Quand’ero bambino era solo la zucca, o meglio, la zucca legata a un certo assassino che indossava una certa maschera, e che menava fendenti con un coltellaccio mentre questa musica scorreva in sottofondo. Che poi, ripensando al film di Carpenter, mi sono sempre chiesto perché, al di là di Michael Myers, quei due bambini dovessero spaventarsi guardando in tv, tra l’altro una tv in bianco e nero, un film di alieni, con astronavi e raggi laser, piuttosto che un horror.
Ma il film è quello che è, si permette di far scorrere i titoli accanto alla zucca-laterna, che guarda coi suoi occhi triangolari e il sorriso cattivo.
Ebbene, il film di Carpenter è quello che davvero coglie gli aspetti essenziali della leggenda irlandese, quella di Jack, un furfante non meglio identificato che, in sostanza, riuscì a gabbare il diavolo.
D’accordo, Michael Myers indossa la faccia di William Shatner, ovvero del capitano Kirk. Dovreste saperlo, che la maschera di uno dei più feroci assassini è stata creata dal volto di uno dei capitani più carismatici.
Ancora una volta, horror e fantascienza, ed ecco che, magari, Carpenter, facendo spaventare i bambini con la sci-fi stava, in qualche modo, riferendosi alla maschera, in un connubio di mitologia antica e moderna.
La leggenda di Jack è una fiaba nera, come ogni favola che si rispetti, contiene anch’essa la componente maligna, in questo caso diabolica.
Michael Myers è diabolico, ed è anche immortale, o meglio, non morto.
Lo sapeva bene anche Romero, quando si riferiva al campo di zucche, per aprire il Giorno degli Zombi.
Jack è un bellissimo esempio di non morto. Vediamo perché.
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Un furfante, abbiamo detto, che, dopo aver passato la vita a truffare il prossimo, campando d’espedienti ai danni dell’altro, viene raggiunto dal diavolo che vuole riscuotere ciò che, secondo la legge divina, gli appartiene: l’anima di Jack.
La strada è il vicolo d’un paesino, buio, freddo e umido, rischiarato solo dalla calda luce dei ciocchi di legno che ardono nel camino d’una locanda. Jack è condannato, e così esprime un desiderio, bere un’ultima birra, insieme al diavolo. Costui acconsente, perché l’attesa dà più gusto dell’azione compiuta: l’anima può aspettare, non può scappare.
Bevono, ma ecco che Jack lamenta di non avere soldi con cui pagare l’oste, per cui fa al diavolo una proposta cattiva, “Trasformati in una moneta” gli dice, “così potrò truffare l’oste”.
Sorpreso e compiaciuto di questa sottile cattiveria, persino in punto di morte, il diavolo accetta, si tramuta in moneta solo per essere preso da Jack e ficcato in tasca, dove già c’è un crocifisso, che lo intrappola. Per liberarsi, è il diavolo a promettere a Jack di risparmiare la sua anima per altri dieci anni.
Un diavolo sciocco, non trovate? Ma il punto è che il diavolo, nelle leggende popolari, è sempre sciocco, come quando s’accontenta dell’anima di una capra, che il furbissimo contadino avrà puntualmente fatto transitare sul ponte, al posto suo, avendo il principe delle tenebre promesso di accontentarsi della prima anima che si trovasse a passare di lì, e via dicendo.
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Trascorrono dieci anni, e Jack è raggiunto di nuovo dal diavolo, stavolta su un sentiero in aperta campagna. L’uomo pare non avere scampo, quand’ecco che nota un albero di mele, domanda al diavolo di salire e coglierne una, per poterla mangiare prima di morire. Ancora una volta il diavolo acconsente, solo per salire sul melo, perder tempo a cercare il frutto e trovarsi intrappolato lassù, perché Jack ha circondato il tronco di croci, intrappolandolo ancora.
Stavolta, il prezzo per la libertà del demonio è la promessa che mai coglierà l’anima di Jack. Quest’ultimo, per parte sua, continua la sua vita, ricca di ruberie e soddisfazioni. E infine muore. Le porte del Paradiso per lui sono chiuse, e così si presenta all’Inferno. Il diavolo lo riconosce e, dato che mantiene le promesse, rifiuta di farlo entrare, rispedendolo sulla terra, tra i viventi, privo di luce degli occhi, perché morto, ma vivente, costretto a vagare per l’eternità per lande oscure. Impietosito, il demonio fa a Jack un ultimo dono, una manciata di brace dell’inferno, perché riesca a illuminare, con quel fuoco tenue, la via lungo il suo vagabondare. Jack accetta, prende una rapa, la intaglia donandole un volto ghignante e mette all’interno la brace.
Rapa che poi diviene zucca, allorché i primi immigrati irlandesi, giunti negli States e venuti in contatto con le enormi zucche arancioni, le eleggono sede naturale delle braci infernali, braci che, per la loro stessa natura, tengono lontani gli spettri.
Jack è quindi un non-morto, che gode della luce dei defunti, e costretto, come uno spettro, a ripetere per l’eternità lo stesso gesto, vagare.
Vi rammenta in qualche maniera gli zombie di Romero? Direi proprio di sì.
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E Michael Myers altro non è che Jack, non morto, perché il diavolo non accetta la sua anima, costretto a uccidere per seguire la propria natura, privo di volto, o meglio dotato di una maschera priva di occhi, perché cieca, attirato, guarda caso, la notte di Ognissanti, proprio dal fuoco delle zucche esposte alle finestre dalle famiglie come spauracchio per i fantasmi. Spiriti, appunto. Solo che Michael non è uno spirito…
Affascinante, questa leggenda, soprattutto perché riporta la mente a quelle favole del terrore che, da bambini, fanno sentire piccoli, indifesi, alle prese con le mani del mostro sotto il letto che ci vuole agguantare. E che da adulti ossessionano fino a diventare arte, come quella di Ray Villafane e delle sue Jack O’Lantern, eccezionali, cui dedico una galleria in chiusura d’articolo.
Bene, questo è il primo di tre articoli che dedicherò a Halloween, ai fantasmi e ai mostri delle leggende popolari, l’ultimo, come da tradizione, comparirà il 31 Ottobre.
Alla prossima.
Date un’occhiata al sito di Ray Villafane!