Underground

La Zona Perturbante

Quest’articolo nasce da una serie di coincidenze, altri articoli e un concetto, quello del golem, dell’altro da sé, e delle nostre reazioni a tale scoperta, che mi ha sempre affascinato.
Qualche giorno fa ho pubblicato Parallele, un pezzo che, per la sua brutale sincerità, in certi punti, ha fatto molto scalpore. Non in sede di commenti, ma mi è stato detto comunque, che certe cose che ho scritto hanno lasciato il segno.
Personalmente, e non solo io, sono restato affascinato dalla mia versione parallela di Terra 3, quel Germano preso dai suoi studi robotici, tanto da sacrificare a essi tutto il resto della propria vita sociale.
Non vi nascondo che, dal punto di vista squisitamente narrativo, anche se il concetto non brilla per originalità, sto pensando di sfruttare l’idea e il personaggio e farli rivivere, in qualche modo, nel romanzo distopico/cyberpunk al quale mi sto dedicando solo nei ritagli di tempo (il che significa molto, molto poco).
Ora, per caso, ieri, mi imbatto in quest’articolo su io9, che tratta della Uncanny Valley, la cosiddetta Zona Perturbante. E così, eccoci qui, a discuterne.
Cos’è la Zona Perturbante? In parole povere è un’ipotesi dello studioso di robotica Masahiro Mori, il quale ha teorizzato che le risposte emotive umane nei confronti di un robot sono positive, piacevoli e coinvolgenti in proporzione al grado di realismo del robot antropomorfo. Ovvero, tanto più il robot risulta umano, tanto più ne siamo coinvolti emotivamente.
La seconda parte dell’ipotesi, però, prevede un’improvviso calo del coinvolgimento emotivo, fino alla vera e propria repulsione, ovvero la Zona Perturbante.

***

Esemplare di Actroid

L’estremo realismo del simulacro, l’eccessiva somiglianza con l’essere umano produce, in sostanza, l’effetto opposto rispetto a quello mirato. Respinge anziché attrarre. Turba, fino a generare paura vera e propria.
Trattasi di una teoria definita “pseudoscientifica”, che poi ha trovato riscontro nell’osservazione delle interazioni tra esseri umani e robot. In special modo da quando si sono aggiunti, nel 2003, i cosiddetti Actroid, androidi il cui scopo è simulare l’atteggiamento umano, reazioni emotive, movimenti, dotati di un rivestimento al silicone e di un’estetica che tende alla perfezione. I risultati ottenuti sono, in ogni caso, impressionanti.
A giustificazione di questa ipotesi sono state prodotte molte spiegazioni, che potete trovare qui, che vanno dalla paura della morte, alla percezione dei difetti (del robot) quali impurità, a motivi religiosi, la solita diatriba sull’identità umana e la sostanza dell’intelligenza artificiale, se esistesse davvero. Sarebbe vera vita, quest’ultima? Esistenzialismo allo stato brado.
Per non parlare poi, della deriva feticista, sempre relativa a robot, fembot (robot femminili) e silicone.
Evitando quest’ultimo argomento, che non è scopo dell’articolo, quello della Zona Perturbante, pur essendo ipotesi pseudoscientifica, quindi con nessuna prova certa a supporto, trovo che sia argomento affascinante. Soprattutto se, osservando il grafico, si nota che vengono presi in considerazione non solo i robot, ma qualunque altro simulacro raffigurante l’essere umano.

Ian Holm in "Alien" (1979) di Ridley Scott

***

Inutile girarci intorno, l’altro, nell’accezione filosofica di altro da sé spaventa. Se non spaventa, causa comunque disagio. Pensateci, ogni qual volta state per conoscere una persona nuova, un disagio, anche minimo, lo provate sempre. A seconda che poi, questa persona, sia o meno in sintonia con voi, per credenze, argomenti trattati, persino per movenze, il disagio sparisce o s’aggrava, e voi deciderete se continuare a frequentarla, oppure no.
L’inquietudine che vi assale quando, rincasando, camminando in una strada deserta, scorgete la sagoma di un altro… ecco. Quindi, al di là della Zona Perturbante, è proprio il concetto dell’altro a perturbare.
E tuttavia, è pur vero che letteratura e cinema, e prima ancora la religione, hanno sfruttato proprio il concetto di simulacro per i propri fini, ben consapevoli che l’aspetto ingannevole, presuppone la rivelazione, la cosiddetta agnizione, tema della commedia, ma anche del dramma. L’agnizione è il riconoscimento. Di solito nelle commedie è il riconoscimento di una parentela nascosta, o ignorata, l’umile orfana viene riconosciuta figlia del Re. Ma il punto è che trattasi di interazione e riconoscimento.
Prendiamo la letteratura gotica, i fantasmi. Le apparizioni hanno forma umana. La forma umana, secondo l’ipotesi della Zona Perturbante, ci mette a nostro agio. Ciò che del fantasma spaventa, in effetti, è la rivelazione, l’agnizione, il riconoscere il fantasma per ciò che è, qualcosa di simile, ma diverso. Ecco, è sufficiente questa consapevolezza a farci percepire quella forma a noi così familiare, perché ci imita, come qualcosa di sbagliato. E a generare paura.

