Lost River, l’esordio cinematografico di Ryan Gosling, è uno scenario di desolazione.
Scenario che i più penseranno essere frutto di un abile scenografo.
Si accenna a una città sommersa, nel film.
La città sommersa è Detroit.
Quelle immagini sono paurosamente vere.
Anzi, peggio. Detroit è la metropoli futuristica fissata in RoboCop, ed è ormai, causa bancarotta dell’amministrazione cittadina, una desolata distesa di rovine.
Un mondo alieno, dove pochissime case sono sopravvissute alla distruzione. A vedere le panoramiche, sembra di essere a Sarajevo.
Ma la causa di questo deserto artificiale non è la guerra o i bombardamenti, ma il denaro.
I dollari.
Continuiamo a domandarci come dei pezzi di carta possano influenzare la nostra realtà. Ecco come.
Se poi associamo questi scenari di devastazione a vecchi cartelli inneggianti alle opportunità di una città dimenticata, il paradosso esplode con una forza incredibile.
Davvero, pensate alla città di Milano com’è oggi, e immeginatela così conciata.
E avrete solo una vaga idea di ciò che debba significate entrare, oggi, a Detroit.
Sospendo qualsiasi giudizio sul film di Gosling. Per poche, semplici ragioni.
– è un esordio
– risente (anche troppo) delle sue frequentazioni cinematografiche. Nicolas Windig Refn in primis. E anche Dario Argento. I giochi di luci, comuni anche al primo, il gusto di sparaflashare gli attori con luci rosso sangue su sfondi contrastanti.
E quindi, a parte constatare, ancora una volta, che Dario Argento s’è fatto, a dispetto della sua fine, una fama immortale grazie a due o tre film, c’è però un aspetto di Lost River che ho gradito molto, mancando il resto e di coerenza narrativa, e di completezza.
Tra le varie linee di piccola narrativa presenti, c’è quella della città sommersa.
Lo scenario che ammiriamo, accompagnato dalla gigantesca colonna sonora di Johnny Jewel, è quello che vedete in queste foto.
Foto reali di una distruzione reale: foto di Detroit.
Case marce e fatiscenti che aspettano, giorno dopo giorno, l’alba in cui vedranno arrivare le ruspe e saranno abbattute.
Famiglie intrappolate in un limbo. Troppo povere per restare, troppo per andare via. Famiglie delle quali non importa nulla a nessuno.
Che nessuno conosce. Essendo comodamente taciuta la verità su questo disastro.
Naturale quindi la formazione di piccole mitologie, in questi sobborghi in cui non solo la polizia, ma nemmeno lo stato osa farsi vedere.
Consideriamo le natura particolare e le esigenze di un gruppo di adolescenti, che imparano a vivere in questa distorsione.
Abbiamo quindi i personaggi di Rat (Saoirse Ronan) e Bones (Iain De Caestecker), che sopravvivono.
In un mondo che offre di sé una percezione alterata della realtà, questa realtà diventa l’unica possibile.
E quindi mentre Bones esplora i dintorni abbandonati rubando fili di rame per rivenderli a pochi spiccioli, Rat sogna, evade con la mente, non potendo fare altro, vittima e artefice della propria mitologia personale.
C’è una leggenda: la leggenda di una piccola città sommersa dopo la costruzione di una diga, che è ubicata a poca distanza dai sobborghi post-apocalittici in cui Rat e Bones trascinano le loro esistenze arrese.
Le sabbie mobili che li trattengono in quei luoghi paiono originate da una maledizione che grava sulla città sommersa, che è divenuta una vera necropoli.
Le acque infatti hanno cristallizzato le vite e i destini della popolazione, come hanno cristallizzato l’essenza stessa della città, nascondendola al buio.
Sugli abitanti, fuggiti via, grava la maledizione della permanenza. Come fossero sommersi anche loro, per sempre, pur continuando a respirare. Condannati a ripetere giorno dopo giorno le stesse azioni.
L’unica maniera per spezzare la maledizione è immergersi nel lago e recuperare un oggetto dalla città sommersa.
Una base narrativa magnifica, che forse avrebbe preteso miglior fortuna, impegno, capacità, sforzo narrativo.
Impossibile, comunque, non ripensare a Detroit, a ciò che è diventata, e non considerarla, di là del mito, una città sommersa, lo specchio di ciò che tutte le città potrebbero diventare.