Siamo nel 1954.
Nove anni dopo quel 6 Agosto 1945, quando venne sganciata la prima atomica, sulla città di Hiroshima.
Parlando del silver screen, cito molto spesso la paura nucleare, che sembra venir fuori dai televisori dell’epoca, come un elemento di stile. Ma mai come in questo caso è importante per capire tutto ciò che c’era dietro alla mentalità dell’epoca, soprattutto americana.
Delirio di onnipotenza, paranoia che la Russia potesse restituire agli Stati Uniti il dovuto, con gli interessi. Nove anni non sono nulla, pensateci. Non è un tempo sufficiente per assorbire uno sconvolgimento sociale così grande. Si era usciti dalla Seconda Guerra Mondiale con l’urlo di un’intera città (che poi divennero due intere città), non essendo bastata Guernica, un modo per sublimare, in peggio, la vergogna di un conflitto che già aveva causato milioni di morti.
Ecco, noi che ce ne stiamo tranquilli a guardare la guerra in TV come se non dovesse mai sfiorarci, non potremo mai capire. Non del tutto.
E il cinema di fantascienza applicava la variante fantastica alla vera paura della fine, la metteva in scena coi mezzi dell’epoca, di un’industria milionaria sempre più delineata e… americana. Serviva anche a esportare quell’american way of life all’estero, soprattutto in Giappone. Dove, per paradosso, si possono ancora trovare gli individui più fanatici della cultura pop americana del primo dopoguerra. Per dirne una, i maggiori collezionisti di jeans Levi’s sono giapponesi. Quando si dice conquistare una cultura, in ogni senso. Spaventoso e affascinante al tempo stesso.
Ma non divaghiamo, parliamo, appunto, di metafore.
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Il silver screen, che ha incarnato sogni bellissimi attraverso dive immortali (Lauren Bacall) e paure mostruose, è un nome che deriva dall’effettiva quantità di argento (o del suo sostituto ideale, l’alluminio) che componeva gli schermi dove venivano proiettati i film.
Schermi metallici stanno tornando in uso oggi per migliorare la fruizione della tecnologia 3D.
All’epoca, il silver screen era perfetto per THEM! (Assalto alla Terra, 1954) di Gordon Douglas che, nelle intenzioni, doveva essere un film in 3D.
Doveva anche essere a colori. Ma le beghe di produzione esistono oggi come allora, quindi niente colori, a parte il rosso scarlatto del titolo, e una pessima opinione della figura onnipotente del “produttore”. Un uomo coi soldi che spadroneggia sull’arte. Conflitti all’epoca ancora romantici.
Ma non deve stupire, negli anni Cinquanta, se non si aveva a che fare con Humphrey Bogart e Lauren Bacall, il cinema di genere, fantascienza e horror soprattutto, era serie B. Non parliamo poi di ciò che poteva capitare una volta venduto il film all’estero: si perdeva ogni controllo. Così in Italia Patricia “Pat” Medford (Joan Weldon) divenne una nostrana Patrizia, come a rievocare una Sofia Loren alle prese con formiche giganti nel deserto americano. In Svezia, invece, THEM! assunse lo spettacolare titolo di Spindlarna, ovvero I Ragni. Ma invece erano sempre formiche.
Una approssimazione oggi intollerabile, ma che all’epoca era la norma, per non citare la disparità di contenuto tra locandine e film, con le prime che spesso mostravano contenuti action che mai la tecnologia dell’epoca avrebbe potuto garantire. Pubblicità ingannevole, sì. Ma non era ancora l’epoca della causa facile.
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Uomini (e una donna) contro formiche giganti. Cosa che, anche a proporla adesso, farebbe ridere i benpensanti. Quelli che dai film vogliono i contenuti elevati (per illudersi di possedere un gusto superiore), negando però l’esigenza primaria di tali prodotti: intrattenere il pubblico.
Perché i film, oggi e nel 1954, anche se ci si eleva a filantropi, intessendo la lotta con le formiche a ammonimento verso la sperimentazione nucleare, non erano prodotti per l’arte.
Non solo.
Erano prodotti per i soldoni. Eh sì. Siamo negli States e i verdoni sono bellissimi, e la gente ne vuole a palate, i fratelli Warner pure, nonostante si fossero opposti al colore.
