Di recente, sul Social Network, sono rimasto coinvolto in una discussione interessante (caso strano, nevvero?) sulla satira. Sull’identità della satira, sul suo fine ultimo.
Che la satira debba sdrammatizzare, o far ridere o sorridere, è una distorsione generata dall’ignoranza.
La satira è potere, innanzitutto. Potere di scandalizzare, di scoperchiare la realtà per mostrarla priva di ornamenti o ipocrisie, priva di, ripescando a memoria nei miei studi filosofici, di una morale eteronoma.
Ossia una morale guidata dall’esterno, dalle consuetudini, soprattutto. Allora, se per caso si vive in una società bacchettona, sarà una morale bacchettona, quella che governerà le nostre vite, o ipocrita, o cinica.
Lì, nelle pieghe scomode della coscienza sociale, si inserisce la satira.
E la satira di Luis Quiles, in particolare.
Allo stesso modo, la pornografia rappresenta sì un’industria miliardaria, ma soprattutto un termometro sociale. Col variare dei gusti sessuali industrializzati e commercializzati che rispecchiano il lato celato della morale sociale. Questa volta non più eteronoma, ma assolutamente autonoma.
Ma è il concetto stesso di pornografia a risultare interessante, non associandosi solo ed esclusivamente al ritratto di pratiche sessuali esplicite tra adulti consenzienti, ai fini dell’intrattenimento, ma anche a tutto ciò che viene percepito come scabro, esagerato, assolutamente crudo e, insieme, alienante.
Può essere considerata pornografia, ad esempio, la caterva di spot televisivi delle compagnie telefoniche, l’uso e l’abuso dei social network, delle chat, la nostra stessa società iperconnessa.
L’alienazione sembra quasi scaturire con forza dalle tavole di Luis Quiles. Alienazione associata nella forma più che nei contenuti all’industria pornografica.
Sono tavole che disturbano, e forse proprio per questo da tenere in considerazione e non liquidare come disegni solo esagerati.
Pornografia sono i social network, come pornografia è cercare di sfamare i bambini africani con le parole di un antico libro sacro.
Pornografia è impiegare i bambini per una guerra santa portata avanti da idioti, o l’idustria alimentare che ci ingozza come fossimo anatre, in nome del profitto.
Al contempo, si tende a considerare la satira come maestra di vita e di costume, ad attribuire ad essa una funzione moralizzante.
E, forse, in certi casi e per certi autori è così. Ma non credo sia vero, in senso universale, né per la satira, né per Quiles.
Non ci leggo un monito, nei suoi disegni, un avvertimento, un consiglio di cambiare le cose, un’inutile malinconia che attribuisce al passato un valore aggiunto che è dato non dall’oggettività dei fatti, ma dall’inganno della nostra memoria.
Le tavole di Quiles sono crude, si limitano a squarciare il velo di quella morale ipocrita, mostrano le cose per ciò che sono.
Ci piaccia o no.
*
LINK UTILE:
Luis Quiles Artworks