Bub de "Il Giorno degli Zombi" (1985) di George A. Romero

***

Pigmalione costruì una statua femminile, sì perfetta che se ne innamorò. Ma era pur sempre una statua. La forma è l’aspetto esteriore. Qualora non corrisponda al nostro canone di familiarità, ci respinge a prescindere. Se è simile a noi, ci rasserena, fino al momento in cui il robot, l’apparizione o quel che è, non rivela la sua natura aliena. Meccanismo elementare e, visto che siamo in periodo pasquale, mi viene in mente un altro episodio, biblico, sul quale vi raccomando di evitare il sarcasmo. Io lo cito perché lo trovo in linea con l’argomento e null’altro.
Prendete la resurrezione di Gesù che, dopo, si presenta agli apostoli per dimostrare che è proprio lui a essere risorto. La sua forma è familiare, ma allorquando Tommaso tocca la ferita sul costato, egli si rivela come creatura aliena, sconosciuta, diversa e, infine, perturbante, infatti Tommaso ne è sconvolto. Penso che non ci sia esempio più calzante di questo.
Tornando al grafico, addirittura è prevista l’ipotesi della vista del cadavere, del quale ci turba non l’essenza, ma l’Assenza di vita, diversità oggettiva. E dello zombie che (decomposizione a parte), in teoria dovrebbe spaventarci perché costituisce una scissione netta tra il nostro quotidiano e la rappresentazione distorta, opposta, che esso è: un essere morto, che però imita l’essere vivente.
Insomma, il fascino della Zona Perturbante è soprattutto l’efficacia che essa dimostra di avere, per me, nella creazione di motivi, nella narrazione, oltre che un interessante passeggiata nella gamma dell’emotività umana. Una teoria intrigante.
Voi che ne pensate?

(edit by elgraeco, 06-04-12, ore 18:23)

Autore e editor di giorno, talvolta podcaster. /|\( ;,;)/|\ #followthefennec
    • 8 anni ago

    […] probabilmente la spiegazione è nella Zona Perturbante.Ne abbiamo già parlato.Quanto più un robot assomiglia a un essere umano, tanto più provoca disagio nell’osservatore […]

    • 8 anni ago

    […] probabilmente la spiegazione è nella Zona Perturbante. Ne abbiamo già parlato. Quanto più un robot assomiglia a un essere umano, tanto più provoca disagio […]

    • 12 anni ago

    […] si abbandona completamente, e volontariamente, all’inganno, sprofondando persino nell’Uncanny Valley, quel perturbante che l’assale nei momenti d’intimità, quando s’avvede che il […]

    • 12 anni ago

    […] da sempre, forse più di ogni altro. Perché appartiene (e suscita) il Perturbante, quella Uncanny Valley che ci fa sentire umani, proprio dalla consapevolezza di trovarci di fronte a qualcosa che imita la […]

    • 12 anni ago

    […] tema, affascinante, è spuntato in una discussione di qualche giorno fa sulla Zona Perturbante. Il doppio, o doppelgänger, pare essere la quintessenza di tale concetto. Teoria strettamente […]

    • 12 anni ago

    […] Fonte: Wikipedia e blog bookandnegative […]

    • 12 anni ago

    Argomento estremamente affascinante anche per il sottoscritto.
    Ricordo gli dedicai un post, proprio QUI.
    E vorrei aggiungere altro, ma sto andando a letto. Giornata lunga pure oggi.

      • 12 anni ago

      Del 2008! All’epoca non avevo neppure la connessione! 😀
      Argomento estremamente affascinante, ne discuterei per ore. ^^

    • 12 anni ago

    […] Visita il sito bookandnegative oppure iscriviti al feed Leggi l'articolo completo su AlterVista […]

    • 13 anni ago

    Post davvero interessante e intrigante da un punto di vista narrativo.
    Mi hai fatto venire in mente una cosa, non so se vado un po’ OT ma mi va di condividerla.

