Già sapete cosa penso di questo film. O almeno dovreste. Lo adoro e lo venero come uno dei capolavori della fantascienza di tutti i tempi. Più che un articolo è un elogio, un panegirico, un omaggio al lavoro di un vero maestro del cinema, John Carpenter.
In realtà questo pezzo avrebbe dovuto vedere la luce molto più il là, ma la notizia che è in produzione un sedicente prequel mi ha gettato nello sconforto e mi ha dato la rabbia e la forza necessarie per affrontare l’argomento. Esiste, secondo voi, un film più inutile di questo che sta per nascere?
Tornando a La Cosa (1982), converrete con me che scrivere di questo tipo di lavori è impresa titanica. Primo perché, a distanza di tanti anni e con così tante attestazioni di stima ricevute nel corso del tempo, la faccenda può sembrare superflua: il film è conosciutissimo, su di esso si è già detto e scritto tutto; secondo, perché sono davvero poche le curiosità legate alla pellicola non sviscerate dai vari appassionati. Eppure sono convinto che, di tanto in tanto, è bene lasciarsi andare ad appaganti ricapitolazioni.
Nonostante innegabili richiami lovecraftiani, La Cosa è ufficialmente tratto da un racconto breve intitolato “Who goes there?” di John W. Campbell, comparso nel 1938 sulle pagine di Astounding Science Fiction, dove l’autore figura con lo pseudonimo di Don A. Stuart.
Quello di Carpenter non è il primo adattamento per il cinema. Nel 1951, infatti, fu la volta di The Thing from another World, per la regia di Christian Nyby.
La genesi de La Cosa fu particolarmente complessa e ricca di ostacoli. Questo per ribadire che, a quel tempo, nonostante fosse l’epoca d’oro del cinema, non tutti i soggetti che poi risultarono essere capolavori venivano automaticamente riconosciuti come tali. Alcuni, anzi, incontravano l’ostracismo di menti ottuse, di persone che volevano privilegiare questo o quel regista, a scapito del migliore per quel lavoro. Insomma, tutta l’arcinota trafila dei favoritismi e delle pacche sulla schiena e dei calci nel culo che c’è anche al giorno d’oggi. Roba da far vomitare.
Carpenter fu la terza scelta per la regia di questo film. Già concepito prima del 1979, l’anno di Alien e realizzato solo tre anni più tardi, nel 1982, nonostante il regista stesse attraversando un periodo eccezionale in cui girò tre dei suoi film più riusciti, ovvero Halloween (1978), The Fog (1980) e Fuga da New York (1981) e non fosse precisamente l’ultimo arrivato. Ma tant’è…
La sceneggiatura fu scritta da Bill Lancaster, sì, proprio il figlio di Burt, con la supervisione di Carpenter, ed originariamente prevedeva addirittura 37 personaggi, ridotti poi nella versione definitiva a 12. Musiche di Ennio Morricone che ricalcò il particolare stile, ricco di note basse, di Carpenter, che, fino ad allora, aveva curato le colonne sonore di tutti i suoi film, ed effetti speciali meccanico/idraulici strabilianti dell’allora ventiduenne (!) Rob Bottin. Piccola curiosità, a dire di Carpenter, i nomi di due personaggi, Mac e Windows, sono frutto di un’incredibile coincidenza…
Girato in 12 settimane agli Universal Studios di Los Angeles con i set mantenuti costantemente ad una temperatura di circa 20 gradi sottozero per rendere visibile il vapore del respiro degli attori. Il tutto mentre fuori infuriava la torrida estate californiana, con un’escursione termica di circa 60 gradi, modello Sahara.
Gli esterni, invece, vennero girati in Alaska e in alcune zone sperdute del nord del Canada.
L’inizio è memorabile. Un cane fugge attraverso le distese innevate dell’Antartide inseguito da un elicottero con a bordo i superstiti di un campo scientifico norvegese che, a più riprese, cercano di ammazzarlo.
L’Husky, non proprio di razza purissima, trova rifugio in un’altra stazione scientifica, questa volta statunitense, il cui personale decide di far luce sullo strano avvenimento per scoprire che:
[ATTENZIONE! ALLARME ANTICIPAZIONI!]
a) il campo scientifico norvegese è stato completamente distrutto.
b) i norvegesi hanno scoperto, sepolta nel ghiaccio, un’astronave aliena.
c) è stata rinvenuta anche una forma di vita extraterrestre
d) l’alieno, un mutaforma, si è infiltrato nel loro stesso campobase assumendo dapprima le sembianze del cane e poi, di volta in volta, quelle degli scienziati che vengono sostituiti.
Jed, il cane, diverso da quello delle riprese iniziali, si dimostrò un ottimo attore, non guardava mai la telecamera e non era per niente interessato alla troupe. In effetti, osservandolo aggirarsi silenzioso nei corridoi della stazione, sembra proprio ciò che si vuol far credere sia, un simulacro, una forma di vita intelligente e pericolosa.
La caccia all’alieno, supportata dalla dilagante paranoia dei protagonisti, che si scatena nel campo base è spettacolare. Tutti sospettano di tutti. Chiunque può essere stato copiato e sostituito dalla creatura. Ottimi gli attori, a cominciare da Kurt Russell nel ruolo del pilota d’elicotteri R.J. MacReady.
Il film non conosce pause, noia o tempi morti. Al contrario è straordinariamente compatto e suggestivo. La cosa è rivoltante nel suo aspetto tentacolare, e inarrendevole nei suoi ripetuti tentativi di sopravvivere a scapito di ogni altra forma vivente che le si avvicini.
Effetti speciali davvero stupefacenti per l’epoca e validissimi anche adesso; un lavoro eccellente che avrebbe di che insegnare agli sfaticati che spesso oggi si ritrovano dietro la macchina da presa.
Un film lavorato e artigianale, curatissimo in ogni suo aspetto, che ha sfruttato appieno ogni centesimo del suo budget di 15 milioni di dollari.
Il finale, poi, è tra i più belli di tutti i tempi. Sospeso, sull’orlo dell’apocalisse, di distruzione totale e di effimere speranze, ma anche di fiduciosa serenità.
Bellissimo.
approfondimenti:
Scheda su The Thing – IMDb