Blog L'Attico La necessità di essere inquadrati
L'Attico

La necessità di essere inquadrati

La specie umana ama le categorie, le caselle, l’ordine ragionato.
La catalogazione.
C’è quel tale dell’Economist (!) che scriveva che l’imprevedibilità, a proposito della vittoria del Leicester del campionato inglese, è sconsigliabile, in quanto è preferibile vivere in un mondo ordinato, preciso, il più possibile inquadrato, che non riservi sorprese. Perché altrimenti, e questo è il succo agghiacciante del discorso, si consente ai mediocri di sognare mete al di là delle proprie capacità.

Già.
Che peccato, eh, concedere agli uomini la speranza. Meglio che i figli dei minatori continuino a essere minatori, e che i figli degli schiavi continuino a raccogliere cotone, piuttosto che dire loro che possono diventare presidenti…

È atroce.
Ma non voglio continuare, perché non è l’articolo sull’Economist, l’argomento di questo post. Questo in particolare lo riprenderemo, ma non oggi.

*

Si sa, le sorprese costringono a rifare i calcoli, a produrre nuovi ragionamenti. In breve: rompono i coglioni.
Perché noi viviamo nel mondo porzione singola teorizzato da Chuck Palahniuk. Quello che ci fa cliccare su un link solo se ci sono duemila like (ché vuol dire che è figo!) e che ci fa ignorare ogni tipo di approfondimento perché ci distoglie dal rumore di fondo.
Quel rumore bianco che ci rassicura, ci fa dormire, confusi, un po’ stanchi che non ci spieghiamo il perché, ma che ci soddisfa. Alla fine della giornata arriviamo a letto ebbri di nulla, ma… in fondo… è bene così.

Io stesso, nel tentare di transitare il blog da un sito di recensioni di film a uno spazio personale in cui poter alternare attualità, progressi tecnologici e arte, ci ho impiegato ben due anni.

Perché ero stato inquadrato dal pubblico come quello delle recensioni.
E quello ci si aspettava da me: recensioni di cinema.
Diavolo, c’è ancora gente che mi manda email per segnalarmi questa o quell’uscita cinematografica, quando a me del cinema e dei discorsi sul cinema non importa più nulla.
Detto con tutto il rispetto per gli altri che ancora se ne occupano, eh, ma a me non frega più niente di registi, scenografie, stacchi e cineprese.
Ho chiuso.
Due anni durante i quali ho perso i lettori affezionati e ne ho guadagnati altri: la transizione.
Che dimostra quanto il pubblico sia ostile per natura a qualunque cambiamento.

Immagino che anche Amber Heard sia stata inquadrata, all’inizio della sua carriera.
Alta 173 cm, bellissima. Texana.
Probabilmente all’inizio si sentiva smaccatamente il suo accento del sud. Una meridionale dallo stato con l’unica stella, arrivata a Hollywood per fare i soldi.
Suo il ruolo della bionda negli horror e nei thriller. E in qualche caso, s’è dimostrata persino brava.

Le toccava fare solo quello.
E, in seconda istanza, essendo bionda e bella, avrebbe dovuto avere una serie di relazioni con una manciata di piccole star emergenti, ragazzotti di Hollywood dalla capigliatura alla moda, alta quanto un’impalcatura, oppure con qualche vecchia star imbolsita, ma dal cuore d’oro che l’avrebbe introdotta nel gotha.
E, forse, dopo un cinque-sei anni saltando da un cazzo all’altro teso dalla pillolina blu, la grande occasione, il grande film.

E sarebbe stata una star.

E invece no, ha frequentato una fotografa. Una donna.
E ha scelto, o le sono stati affidati una serie di ruoli da arrampicata, che già immagino lo sdegno dei produttori ultra-conservatori, vista questa bionda alta 1.73 che disdegnava le attenzioni già prefissate che in molti si erano pregustati.

Una nullità, ché ancora non sei Jodie Foster, che ci ha messo quarant’anni, in Hollywood, al vertice della sua carriera, per ammettere, quasi scusandosi e tutta intimidita, che sì, ok, le piacciono le donne.
Amber ancora ne doveva fare di gavetta, prima di prendersi certe libertà. Che cazzo…

E poi, la storiaccia con Johnny Depp.

Amber HeardSi scopre, stando a quello che racconta lei, che a Johnny, padre di famiglia amorevole, per carità, ogni tanto gli partiva la brocca e qualche suo polpastrello (in certi casi che reggeva un iphone) andava, in maniera del tutto fortuita, a toccare la tua faccia, lasciando qualche segno.

Sono cose che succedono. O, come dicono certe ragazze, te la sei cercata.

Forse te la sei cercata davvero, hai ignorato la strada già tracciata per te, hai voluto essere libera (libera da cosa, poi?) in una delle comunità più ipocrite e moraliste del pianeta. Non hai difettato certo di coraggio.

Quello che è certo è che tutti ce l’hanno con te: improvvisati psicologi e assistenti sociali, protofemministe, sedicenti esperti di donne abusate.
Hai simulato, stai cercando di estorcere i sudati denari a Johnny, che te possino.

T’hanno inquadrata, e pure bene. Non puoi sfuggire. Sei una cacciatrice di eredità.

A me, invece, che i lividi su un volto di donna fanno un certo effetto e mi fanno incazzare un sacco, stai più simpatica di prima.
Non credo ai complotti, né alle cacce all’eredità. Credo però alla caccia alle streghe, dove davvero si è tornati a dare la caccia alle donne, da parte ahimé di altre donne, oltre che di uomini garantisti della mascolinità minacciata, in un susseguirsi senza limite di sete di aggressività e violenza che va sfogata tramite commenti sprezzanti e sferzanti su facebook.

È una bionda, è texana, le piacciono i soldi, oltre che la figa. Dev’essere stata lei per forza. Di contro Johnny è riccco, famoso, ha una carriera trentennale, è innocente.

Tutti inquadrati.

Del resto, consolati, hanno usato la medesima espressione pure per un’altra donna, finita bruciata viva. Pure lei, in qualche modo “se l’è cercata”.

Sì, siamo alla follia.

Io non so se questa storia ti distruggerà, perché ti sei messa, ancora una volta, contro la volontà dei potenti, che a forza avevano tentato di reinquadrarti, ti sei messa contro una star potentissima.

Voglio sperare che tu non stia giocando, voglio credere, per una volta, al Rasoio di Occam.

So solo che, per quel che vale, adesso che ti ho vista, e ti vedo, insultata da tutti, che si sa, è più facile credere al fondotinta che a un livido, ti voglio bene.

Sarò strano io, che il mondo non lo desidera prevedibile e incasellabile, che non vuole più vedere lividi sulla faccia di una donna, che rifiuta ogni inquadramento.
Stai tranquilla. siamo noi, quelli strani.

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