– Sai, questa è la vera Parigi, qui, in cantina. Quello che hai visto lassù in strada è soltanto robaccia, il centro Pompidou, la torre Eiffel, tutti quei turisti… è merda!
– E il Louvre?
– Oh, mio dio! Quel fottuto Louvre! E’ solo un parcheggio per pullman guidati. Anche la gente, i parigini, sono merda. Nessuno si piace in Francia! E’ vero, sai? Si odiano. Ma quaggiù, lontano da quelli là sopra, dai turisti, le attrazioni, dalle fottute cartoline, la gente cambia. Perché qui non si accorgono di essere a Parigi… potrebbe essere ovunque. (Eric)
La cosa bella di questo film è che è ambientato a Parigi, ma Parigi non si vede. Eccetto che per qualche rapida carrellata, all’inizio e alla fine. Un’ode a Parigi, la vera Parigi, quella di sotto, sulfurea e color giallo ambra e rossa. Fatta di speranza, sogni e disperazione assoluta.
Ci siete mai stati? Io sì…
Killing Zoe (1993) la rifiuta Parigi, pur amandola. Pur passandole attraverso, le inquadrature, strette sui primi piani degli attori, la nascondono, lasciandocela intuire solo per brevi scorci, nelle tenebre macchiate qua e là dai lampioni, dai riflessi increspati sull’acqua della Senna, dai fari delle automobili. Dai rumori e dai suoni, soprattutto, della notte.
Roger Avary, il regista, al tempo dichiarò di averne scritto la sceneggiatura in una sola settimana. Nessuno gli credette, pur essendo egli la mente complice dei primi due film di Tarantino. Ma io sì, da semplice spettatore, dopo aver guardato la sua messinscena di devastazione, rossa come la vernice delle pareti del sotterraneo della banca e immediata, vomitata sulla carta e organizzata in fretta e furia, senza nocumento, anzi guadagnandone in bellezza scabra.
Zed (Eric Stoltz) arriva a Parigi dagli Stati Uniti. Lì Zed conosce Zoe (Julie Delpy), una prostituta/aspirante artista, e se ne invaghisce dovendosene però separare a causa del sopraggiugere del suo amico Eric (Jean-Hugues Anglade) col quale ha degli affari da discutere.
Gli affari sono una rapina in banca, il Giorno della Bastiglia, l’indomani. Zed è lo scassinatore.
Eric è il capo della banda e organizzatore, ma è anche un Lucignolo sudicio, drogato e affetto da A.I.D.S. che non ha più nulla da perdere e che è intrinsecamente votato all’autodistruzione.
Un’ultima notte di baldoria e poi, la Banca.
Ma il caso vuole che Zoe, durante il giorno, lavori proprio in quello stesso istituto…
Di questo film mi piace tutto. A partire dalla sua brevità. 98 minuti che passano in un baleno, e le scritte rosse dei titoli di testa e di coda, quel Killing Zoe, Uccidendo Zoe, fuorviante, ma alla fine indicativo per sugellare il trionfo del fato; e poi le maschere colorate indossate dai rapinatori, il cameo di Ron Jeremy, le musiche perfette per le sequenze che accompagnano, la Francia messa a tacere dai suoi stessi figli, l’immane bagno di sangue. Lo scopo del protagonista assoluto, Eric, sopra tutti e tutto, che sembra sfuggire dagli intenti iniziali per prendere una piega bieca, assoluta e definitiva, da resa dei conti, con la sua infanzia, col suo presente e col suo destino. Con la vita, vuota e inutile che egli sente, ormai, solo nelle cantine, dove il mondo perde l’identità per diventare ogniddove.
Questo film è un ricordo porpora, schizzato di sangue e macchiato dell’ombra di un ridicolo amore.