    Nel film Shining, Kubrik scelse le due bambine nella stanza sporca di sangue in modo che fossero sorelle e non gemelle.
    Tra le due bambine che lui ci presenta come gemelle (vestite uguali, pettinate uguali) c’è una differenza di un paio di anni mi pare e soprattutto una è più alta dell’altra, tanto che dovettero farle il vestito più lungo per attutire (ma non annientare) l’effetto della differenza di altezza.
    Questa asimmetria genera più turbamento che se fossero state gemelle.
    Proprio perchè sono vestite uguali, sono percepite come uguali ma sono diverse.
    Che poi si vedono per pochissimo tempo quindi il tutto è appena percepito ma giusto quel tanto che basta a genrare un senso di disagio.
    Insomma più che la loro espressione la cosa inquietante è anche la loro diversità pur nell’uguaglianza.

      • 13 anni ago

      Ecco, sempre a proposito di fantasmi… le presenze dell’Overlook hotel sono tutte inquietanti perché se ne percepisce il lato malvagio. C’è qualcosa nel loro trucco, nell’espressione del viso che le identifica subito. Oltre alla consapevolezza che l’albergo è vuoto, e quindi non ci può proprio essere nessun altro, all’interno.
      È proprio quello il momento in cui ne siamo turbati. 😉

    • 13 anni ago

    Una costante che si ritrova anche nel Kalevala, tanto per citare un testo poco conosciuto. Dopo la morte della moglie, assassinata da un nemico, il fabbro Ilmarinen se ne crea una di oro e argento, nella sua fornace. Facile intuire le reazioni dell’eroe nel confrontarsi con una moglie di metallo, fredda al tatto e nell’anima.

      • 13 anni ago

      Sì, a pensarci è un topos della letteratura. 😉

    • 13 anni ago

    Menschliches, Allzumenschliches.
    (Friedrich Nietzsche)

      • 13 anni ago

      Anche se non so il tedesco, credo di aver intuito: umano, troppo umano, 😉

        • 13 anni ago

        😉

    • 13 anni ago

    Della Zona Perturbante non sapevo nulla, molto interessante. In qualche modo si ricollega ad alcune impressioni che ho avuto nel corso della mia vita di fronte alle salme dei miei cari, o in casi meno tragici davanti a bambole molto realistiche, solo che allora non sapevo come definire quella vaga intuizione. Sempre restando in tema, mi viene in mente l’esempio degli automi; per esempio quelli da luna park o sala giochi, talvolta in fattezze di mago o zingara che prevedono la sorte – previo inserimento di moneta o gettone – su cartoncini colorati. È un gioco, una sciocchezza, però ricordo che da ragazzino ne ero impressionato e in ragione di questo ne consideravo il responso con un certo timore. Credo che la capacità di suggestionare e impressionare l’uomo da parte delle macchine antropomorfe sia un tema interessante e da approfondire, perciò ti ringrazio per l’ottimo post che ha colmato questa lacuna.

    P.S. Mi è venuta voglia di leggere Il Golem di Gustav Meyrink, quasi quasi appena finisco Douglas Adams (La lunga oscura pausa caffè dell’anima), lo riprendo in mano. Non mi ricordo neanche perché l’avevo messo da parte… forse era uscito un libro che aspettavo con impazienza (tipo le Cronache del Ghiaccio e del Fuoco).

      • 13 anni ago

      Ottimo contributo, anche io ricordo quelle macchine con un certo orrore. Per non parlare della classica casa stregata, sempre da luna park. Insomma, pare che il motto del cuoco dell’Overlook Hotel sia attuale, capitano tante cose non proprio giuste. È “non proprio giuste” il segreto… cioè, quelle sagome che sono familiari, che più sono simili a noi e più ci piacciono, salvo poi scoprire che c’è qualcosa, nel loro modo di essere che inquieta. In quelle che citi tu, come nelle bambole, è più evidente, negli androidi che imitano l’uomo più sottile. Ma il punto è che, secondo la teoria, maggiore è la verosimiglianza, maggiore è il perturbante. Per questo, dico, mi piacerebbe davvero avere di fronte uno di quei robot, per capire. ^^