THEM! segnò, nel 1954, il più grande incasso di quell’anno.
Formiche, dunque, modelli giganti costruiti con la stessa testardaggine con la quale ci si divertiva a miniaturizzare o ingigantire uomini e oggetti. Formiche atomiche, frutto di mutazione, rese gigantesche dai test nucleari effettuati prima di andare a gettare le bombe in testa ai Giapponesi. Quindi gli americani, con quella potenza ottenuta in modo rapido, senza disciplina, senza che l’uomo fosse in effetti pronto a gestire un potere simile a quello di Dio, la scontano con le formiche giganti, la natura che li maledice. Ecco, per sommi capi, il campo da gioco di questo tipo di fantascienza. Anche se THEM! è un pochino diverso…
Forse sono solo i mostri giganti contro i quali ci piace misurarci, e venire odiati dagli spettatori esigenti. Va bene in entrambi i casi.
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Narrazione tesa, che in THEM!, se mai avrete l’opportunità di vederlo, fa proprie le tecniche classiche, annunciando la minaccia dei mostri per gradi, partendo da isolate roulotte nel mezzo del deserto sventrate dalle formiche scout. Il pericolo parte dagli occhi di una bambina sotto shock, rinvenuta vagare sulla strada, si ascolta tramite la voce dei mostri, che è il canto amplificato di una specie di rane che d’abitudine cantano assieme, vengono scorte enormi impronte sul suolo, si mostrano, infine, in tutto il loro orrore (più o meno). E qui lo spettatore moderno deve mostrare rispetto, perché a parte i formiconi che fanno versi da rana, a ben guardare, sono moltissimi i registi che, decenni più tardi, hanno guardato a THEM! per le loro lotte contro i mostri, traendone qualcosa di più che mera ispirazione.
A parte Tremors, che fa dell’annuncio dell’arrivo dei vermi giganti un manuale-omaggio a THEM!, dato che i ritmi sono identici e le situazioni pure, l’esempio di cinema capolavoro che mi viene in mente è Aliens di James Cameron. Gli xenomorfi rammentano moltissimo il formicaio di THEM!, la cui regina (dotata d’ali) è pericolosa proprio in quanto tale, perché capace di depositare milioni di uova, di creare formicai ovunque e, di conseguenza, guerrieri in grado di sollevare da venti a cinquanta volte il proprio peso corporeo, e di lottare senza stancarsi per 72 ore consecutive (e parliamo di vere formiche, figurarsi quelle giganti). Una Regina aliena, quindi, il suo alveare, e una scena in particolare, quella della scoperta delle uova traslucide (con le zampette delle formiche che si muovono all’interno, rese visibili dalla luce delle torce), poi devastate con il lanciafiamme (come fa Ripley). Ulteriore dettaglio che fa storia, gli attori che impiegarono i lanciafiamme erano veterani della Seconda Guerra Mondiale e i loro lanciafiamme erano stati davvero impiegati, una decina d’anni prima, contro i tedeschi… Da brividi, vero?
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Monito finale dello scienziato Harold Medford (Edmund Gwenn), sull’uomo che, avendo scoperchiato l’atomo, ha di fatto scoperto un nuovo mondo sconosciuto, che sublima il percorso compiuto dal film: attacco-scoperta-presa di coscienza-contrattacco-finale, che diventerà percorso universale della fantascienza, almeno quella fantascienza che, come aspirazione massima, vuole combattere i mostri.
Combattere i mostri, come facevano gli eroi greci. I mostri erano prove messeci di fronte dagli dei. Non avevano coscienza, non erano degni di essere salvaguardati, erano avversari, nemici. Era noi o loro. E con la stessa fredda consapevolezza di essere coloro che hanno il dominio sugli elementi, in THEM! vengono azionati i lanciafiamme, sulla Regina delle formiche, e sulle sue uova, estinguendo per sempre la minaccia.
L’atomo e il potere che ne deriva non sono vietati all’uomo, che deve riscrivere la propria morale di pari passo con l’evoluzione; la cosa essenziale, di questo percorso, è essere preparati all’ignoto. Perché ogni conoscenza ha un prezzo.
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