Fumetti

La nuova edizione di Akira

Parliamo un po’ di Akira, vi va?
Perché la Panini ha deciso di rendere giustizia al manga di Otomo in una nuova, lussuriosa edizione.
Ma noi cominciamo con Jodorowski.
Si inizia sempre con una cena, a casa di Jodorowski.
Ad Alejandro piace raccontare. Non so se gli piaccia anche raccontarle, ma in ogni caso la sua arte affabulatoria è eccelsa. E ci sono stati anche dei precedenti.
Quasi tutti i grandi autori vanno a cena a casa sua. E forse a tutti lui mostra il suo enorme book raccolto mentre lavorava a Dune.
Forse l’ha mostrato anche a Katsuhiro Otomo. Per farla breve, Jodo ha raccontato che Otomo era in difficoltà.
Non riusciva a trovare una degna conclusione per Akira, il manga che aveva esportato il genere all’estero. L’opera. Il mito. Et coetera.
Quella sera avevano entrambi bevuto e Jodo s’inventò uno spunto “delirante”.



«Volevo rievocare un Giappone come quello in cui ero cresciuto, dopo la seconda guerra mondiale, con un governo in difficoltà, un mondo in ricostruzione, pressioni politiche esterne, un futuro incerto e una banda di ragazzini abbandonati a se stessi, che combattono la noia correndo con le moto.»

«Tetsuoooooooooooooooooooooooooooooo!»
«Kanedaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaa!»



Da quello spunto, e da quell’alcool, Otomo trasse il finale del suo Akira.
Quando ho appreso questa notizia, sono rimasto per dieci minuti buoni a guardare lo schermo, e a sghignazzare.
Perché so già che gli hater di Jodorowski diranno che è una balla. E i fan di Otomo diranno che è tutta una balla.
Io? Penso che sia possibile. Non probabile, ma possibile. E in ogni caso, la storia non è mai stata smentita.
È possibile perché è capitato anche a me. Ero in difficoltà con un finale, e ero a un kaiten sushi con la mia amica Marina. E lì, tra un piattino di sushi e una battuta, ho trovato quel finale.
Può succedere, perché no?



Non fa altro che rendermi tutti più simpatici. A cominciare da Otomo. Immaginarlo alticcio a casa di Jodorowski me lo fa adorare. Ovviamente vale anche per Jodo.
Ma torniamo ad Akira.
Un’opera cyberpunk, ci si ostina a definirla. Nonostante il cyberpunk sia nato due anni dopo, col Neuromante di William Gibson.
Quindi siamo di fronte a un sentire comune? Ma è vero che per tutti, e quindi anche per Otomo e Gibson, fino a quel momento c’era stato P.K. Dick.
Ma alla fine, cosa importa? Certo è che Otomo ha operato in perfetto stile cyberpunk, quindi forse il fondatore è lui, visto che intorno a certe idee ci stava girando già almeno dal 1979. L’idea degli esper, del governo semi-dittatoriale, del futuro sporco, dell’incertezza del presente e dei giovani senza futuro. Faceva tutto parte della sua visione.



E noi, oggi, che abbiamo superato il futuro di Akira di un paio d’anni, ci siamo perfettamente dentro. Abbiamo introiettato alla perfezione la lezione del cyberpunk e l’abbiamo applicata inconsciamente alla realtà, di fatto costruendoci angoli abbandonati e decadenti, giocando d’azzardo col nostro futuro, o affidandolo a moloch quali le mega-corporazioni, e riservandoci un piccolo posto da ribelli-finché-dura, per poi chiudere la partita cullati da una sanità in perenne decadimento.
Mi pare perfetto.



Queste, e tante altre le ragioni per cui dovreste ancora ascoltare Otomo. E leggere soprattutto Akira.
Sì, l’avete visto al cinema. Nel film che è diventato pietra miliare proprio perché Otomo ne ha preteso il controllo assoluto.
Ma il manga si prende i suoi tempi, si racconta laddove il film non ne è capace, risultando quest’ultimo molto più inaccessibile nei suoi insistiti silenzi.
D’altronde, se non fosse diventato un film, e sperando che mai diventi un live-action in mano a qualche mega-corporazione demente, non avremmo mai conosciuto la splendida colonna sonora.



Ma mi sono dilungato anche troppo. Come sempre mi succede con Akira.
Com’è, arrivati quasi in chiusura, la nuova edizione?
Magnifica. In formato giapponese, si legge quindi da destra a sinistra.
Flessibile, è quindi facile sfogliarla e leggerla senza romperla, dotata di sovraccoperta sui risvolti della quale è scritto in inglese e giapponese, in una sfumatura internazionale che è propria di Akira, e che ne ricorda la capacità d’esportazione propria dell’opera di Otomo.
Tolta la sovraccoperta il colore dominante dell’illustrazione che nasce proprio sotto i caratteri cubitali del titolo è il giallo: è un affresco della confusione in strada. Sobolle di insurrezione, instabilità, cambiamento.
Copertina legata al primo e ultimo foglio, che presenta in riquadri geometrici irregolari, a colori, i protagonisti della storia.
Le prime dieci pagine sono in carta lucida, anch’esse a colori.
Ci ricordano l’esplosione.
Quella semisfera nera, che tutto travolge, scatenata a Tokyo in occasione della Terza Guerra mondiale.
Il giallo è il colore dominante del primo numero, presente anche sul taglio delle pagine. Il colore dovrebbe variare per tutti e sei i numeri.



Costa 22 euro. Ma su Amazon lo trovate con un paio di euro di sconto, nella nuova traduzione di Edoardo Serino.
E sì. L’ho persino annusato, questo primo volume. Sa di fumetto. Quell’odore che ti riporta istantaneamente all’edicola.
Da comprare. Senza dubbio.
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*per la storia di Jodorowski: Philippe Azoury, Alejandro Jodorowsky, Vice, 9 ottobre 2009.
**contiene link commerciali

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