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La storia di Francesca

Forse è vero sempre, che la fascinazione per la terra che ti ha offerto i natali ti colpisca solo dopo averla abbandonata.
Cercavo articoli sulle donne samurai, perché persuaso di un fatto: ora più che mai c’è bisogno di parlare di donne.
Sono, nei miei scritti, le mie protagoniste predilette. Sono, per come la nostra stessa storia e società si sono sviluppate fino ai nostri giorni, figure di rottura, che hanno incarnato quasi sempre l’anomalia, in un mondo sempre e solo incasellato in compartimenti stagni, che hanno voluto la donna nient’altro oggetto fragile e bello, ma secondario.
Ma non sempre.

E quel “non sempre” a fare la differenza.

Quando è capitato che la donna abbia puntato i piedi, la sua vicenda ha fatto stuono. Stupore, incredulità. Vera e propria violazione dell’ordine costituito.
Parlavo di donne samurai, ma poi mi son detto che il meridione d’Italia ha conosciuto figure eroiche e tragiche, ed è giusto parlare prima di queste: le brigantesse. Sulle altre ci torneremo.

Siamo negli anni della dominazione napoleonica, dell’occupazione francese del Mezzogiorno, 1806-1816.
Il Meridione è sempre stato quello che è ancora oggi, una terra sonnacchiosa, arroccata intorno alla stanca e secolare dominazione borbonica.
Francesca La Gamba è una filandiera, nata a Palmi, una delle propaggini, intorno a Reggio Calabria, del quadrilatero aspromontano composto da Palmi stessa e da Seminara, Melicuccà e Bagnara.
Si sposa diciottenne e dalle prime nozze, con Saverio saffioti, ha due figli maschi. Il marito muore anzitempo e Francesca si risposa con Antonio Gramuglia, da cui ha una terza figlia, trasferendosi a Bagnara.

Il meridione sobbolliva di tumulti, era, è sempre stata una terra indomabile, egoista, individualista, sfiancata e riottosa. L’esercito francese, per piegarla, accoglieva tra i propri ranghi ogni genere di feccia locale.
Parliamo di un ufficiale, del quale non è sopravvissuto il nome, ma solo il fatto che fu nominato tale dal Cardinale Ruffo e, sebbene ricercato dall’esercito borbonico, aveva trovato asilo nella milizia francese.
La milizia che aveva occupato Bagnara.
Francesca aveva 38 anni, all’epoca una vita intera, ciò nonostante l’Ufficiale si invaghì di lei a tal punto da tentare qualunque stratagemma per averla, indifferente al vincolo matrimoniale.
S’arrivò, come nel migliore dei drammi dettati dall’abuso, all’arresto dei due figli maschi, per sedizione e attività contro i francesi, che vennero fucilati. Gramuglia, arrestato anche lui per porto illegare d’armi e sopraffatto dal dolore, morì in carcere di crepacuore.

E qui nasce la prima brigantessa italiana dell’età moderna. Francesca non accetta la tragedia e la miseria della sua esistenza, la ricusa, cerca vendetta e soddisfazione nella violenza contro il sistema.
Si unisce a una banda di briganti attestata sui cosiddetti Piani della Corona. Non era stata, fino al suo arrivo, chissà quale forza reazionaria. Si sa che la banda dei piani assaltava, per lo più, qualche diligenza al passo Caracciolo, e poco altro.
Con l’arrivo di Francesca mutarono i piani, si fecero imprudenti, ambiziosi. I nemici erano i francesi, dovevano soffrire. La banda saccheggia, crea disordini e sfoga rabbia e frustrazione contro la milizia d’occupazione.

Non erano santi, i briganti, non erano eroi, tantomeno brava gente, erano disperati, che avevano perso ogni cosa. Se a un uomo – e a una donna – togli pure i sogni, al suo posto resta solo una belva ferita. E di quella devi avere paura.
Francesca s’era mutata in uno spirito di vendetta, era ardita, sempre in prima linea. Era diventata in pochi mesi il loro capo, a furia di ammazzare francesi.
Questi ultimi non tardarono a organizzarsi in squadroni e a setacciare le montagne e i sentieri impervi dell’Aspromonte per trovarli e giustiziarli.
Agguati, combattimenti e fughe, che spesso si risolvevano in giubbe francesi lasciate a imputridire sulle rocce.
Fino al 1807, quando l’arrivo del principe Luigi D’Assia, che per conto dei Borbone tentava la riconquista del Regno delle Due Sicilie, partendo dalla punta dello stivale.
Francesca offrì al principe i servigi suoi e della sua banda (composta ormai da un centinaio di persone) e insieme entrarono a far parte dell’esercito borbonico di liberazione, eventi che la condussero al 28 Maggio, alla battaglia di Mileto.

Non si conosce perfettamente lo svolgimento della battaglia che condusse Francesca e un manipolo dei suoi di nuovo sui piani della Corona, apparantemente in fuga, accerchiati dai francesi. Si sa però che quella era una beffa, e che i francesi furono accerchiati a loro volta e massacrati.
E poi, ci si mise il caso.
Gli uomini conducono davanti a lei un ufficiale ferito, quell‘Ufficiale.
E qui uso le parole dello storico Vittorio Visalli: Francesca La Gamba, trovatasi dinnanzi quell’uomo ferito,

lo scanna, gli strappa il cuore e lo divora ancor palpitante.

Vendetta era compiuta.

Ma la storia non è finita. Tracce di Francesca provengono ancora dal 1812, dove “la capitanessa di Palmi” si distinse in combattimento durante l’assedio di Genova.
E qui finiscono le tracce di Francesca, che conobbe la fine di ogni essere umano. Mi piace pensare che almeno un po’ di sollievo, nella vecchiaia, possa averlo avuto, avendo cambiato posto, magari conosciuto ancora una volta l’amore e la benevolenza di un compagno, magari essendosi riunita alla figlia.
L’immagino seduta sotto un portico, a sorseggiare vino e a guardare il mare, un vecchio cane accucciato ai suoi piedi, un fucile carico appoggiato al bracciolo della sedia.

*

fonti:
Valentino ROMANO, Brigantesse (Napoli, 2007, pag. 28)
Vittorio VISALLI, I Calabresi nel Risorgimento italiano – Storia documentata delle rivoluzioni calabresi dal 1799 al 1862, Torino 1893 (vol.I, pagg.124-125)

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