        • 13 anni ago

        Giustissimo, le foto che anticamente si facevano ai corpi, mettendoli in posa come fossero vivi. Inquietantissime! Proprio per quello che dici tu, non è una questione morale, ma il fatto che quelli non sono come noi, lo erano, ma non lo sono più, quindi la foto è “sbagliata”. Terribile…

        • 13 anni ago

        Ecco, e qui immagino che dovrei parlare della mia passione per il grottesco. Quelle situazioni o immagini che hanno qualcosa di sbagliato, che non sono pienamente spaventose ma inquietano. Per dire, collegandomi alla presenza delle salme nella zona perturbante, citerei le foto che un tempo si facevano ai cadaveri prima della sepoltura. Hanno in sé qualcosa che inquieta – di “sbagliato” – ma non credo sia il fatto in sé di fotografare una salma e delle obiezioni morali bla bla bla che si possono fare (anche perché è difficile giudicare una cultura a cui non si appartiene, e che sostanzialmente non sta facendo del male a nessuno), l’inquietudine credo venga dal fatto che la persona ritratta non è più in vita, e anche se sembra che stia dormendo sai che non è così. Una parte di te lo intuisce anche se non gli viene detto, e allora vieni colto da un brivido. Ecco, a questa inquietudine un androide aggiunge un’impressione di vita fatta di suoni e movimenti. Sì, deve essere un bel po’ scioccante, però sarei curioso di provare quell’emozione.

    • 13 anni ago

    Avevo letto qualcosa su questo argomento…. in pratica il robot/simulacro ecc… fino a che è evidentemente non-umano non fa troppa impressione, ma se assomiglia troppo a una persona (e però non perfettamente) scatena delle reazioni che si giustificano anche evolutivamente: ovvero la sana paura per i cadaveri o gli ammalati gravi, che ti fa risparmiare un sacco di malattie…
    Però penso sia vero anche il disagio del contatto con “l’altro,” insomma nel momento in cui l’essere artificiale (o robotico o zombie) si presenta a noi c’è un terribile straniamento, del tipo “che cavolo vuole questo da me?”

    Nota divertente:
    avevano programmato degli infermieri artificiali a spiegare quello che stavano per fare in modo da tranquillizzare il paziente: ad esempio: “adesso appoggerò la mano sul tuo polso per prenderti la pressione.”
    Pare che questo tipo di preannuncio mandi il paziente umano medio in panico 🙂 e quindi sia meglio farne a meno… Probabilmente è più tranquillizzante vedere una macchina che ti tocca, stando doverosamente zitta.

      • 13 anni ago

      Ah, sì, a volte il semplice annuncio di qualcosa ti fa andare subito in panico, concordo. 😀
      Circa gli automi somiglianti agli esseri umani, non saprei, sarei curioso di vederne uno dal vivo. Specie quelli di ultima generazione. Giusto per capire che effetto facciano.

    • 13 anni ago

    Le bambole. I manichini. I Golem.
    e perché non i Clown che sono comunque un’immagine distorta di una risata perenne.
    Sono tutti simulacri sfruttati da sempre da letteratura e cinema perturbanti.
    Per esempio, l’immagine che hai messo da Alien: cosa c’è di più perturbante di un androide con la testa tagliata che ancora parla e vomita quella robaccia bianca?
    O Bub che ci assomiglia così tanto che quasi possiamo specchiarci in lui, che in alcuni gesti o movenze sembra addirittura la caricatura grottesca di un bambino?
    Adesso mi metto paura da sola e stanotte non dormo.
    Post monumentale, Hell 😉

      • 13 anni ago

      Bub è un personaggio estremamente complesso, a tratti è docile come un cagnolino addomesticato, poi quando ha i barlumi di memoria fa paura… E non credo siano stati i fan a ricamarci troppo sopra. Romero sapeva quello che faceva. 😉

        • 13 anni ago

        Che poi è in linea con l’ipotesi di Mori. Bub inquieta in senso inverso, quando torna a essere simile a noi.
        Tornando al discorso fatto anche con Alex, più su, dello zombie, ormai s’è perso il terrore genuino che dovrebbe essere causato dalla sola vista di esso. Ormai sono di famiglia, la gente ci scherza sopra, ci costruisce sitcom e li chiama telefilm.
        Ma qualcuno ha una vaga idea di quanto debba essere orribile uno zombie? Vederselo davanti, intendo. ^^

        • 13 anni ago

        Sì, Romero sapeva tutto e lo sapeva prima degli altri.
        Bub è IL perturbante, ma proprio per antonomasia. Non c’è nulla che inquieti di più di quei barlumi di memoria di cui parli.

