Prendo in prestito un titolo letto altrove, perché ai fini del discorso che intendo fare, è il più adatto.
Lake Mungo è uno dei siti archeologici più importanti del mondo.
Ed è, anche, un film del 2008, di Joel Anderson.
Un mockumentary, basato sul vecchio trucchetto del found footage, o filmato rinvenuto, ed esplicativo dell’intreccio.
Quest’ultimo, brevemente, si snoda lungo le vicende della scomparsa di una ragazza, Alice, che muore annegata nel lago e la cui presenza post-mortem viene rinvenuta su materiale fotografico, attraverso una elaborata costruzione/indagine arricchitta dalle testimonianze dirette dei protagonisti coinvolti direttamente o per caso nella vicenda.
Una storia di fantasmi, quindi?
Forse.
Forse è solo un modo superficiale per considerare questo film.
Che parte in effetti come la classica storia di fantasmi, ma che a metà circa del percorso si permette il lusso di annientare le premesse sovrannaturali con le quali ha sedotto lo spettatore fino a quel momento annunciando che tutto ciò che è stato mostrato e ipotizzato fino a quel punto è, in verità, una messinscena del fratello di Alice, che con un po’ di fotoritocco ha creato il fantasma di Alice, ufficialmente per dare alla famiglia mai rassegnatasi alla perdita di Alice “un motivo per cui sperare”.
Eppure siamo a metà film.
Quindi l’indagine prosegue. La storia si arricchisce, si complica, pur restando fedele all’impostazione da documentario.
L’indagine, soprattutto, avanza senza sosta, promettendo meraviglie.
Ed è, in effetti, proprio nella seconda parte che il prodotto eccelle, staccandosi dai suoi simili.
Joel Anderson compie delle scelte molto sensate, che a noi spettatori di un altro emisfero, ignoranti dell’Australia, sembrano solo coerenti con l’ambientazione.
Ma le informazioni sono a portata di un paio di click, per chi ha lo spirito per cercarle.
Lake Mungo è differente.
Non è solo un film, ma un luogo preistorico, sopravvissuto alle ere geologiche.
Una sorta di scatola del tempo, dove è possibile trovare resti della cosiddetta megafauna.
Ere addietro, il terreno di Lake Mungo era calpestato da creature enormi, che si davano la caccia.
Ma non solo.
In esso sono stati trovati resti umani risalenti a 50-60.000 anni fa, che mettono in seri dubbi la teoria dell’Africa culla della specie umana.
E ancora, luogo di sepoltura rituale.
Due scheletri, denominati Mungo I e Mungo III, sono stati ritrovati tra gli strati argillosi, le mani poste sul grembo, ricoperti di terra rossa.
Quindi, esattamente come Wolf Creek, Lake Mungo ha un valore simbolico inaudito. È una finestra sul passato della specie umana, mai abbandonato del tutto da quest’ultima, un luogo dalla geografia aliena, un lago che è una pozza d’acqua senza sbocchi, dall’aspetto arcano.
[seguono spoiler]
Ecco perché, la scena della “sepoltura” in cui Alice sotterra i suoi beni materiali, cellulare, braccialetto e collana, assume, alla luce della caratteristica intrinseca del luogo, un significato ben più assoluto rispetto al senso pratico, quasi ovvio, che possiamo attribuire alla stessa.
E ancora, Alice ha in effetti una tripla sepoltura. La prima in cui lei seppellisce i suoi averi, la sua identità, la seconda quando viene seppellita già cadavere, la terza, definitiva, dopo la riesumazione, atta a stabilire, tramite analisi del DNA, la reale identità di Alice.
Perché, a un certo punto, dato che la si continua a vedere, non si è sicuri che quella sepolta sia proprio lei.
Parliamo dell’incontro di Alice con se stessa.
Siamo di fronte, ancora una volta, al doppelganger.
Il doppio viandante.
Figura della tradizione popolare che, come abbiamo già visto, è innanzitutto considerata, essendo acclarata la sua aura negativa, come presagio nefasto.
Incontrare il proprio doppio, impegnato a comportarsi come noi, a fare quello che noi facciamo, gesti quotidiani che vengono imitati, ma che sono vuoti, perché esso, il doppio, non possiede la nostra anima, vuol significare morte imminente.
E qui mi sovviente Goethe.
Johann Wolfgang von Goethe, poeta, scrittore e drammaturgo tedesco, che in gioventù, viaggiando lungo la strada per Drusenheim, incontrò il proprio sé futuro, che procedeva in senso opposto di marcia, vestiva abiti diversi, ed era, rispetto a lui, invecchiato di anni.
Una delle testimonianze più celebri dell’incontro col proprio doppelganger.
Nel caso di Goethe, il presagio non implicò la morte del poeta, che ebbe al contrario una lunga vita.
Ma sapete come si dice, se di presagio si tratta, esso non è ineluttabile, ma al contrario, il futuro può essere cambiato in qualunque momento, badando a compiere scelte diverse.
Certo, il segreto per spuntarla è sapere quali scelte cambiare.
L’incontro di Alice col proprio doppio già cadavere quindi, è non tanto manifestazione di un fantasma futuro, un crono-spettro, ma presagio di morte, svelato finanche nelle modalità.
Tra l’altro, un doppelganger che continua a infestare la coscienza della stessa, affollandone gli incubi, da perfetta presenza immateriale proveniente dal mondo delle ombre, che è riflesso speculare del nostro. La vera e propria Zona d’Ombra, così descritta nel Prometeo Liberato di Shelley.
Ere Babylon was dust, / The Magus Zoroaster, my dead child, / Met his own image walking in the garden. / That apparition, sole of men, he saw. / For know there are two worlds of life and death: / One that which thou beholdest; but the other / Is underneath the grave, where do inhabit / The shadows of all forms that think and live / Till death unite them and they part no more…
Alice infatti vede la proiezione del proprio sé futuro, quando esso avrà soppiantato del tutto l’originale, restando invisibile e mostrandosi, come ogni buon doppio viandante, solo a tratti, da coloro che, per qualche ragione, probabilmente la vicinanza col defunto, sviluppano una vista particolare, ma solo a tratti.
Alcuni uomini che, per arte o per natura, possiedono tale acutezza di vista mi hanno raccontato di aver visto in quelle riunioni un Uomo Doppio o la figura dello stesso uomo in due posti diversi, cioè una natura sotterranea e una terrestre che si assomigliavano come due gocce d’acqua; nonostante ciò si potevano facilmente distinguere l’uno dall’altro per qualche movimento o segreto indizio e, così, si poteva andare a parlare all’uomo che era suo vicino ed amico superando la sua riproduzione… Essi chiamano questo uomo-riflesso «compagno di strada»; infatti egli segue l’uomo reale come se fosse un’ombra e spesso li si riconosce tra gli uomini sia prima che dopo la morte dell’originale; talora, anticamente, lo si vedeva entrare in una casa e da ciò gli abitanti capivano che l’uomo originale li avrebbe visitati entro pochi giorni. Questa copia, eco o ritratto vivente, alla fine, torna al proprio gregge (Robert Kirk, Secret Commonwealth)
Il film Lake Mungo è, quindi, luogo degli interrogativi della specie: il sovrannaturale, il passato, il futuro, la concezione dello spazio-tempo e delle realtà parallele, è folklore e preistoria.
Va al di là della semplice categorizzazione di found footage. Da rivedere e riconsiderare.