogni giorno.
La coscienza è alla base dell’universo.

Sorprendentemente, capire perché e come siamo capaci di distinguere l’illusione dalla realtà, comporterebbe una serie infinita di progressi, in svariati campi, a cominciare dalla neuropsichiatria.

In termini elementari, a contare è l’esperienza del reale.
Esperienza che, coinvolgendo i medesimi organi di senso, non differisce in nessun modo da un’allucinazione.
Cos’è il reale?
Come facciamo a distinguere ciò che esiste da quello che non esiste?
Ricordando che certe allucinazioni, specie quelle sperimentate da chi è affetto da schizofrenia, coinvolgono anche il senso del tatto, non possiamo cavarcela tirando in ballo il tocco.
Reale non è ciò che possiamo toccare, annusare, sentire, vedere. No.
Quindi il reale è, come anticipato, e in assenza di una definizione più precisa, un’allucinazione collettiva verso la quale tutti concordiamo.

Anil Seth, direttore del Sackler Centre for Consciousness Science, rispondendo alla stessa domanda non si sbilancia.
La coscienza, o il nostro modo di percepire la realtà, è quello stato in cui c’è qualcosa che presumibilmente è.
Ovvero, se ci troviamo di fronte a un topo, quell’essere è presumibilmente un topo, definizione verso la quale tutti spontaneamente concordiamo, e non un albero di limoni.

Anil Seth

Lo scopo è definire una teoria unificata della percezione.
Percezione che, d’altronde e ineluttabilmente, si lega alla nostra esperienza personale.
Sempre ripensando all’esempio precedente, noi siamo in grado di affermare che quello che sembra un topo sia presumibilmente un topo e non un albero di limoni perché abbiamo esperienza sia del topo, che dell’albero di limoni.
Diversamente, non saremmo in grado di definire né l’uno né l’altro.
Da questo ne consegue che la coscienza, o il modo che abbiamo di percepire il reale è tale solo col tempo. Un essere appena nato, che non ha alcuna esperienza del mondo, potrebbe addirittura non dirsi autocosciente. Fase transitoria, quest’ultima, ma presente.

Comprendere come noi percepiamo ciò che ci circonda, decidendo di attribuire la realtà a certe cose e non ad altre è il primo passo verso la definizione di autocoscienza, e verso la capacità di duplicarla e conservarla, e perché no, anche estenderla oltre i limiti fisici.

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