      • 13 anni ago

      Ecco, tornando a Ash che vomita… ma quanto fu spettacolare il colpo di scena, la gocciolina di sudore bianca e poi vederlo staccargli la testa etc… ecco, il perturbante.
      E i maledetti clown? Pennywise?
      Perché poi il terrore è il momento in cui comprendi che c’è qualcosa di sbagliato in quello che hai davanti…

      Grazie, Lucy. 🙂

    • 13 anni ago

    Interessantissimo, mi sono goduto questo post così particolare…

      • 13 anni ago

      Thanks! Mi fa molto piacere! 😉

    • 13 anni ago

    Interessante, muy interessante.

    Sai che il termine “perturbante”, nell’opera freudiana, è definito dalla parola “unheimlich” che è la negazione di “heimlich”, ovvero “familiare”? Freud prende spunto inoltre, per la sua teoria, da quella portata avanti da E. Jentsch, il quale fa arrivare al concetto di “perturbante” la presenza in racconti/romanzi/opere/etc di esseri inanimati o presunti tali, in cui non viene chiarito se sono effettivamente inanimati oppure sono “vivi”. Certo, Freud poi va avanti e arriva a parlare di rimozione inconscia e altre cosette varie, ma il punto di partenza è quello lì ed è molto molto vicino a quello che tu stesso hai espresso nel tuo articolo.
    Non è un caso se una delle figure più inquietanti nel panorama horror sono le bambole. Senza arrivare alla bambola killer che tutti conosciamo, già solo la presenza di una bambola, anche non animata, è motivo di inquietudine nello spettatore. Se ci pensi, una delle foto più riuscite – almeno dal mio punto di vista – che hai usato in GfH è quella della bambola nel lavandino.
    La bambola è un simulacro, come dici tu, e lo sono anche i robot, gli zombie, il fantasma, la silhouette in fondo alla strada. Tutti elementi “familiari”, “heimlich”, eppure destabilizzanti in quanto generano incertezza intellettuale sulla loro natura, “unheimlich” quindi.
    Rimarrei a parlare di queste cose per ore. 🙂

    Ciao,
    Gianluca

    PS: Tutto questo inoltre mi ricorda una razza giocante che avevo creato per D&D, i Pupuli, che sono essenzialmente delle marionette animate, dotate appunto di un potere che le fa entrare in catalessi facendole sembrare marionette non animate e poi possono risvegliarsi, spaventando chi è vicino. Le avevo create proprio sulla base dei ragionamenti di Jentsch e Freud. 🙂 Volendo, si possono leggere da un link presente nel mio blog. 😛

      • 13 anni ago

      Se parliamo di marionette, come non citare Nightmare 3, quando Freddy si anima prendendo spunto da una bambola?
      Sì, ma lì, ecco, è sostanza, ma soprattutto forma: la bambola è piccolina, antropomorfa, è vero, ma comunque diversa da un essere umano. Anche se, in verità, mi fa strizzare sotto dalla paura lo stesso. 😀
      Dipende anche, secondo me, da quanto quella forma si dissocia da quella umana. Mi spiego: un’elevata somiglianza garantisce una riposta empatica piacevole. Ora, la caduta è tanto più brusca, quanto più a quel punto si notano differenze.
      Se una copia perfetta di un essere umano si rivelasse non umana per qualche difetto sgradevole, il perturbamento dovrebbe essere maggiore.

      Comunque, interessantissimo il riferimento alla psicanalisi. E hai ragione, parlerei di questa cosa per ore anche io. ^^

        • 13 anni ago

        Insomma, sto scienziato pare aver riscoperto ciò che in altri campi dello scibile umano è evidente, anche se spesso mai preso in considerazione.
        Però, immagino cosa voglia dire, o almeno ci provo, trovarsi di fronte una copia identica di me stesso. La cosa atterrisce, in effetti. 😀

        • 13 anni ago

        Esattamente! 😀 Sta tutto in quel contrasto tra familiare e non-familiare, heimlich e unheimlich. Contrasto che per una volta tanto non è contrapposizione netta, ma è mix indistinguibile, dubbio, insondabilità. 🙂

        Messo il film in lista, la rece non l’ho letta fino in fondo, fermando all’avviso sulle anticipazioni. ^^

