Questo film mi è stato d’ispirazione, almeno per i primi cinque minuti.
Dico sul serio, anche se sembra il contrario. Trattasi di La Meute (The Pack, 2010).
In sottofondo uno score accattivante, ipnotico e suggestivo. In primo piano un’automobile che percorre strade deserte e bagnate che tagliano paesaggi campestri, sotto un cielo plumbeo.
Al volante, una bella ragazza. Non si sa dove sia diretta, né perché.
Come incipit, l’ho trovato poetico come pochi. Ci si può aspettare molto, da una roba di questo tipo.
La ragazza si chiama Charlotte, ma questo lo verremo a sapere più tardi, diciamo dopo circa mezz’ora; a prestarle il volto, l’attrice francese Émilie Dequenne, già vista ne Il Patto dei Lupi.
Charlotte si ferma per caricare un autostoppista, in qualche maniera convinta che l’estraneo possa scoraggiare i tre bikers che hanno iniziato a seguirla da un po’.
Ok, non ha mai visto The Hitcher. È evidente. Ma non si tratta di quel tipo di film…
Il tipo, di nome Max (Benjamin Biolay), però sembra tranquillo. Così il viaggio prosegue fino a una stazione di servizio con annesso ristorante.
Qui Charlotte racconta al suo nuovo amico una barzelletta telefonata, ma divertente. E a questo punto…
***
…inizia il delirio.
E no, non è quel tipo di delirio che magari aspettate da un bel po’. Quello per cui valga la pena vedere questo film.
Si tratta solo della estrema confusione registica di Franck Richard che mette in scena una non-storia costruita a fatica riciclando idee e situazioni da almeno una mezza dozzina di film di genere, che ancor più a fatica si trascina, per circa 79 minuti, fino al finale che vorrebbe essere di forte impatto, ma che riesce risibile. Perché avete ancora negli occhi la fine della scena al minuto 75, e vi state chiedendo il motivo, scuotendo la testa.
Credetemi. Di più non vi posso dire senza spoilerarvi tutto il film. Solo un altro frammento dell’intreccio, e il resto della trama, se siete ancora interessanti a vederlo, si rivelerebbe da sé. Non voglio farvi questo torto.
Per onestà devo dirvi, però, che la qualità generale non va oltre il b-movie, con l’aggravante di non essere nemmeno divertente.
FERMATEVI QUI.
***
Per voi che avete scelto di proseguire, mi limiterò ad accennare alcuni dettagli che vale la pena menzionare, tutto considerato. Non sono chissà ché, ma risultano più che apprezzabili ai patiti di un certo cinema underground.
Un vecchio, credo ex-poliziotto, di nome Chinaski che, se non lo sapete, è lo pseudonimo letterario di Charles Bukowski. E… no. Purtroppo questo Chinaski non fa lo scrittore.
La Spack, che vedete nella foto, una simpatica donna di mezz’età armata di fucile, che non disdegna l’utilizzo di armi contundenti di legno e veste, udite udite, una cotta di maglia.
I mostri. Sì, ci sono anche loro. Umanoidi, vampiri, che succhiano il sangue e vivono nella foresta.
Charlotte, la protagonista, molto, molto carina che ne subisce di tutti i tipi (letteralmente). Anche se molto è lasciato all’immaginazione.
Tutto questo, e in più armi automatiche e una cascina sperduta nel mezzo della campagna, se proprio non sapete come trascorrere i prossimi settantanove minuti.
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