        • 13 anni ago

        Il doppelganger è lui, è anche noi, ma è anche diverso, spesso l’opposto di noi. E questa consapevolezza dà i brividi. A cominciare dal fatto che, essendo immagine speculare, potrebbe e dico potrebbe essere invertita, perfettamente simmetrica, anche nel carattere.
        Che spettacolo! 😀
        Comunque, se puoi, recupera questo film meraviglioso sul tema del doppio, ne vale la pena: http://bookandnegative.altervista.org/blog/cinema/the-br%C3%B8ken-2008/
        😉

        • 13 anni ago

        È vero che formalmente la bambola è già diversa, però è indubbio il suo potere “perturbante”. 🙂

        E del doppelganger ne vogliamo parlare? Lì si aggiunge anche una componente ulteriore, quella del fatto che non è solo simile a un essere umano, ma è simile a te, proprio a te, quindi è l’estremizzazione del perturbante dovuto a simulacri. Inoltre il doppelganger spesso e volentieri porta a riflessioni del tipo “ma è lui il doppio o sono io? Chi è l’originale?” e ciò è legato al fatto che l’incertezza intellettuale generata dall’unheimlich è rafforzata dal coinvolgimento che non è più solo empatico/esteriore, ma psicologico/interiore. Il doppelganger è l’espressione della destabilizzazione dovuta ai simulacri artificiali/soprannaturali, quanto lo è della destabilizzazione della nostra psiche. 🙂 Della serie, se lo zombie porta al perturbamento perché è vivente ma in realtà è morto, il doppelganger porta al perturbamento perché è lui ma è anche noi.

    • 13 anni ago

    Lessi tempo fa di questa teoria a quanto pare è proprio questo per cui nei film animati, quelli tipo gli incredibili o shrek per capirci, i personaggi non sono perfettamente caratterizzati perfettamente come umani, ma sono esagerati per certi aspetti.

    Bell’articolo 😀

      • 13 anni ago

      Sì, infatti, nei fumetti le forme umane sono volutamente esagerate perché spesso associate all’idea mentale del ruolo che essi ricoprono. 😉
      Thanks!

    • 13 anni ago

    Beh, invero molto interessante!
    Partendo da un commento banale, ti confermo che io stesso provo un certo disagio nel vedere i prototipi di certi robot antropomorfi giapponesi (i giappo sono pazzi!). Insomma, mi sembra più innaturali che non un software “intelligente” che gira su un normalissimo computer.

    La forma umana metta a disagio?
    A me spesso e volentieri sì. Dove tu scrivi: ” ogni qual volta state per conoscere una persona nuova, un disagio, anche minimo, lo provate sempre”, io confermo. In molti casi si tratta di un disagio così forte che m’impedisce di dormire la notte precedente a questi incontri ex novo.
    Qui però subentrano fattori più da psicologia che non da perturbanza, visto che non c’è il problema dell’essere che imita un uomo (robot, fantasma etc), bensì solo il fastidio che nasce dalla prospettiva di trovarsi davanti (per la prima volta) una persona che conosci soltanto tramite altri piani cognitivi (telefono, internet).
    Riaggaciandomi a questo e compiendo una sorta di cucitura col concetto di simulacri, mi piacerebbe un giorno leggere un buon saggio che parla di quanto siano cambiati i rapporti interpersonali con internet e coi social network.
    Anche il più sincero e cristallino tra noi in realtà appare distorto dal Web. Appare, appunto, un simulacro.

    Chiudo sugli zombie: una cosa che mi irrita profondamente dei racconti e dei film su di essi è appunto la costante mancanza di “sconvolgimento” da parte dei viventi. Al limite dimostrano paura (di essere mangiati), schifo, rabbia, ma raramente ho visto qualcosa che, a mio parere, nascerebbe spontaneo in una situazione del genere: turbamento, sgomento, incapacità di comprendere.

    PS: chiedo scusa per eventuali refusi, sto postando senza rileggere 😛

      • 13 anni ago

      Allora, sì, capisco bene cosa intendi con simulacri internettiani e sconvolgimento che essi provocano. Ma a ben vedere siamo sempre lì, quello che ci turba è la rivelazione, magari la paura che l’immagine che ci siamo fatti della persona dietro l’avatar sia diversa. ^^
      È una particolarizzazione della paura dell’ignoto, secondo me, con in più la questione dell’imitazione. Cioè, la cosa che sconvolge, per l’appunto, in uno zombie, è il fatto che sembri un uomo, ma che non lo è.
      E sì, anche io avverto questa mancanza. In realtà, trovarsi di fronte un cadavere, che puzza da far schifo, ma che deambula, dovrebbe essere esperienza allucinante, peccato che gli sceneggiatori non la pensino così. 😀